6 12 2018
Sara Pisoni il 12/06/2018
Habemus router. Finalmente, al terzo ufficio postale sono riuscita a ritirare il pacco che stavamo aspettando, contente il nostro indispensabile pocket wifi. Nonostante il disagio di dover annullare la prima notte a Narita per aver perso la coincidenza a Parigi (ci eravamo fatti recapitare inizialmente il pacchetto all’hotel, quindi abbiamo dovuto chiedere di spedircelo all’ufficio postale più vicino a RIKEN – che in realtà non è uno ma sono tre, ma questo l’abbiamo scoperto solo dopo), questo contrattempo è stato molto istruttivo perché ci ha permesso di confrontarci sin da subito con un’esperienza del quotidiano come quella dello sportello postale. Nessuno parla inglese, ma tutti sanno cosa devono fare. Basta portare la cartolina di spedizione e un documento e loro sanno. Nel primo però mi mandano in un secondo ufficio, va bene, ci sta, non sapevo ce ne fossero altri. Mi becco dalla sportellista la prima X del viaggio (quella cosa che fanno i giapponesi con le braccia quando “per loro è no”). Nel secondo ufficio porto cartolina e documento, ma ancora una volta non è l’ufficio giusto, perché ne esiste un terzo. Non mi scoraggio e chiedo indicazioni visto che almeno so come si dice “sinistra”. Grazie alla signorina molto cortese che mi da le indicazioni in maniera chiara ed efficiente (dicendo che devo andare sempre a sinistra, fiu!) riesco a raggiungere il terzo ufficio: cartolina e documento e.. pacco ricevuto! Dopo questa mini-avventura postale si riparte alla scoperta della città, direzione Shinjuku.
Una passeggiata nell’affascinante Shinjuku Goyen è tutto quello che ci vuole per riprendersi dalla frustrazione di averlo raggiunto in metro, uscendo dalla stazione di Shinjuko. Sì, perché questa stazione sovraffollata ha più di 200 uscite. Potrebbero tranquillamente tenerci gare di orienteering, o magari già lo fanno.
Quest’area verde ha tutto quello che si potrebbe desiderare da un parco giapponese: una casa del thé, viali alberati in pieno foliage (chissà se è altrettanto suggestivo in primavera), un giardinetto giapponese con carpe e Pavillion e un giardino botanico. Anche le vecchiette giapponesi che ti chiamano e ti offrono le caramelle (come rifiutare? In primis, era già una gran vittoria che qualche giapponese volesse parlare con me spontaneamente, inoltre le caramelle in questione erano le orzotte a forma di cuore.. ne ho vinte ben 7).
Basta uscire di qualche metro ed ecco che si abbandona l’armonia zen per tornare alla Tokyo frenetica e pacchiana: vale la pena fare una visita a Hanazono-jo e successivamente aggirarsi per Kabikucho, dove c’è il bizzarrissimo robot restaurant, e sempre più a nord fino a Korean town. Quest’ultimo dev’essere un posto all’ultimo grido per le studentesse giapponesi, visto che per le strade si vedono solo ragazzine con la gonna a scacchi e i calzettoni, che vagano da una bancarella all’altra all’urlo “kawaiiiiiii!!!!!!!”.
Lungo tutto il percorso, ci sono insegne luminose, cartelloni pubblicitari, neon intermittenti e lanterne giapponesi a non finire. Tokyo è immensa.
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Per chi non lo sapesse, il “per me è no” giapponese è questo:
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