Giordania

Giorno 1 – da Gerusalemme a Wadi Musa

Partiamo per una nuova avventura, una delle ultime che stiamo per vivere in questo periodo in Israele. Come al solito viaggiamo fai-da-te, con la giusta preparazione ma con noi come guide di noi stessi. Partiamo dalla stazione dei bus di Gerusalemme il venerdì all’alba con l’autobus 444 in direzione Eilat. Il viaggio lo abbiamo già fatto molte vole, per lo meno fino a Ein Bokek all’estremità meridionale del mar Morto, mentre la strada fino al mar Rosso solo una volta, ormai quasi due anni fa. Percorrere questa strada in bus ha il vantaggio che entrambi possiamo goderci il panorama desertico anziché alternarci alla guida, un lusso per chi solitamente  viaggia in coppia.
Scendiamo alla fermata
Yitzhak Rabin Crossing e ci avviamo a piedi verso il confine, l’unico assieme a quello all’estremo nord che permette di richiedere e ottenere al momento il visto per entrare in Giordania. Sbrighiamo facilmente e velocemente le procedure burocratiche e in un lampo ci ritroviamo a dover scegliere che fare per raggiungere Petra. L’opzione più conveniente in termini di praticità e di tempo è quella del taxi, quindi optiamo per questa soluzione. Ci sarebbe anche la possibilità di prendere il taxi fino ad Aqaba e da lì prendere il Servìs = taxi collettivo per una manciata di spiccioli, ma avendo solo tre giorni a disposizione vogliamo sfruttare al massimo ogni istante, e il viaggio da Aquaba a Petra dura più di due ore. Inoltre, partiamo già con l’idea che non sarà un viaggio economico quindi saliamo in taxi e via.

 

Dopo un bel viaggetto fiancheggiando il Wadi Rum e poi fra le montagne desertiche raggiungiamo Wadi Musa, il villaggio alle cui pendici si trova il sito archeologico di Petra. Per chi volesse visitare Petra, sappiate che ci sono ben 20km di sentieri per visitare tutto, quindi munitevi di scarpe buone, cappellino e tanta acqua. Noi non abbiamo tempo da perdere e ci fiondiamo subito a fare il biglietto e decidiamo di dedicare la prima giornata (che in realtà e un pomeriggio, visto che abbiamo effettuato l’ingresso solo alle tre e mezza) al Monastero Al Deir. Il monastero infatti è il punto di interesse più distante di tutta l’area di Petra, quasi 8 km – di cui 800 gradini – e ci si mette se si è bravi un’ora e tre quarti, senza fermarsi per tappe intermedie. La temperatura di settembre non aiuta e arriviamo in cima affaticati e sforzandoci di non guardare troppo intorno per non cadere in tentazione di fare deviazioni dell’ultimo minuto. Tutto il percorso invoglia a fermarsi, cambiare strada, osservare più da vicino, ma quello è il programma di domani. E soprattutto, rifiutiamo qualsiasi passaggio in cammello, cavallo, asino, pecora o chicchessia. Vero, le persone locali vivono anche di questo ma – punto primo – è difficile dire se tutti questi animali vengano trattati bene per fare questo duro lavoro e noi non vogliamo contribuire ad eventuali maltrattamenti – punto secondo – siamo gente di montagna e seppure ci siano 40°C la salita va affrontata come a casa. Tutto lo sforzo viene ripagato raggiungendo la meta: un prodigio dell’umanità questo monastero scavato nella roccia ocra che contrasta fortemente il blu intenso del cielo della Giordania (vedi immagine di copertina).

Visto che ci piace continuare a godere di una giornata partita col piede giusto, dopo la visita e una bella doccia andiamo a mangiare la cena in un locale tipico che ci ha consigliato il tassista (lui dice che va sempre lì quando è in città) e possiamo ritenerci davvero soddisfatti della scelta, infatti abbiamo mangiato benissimo. I piatti tipici che abbiamo provato non li conoscevamo fino a quel momento e sono stati una gradevole sorpresa: un Kofta – carne tritata coperta di patate e salsa al sesamo – e straccetti di agnello arrosto con peperoni speziati e altre verdure indefinite. Per chiudere, un tipico té alla menta, la ciliegina sulla torta. 

Giorno 2 – ancora Petra poi da Wadi Musa ad Amman

Nonostante il caldo e i chilometri da percorrere, Petra è molto gettonata e ogni giorno si incontrano orde di turisti sia in gruppi organizzati che viaggiatori singoli, in generale comunque un mucchio di gente. Per goderci questa meraviglia del mondo senza doverci divincolare fra anziani in pellegrinaggio e cinesi con due macchine fotografiche a testa, decidiamo di alzarci a un’ora improponibile ed entrare a Petra all’alba. Ora di apertura 6.30, e noi siamo pronti. La temperatura è ottima e anche la luce offre un bello spettacolo in questa ora così insolita per noi. Ripercorriamo con calma e nel silenzio del primo mattino la strada del Suq e il canyon rosso che ci conduce fino al cosiddetto Tesoro, una facciata scolpita nella roccia che si intravede già dal sentiero e poi si staglia imponente una volta raggiunta la “piazza”. Continuando si raggiungono anche il Teatro e le impressionanti Tombe dei Re. E poi la strada colonnata, la porta di Traiano, la Chiesa con i suoi mosaici e chi più ne ha più ne metta. E’ inutile fare un elenco a vuoto, l’unico modo per vivere questa emozione è godersi lo spettacolo dal vivo.

Alle 10.30 comincia a fare troppo caldo e siamo in giro già da quattro ore. Abbiamo visto tutto, a parte i sentieri al di fuori del sito ma ci riteniamo soddisfatti e corriamo a prendere un taxi collettivo per Amman, visto che solitamente smettono di partire da mezzogiorno in poi (non essendoci orari, è tutto a discrezione del guidatore, che comunque non parte se non è a pieno carico). Siamo fortunatissimi: quando arriviamo ai Servìs ce n’è uno pronto per partire e in fretta e furia ci accaparriamo un posto. Il viaggio è lungo quasi quattro ore, e il panorama desertico ad un certo punto fa venire voglia di sonnecchiare.. quindi sono state quattro ore velocissime. Amman è una città di 4 milioni di persone, è davvero enorme e costruita su sette colli. Al contrario di Roma però, questi colli sono quasi più montagne e quindi, considerata la fatica già fatta al mattino e la temperatura piuttosto elevata, siamo tentati di prendere un taxi per raggiungere il nostro hotel. In Giordania quasi tutti usano il taxi, che non è poi così costoso per gli spostamenti in città ed è sicuramente il mezzo più efficiente. Il nostro hotel ci offre ristoro, riposo e una magnifica vista sul teatro romano, romantico alle luci del tramonto e affascinante illuminato alla sera. Raccogliamo un po’ di energie per visitare il centro città, in particolare il Souq  e la Rainbow Road, principali attrazioni e centro della vita moderna. Ci piace come tutto sia pulito e ordinato per essere Medio Oriente (non è quello a cui siamo abituati viaggiando in Palestina) e con che gusto e attenzione siano decorati alcuni scorci. Avremmo voluto visitare anche la nuova moschea di re Abdullah I e vedere da vicino la sua affascinante cupola blu, ma è davvero un’impresa raggiungerla a piedi e desistiamo cedendo invece ad un buon té alla menta prima di andare a dormire.

Giorno 3 – da Amman a Gerusalemme

Tre giorni sono proprio pochi, ma cerchiamo di sfruttarli al meglio. Dopo una ricca colazione tipica in hotel partiamo per vistare la Cittadella di Amman, il più importante sito archeologico e punto di interesse della città. Di resti romani ne abbiamo visti davvero tanti nella vita, ma anche se questo è l’ennesimo dobbiamo dire che vale una visita. E’ molto interessante soprattutto per capire l’evoluzione della città nel susseguirsi delle epoche, e anche che cosa ci facessero i romani da queste parti. Da quassù inoltre si ha una panoramica spettacolare su Amman a 360°, che da sola vale la salita, e si vede molto bene la bandiera giordana del Raghadan palace che sventola enorme nella parte nord della città e che, dicono, sia visibile da ben tre paesi – Israele, Arabia Saudita ed Egitto. 

La visita ci porta via in tutto un paio d’ore poi, soddisfatti, prendiamo un taxi per l’Allenby bridge, dove attraverseremo nuovamente il confine con Israele per tornare a casa. Fortunatamente, il tassista ha scelto la strada che passa sotto la grande moschea, così almeno in corsa abbiamo potuto ammirare l’imponente cupola blu (non quella nella foto qui sopra, quella è la moschea della cittadella, quella a cui mi riferisco è molto più blu!). La vista monocromatica della colline costruite di Amman ci affascina e ci lascia con un bellissimo ricordo di questo paese.
In meno di un’ora siamo al confine. Anche in questo caso ci mettiamo poco a fare tutti i passaggi, nonostante a questo border sia obbligatorio per chi non ha un mezzo proprio usare il pullman “di linea” – un altro modo per raccogliere qualcosa dai turisti, insomma – e quindi aspettare che si riempia per farlo partire. In un attimo attraversiamo il ponte e siamo in Palestina. Come ci aspettavamo c’è uno Sherut = taxi collettivo versione israeliana pronto a partire per Gerusalemme Est, paghiamo l’autista e ci infiliamo a prendere posto.
Anche questa strada ormai la conosciamo bene. Casetta, stiamo arrivando!

Più foto di Petra ed Amman si possono trovare qui.

Bulgaria

10 giorni alla scoperta di uno dei paesi più affascinanti d’Europa

Itinerario – Agosto 2012

Giorno 1 – da Belluno al monastero di Ravanica

Ormai conosciamo la strada verso Est, ma ancora dobbiamo scoprire molto di una parte d’Europa che fino a qualche anno prima conoscevamo solo sulla mappa. Quest’estate andiamo alla scoperta della Bulgaria, ancora una volta senza alcuna aspettativa ma con grande interesse ed entusiasmo per quello che scopriremo. Il viaggio è lungo e il primo giorno lo trascorriamo al volante attraversando Slovenia, Croazia e gran parte della Serbia, pernottando in un paesino vicino al monastero di Ravanica, che immancabilmente abbiamo visitato. Ci siamo aggregati ad una comitiva di Bergamaschi, unici turisti nella zona a parte noi – sono rimasti un po’ interdetti quando ci siamo avvicinati e li abbiamo salutati in italiano, ma un “ciao” fa subito casa.

Giorno 2 – dal monastero di Ravanica a Sofia

La parte dura del viaggio è passata e adesso non facciamo altro che goderci il panorama del tutto nuovo che ci si presenta davanti mentre raggiungiamo la capitale bulgara. Dalle gole fra le montagne della Serbia alle colline brulle da cui si intravede la periferia della città in poco meno di tre ore: arriviamo a Sofia in tarda mattinata e troviamo subito un hotel molto confortevole in pieno centro. Come da nostra ricerca, in Bulgaria i prezzi sono abbordabili anche per studenti come noi (N.B. probabilmente perché al tempo non c’era ancora l’Euro, ma i Lev): si prospetta una vacanza memorabile.  
Sofia è una città dinamica e al contempo tranquilla, piuttosto facile da girare. La prima visita è alla
cattedrale di San Alexander Nevski, riconoscibile per le sue cupole dorate e di rame ossidato, proseguendo poi per la chiesa russa di san Nikola. Lì incontriamo una ragazza Francese, M., in Bulgaria per uno stage di architettura che sarebbe cominciato di lì a pochi giorni, e decidiamo di proseguire la nostra avventura alla scoperta della capitale insieme. Passiamo per la moschea Banya-Bashi e per il palazzo dei bagni termali, e poi ancora a zonzo per parchi e vie della città alla ricerca di monumenti e punti di interesse. Ci fermiamo solo a tarda sera, esausti, per mangiare qualcosa assieme e salutarci prima di ripartire ognuno per il proprio itinerario.  

 

 

Giorno 3 – da Sofia a Devin

Il monastero di Rila (vedi immagine di copertina) è una tappa obbligata per chi visita Sofia e ha la possibilità di fare una gita fuori porta. Passiamo fra campi di girasoli e campi di frumento, e cominciamo a salire verso le colline verdeggianti lungo le file di arnie fino ad arrivare al monastero. 
Rimaniamo a bocca aperta: un complesso enorme e completamente decorato che ospita fino a 300 monaci in una comunità auto-sussistente in cui vengono allevati animali, coltivate piante, prodotti latte miele e derivati, il tutto il perfetta armonia. 

Le celle dei monaci sono disposte su tre piani lungo il muro di cinta e il monastero è nella parte centrale. Oltre ai motivi bianchi rossi e neri della facciata principale, sotto le arcate il monastero è completamente affrescato con immagini di santi e contiene numerose icone e una impressionante iconostasi intagliata nel legno.  

Proseguiamo la nostra giornata a Melnik, villaggio famoso per la produzione di vino – si dice infatti che ogni seminterrato di ogni casa ospita una cantina vinicola -, per le zucche decorative e per le piramidi di sabbia caratteristiche dell’ambiente circostante. Nei pressi di Melnik visitiamo il monastero di Rozhen, uno dei luoghi più pacifici e catartici in cui abbiamo mai messo piede.

Per dormire decidiamo di spostarci a sud, verso il confine con la Grecia, fra le montagne sacre agli dei. Quando arriviamo a Devin, scopriamo che c’è una manifestazione storica in corso e che tutti gli alloggi della zona sono al completo. Per di più il paese è l’ultimo della strada, per cui dobbiamo tornare necessariamente indietro, ed è quasi il tramonto. Per fortuna non ci facciamo scoraggiare, e ci fermiamo in un baracchino a chiedere informazioni con gesti e disegni su carta e riusciamo a farci capire. Il proprietario ci da indicazioni per un villaggio inerpicato fra le montagne in cui incontreremo suo cugino, che ha sempre una stanza vuota a casa. R., il cugino, e sua moglie M., ci danno il benvenuto e ci accolgono nella loro casa, offrendoci una cena di tutto rispetto. Abbiamo passato la sera a “chiacchierare” e a condividere informazioni sul nostro viaggio e sulla loro vita in questo paese dimenticato da Dio, Un fuori programma davvero ben riuscito. 

Giorno 4 – da Devin a Nova Zagora

Dopo aver salutato R. e M., siamo tornati a Devin, intenzionati a visitare la famosa grotta di Orfeo ed Euridice. Per assicurarci il posto nel tour guidato arriviamo all’alba a prendere i biglietti, e approfittiamo del tempo di attesa per provare l’ebbrezza di una discesa nel canyon del diavolo con fune e carrucola – giusto per prendere una boccata d’aria e svegliarci un po’.
Il tour è molto interessante grazie alla guida, che ci racconta del legame fra la mitologia greca e questo posto affascinante e di come gli abitanti della zona si siano sempre rapportati alla caverna. Per uscire, scaliamo un tratto di roccia a fianco di una cascata sotterranea molto imponente, che brivido!

Ci rimettiamo al volante in direzione Plovdiv, antica capitale della Tracia costruita su sette colli (vi dice niente?). Oltre a essere la seconda città della Bulgaria, Plovdiv è anche uno dei centri di maggior interesse storico ed artistico della nazione, dal momento che preserva integralmente tutti gli edifici del rinascimento bulgaro e innumerevoli reperti di epoca romana, fra cui anche un teatro.
Perdiamo tutto il pomeriggio a perderci nei vicoli e nei parchi affascinanti di questa città, anche se ne usciamo decisamente esausti per via della canicola di agosto.

Per avvantaggiarci sul giorno successivo, avanziamo ancora un po’ verso Est percorrendo l’ultimo tratto della valle delle rose (purtroppo in questa stagione non si vede nemmeno un fiore) e ci fermiamo a dormire a Nova Zagora.

 

Giorni 5 e 6 – Sozopol

Essendo estate, c’è tanta voglia di mare. Nova Zagora è a un passo dal Mar Nero e nel giro di poco raggiungiamo la splendida località di Sozopol e piantiamo la tenda. L’acqua è cristallina e l’atmosfera è così rilassante che decidiamo senza indugio di fermarci per due giorni e goderci la vita da spiaggia. La sera esploriamo la cittadina, godendoci la musica dal vivo e lo street food, gustando un kebab davvero delizioso. Il giorno seguente decidiamo di spostarci a Sinemorets, un villaggio verso il confine con la Turchia, sempre per una giornata di mare. Qui la natura è più selvaggia e c’è decisamente meno turismo che a Sozopol: cavalli liberi pascolano sulle colline a ridosso della lunga lingua di sabbia chiara che da un lato si affaccia sul mare e dall’altro su una riserva naturalistica. Ci sono i cartelli di pericolo coccodrilli dopo le 18.00, sarà vero? Vero o non vero, sono stati due giorni all’insegna del relax, impagabili.   

Giorno 7 – da Sozopol a cape Kaliakra

Proseguiamo la nostra visita lungo la costa occidentale del Mar Morto: visitiamo la città di Varna che, oltre a meta turistica per la bella spiaggia e la lunga serie di alberghi lungomare, è anche una cittadina interessante dal punto di vista storico e architettonico. Nei pressi di Varna c’è il monastero di Alhadza, famoso per essere stato scavato a mani nude nella montagna di tufo da un gruppo di monaci. Avvicinandosi alla parete rocciosa non sembra neanche di essere nei pressi di un monastero, si vedono solo delle aperture di tanto in tanto che potrebbero essere di origine naturale, invece nascondono una stradina percorribile a piedi per accedere al monastero nascosto all’interno della montagna. Nonostante il tufo sia un materiale altamente deteriorabile, nel monastero sono conservati degli affreschi originali, vale davvero una visita. 

Procediamo in direzione nord verso cape Kaliakra, fermandoci a fare un tuffo nella rinomata località balneare di Golden Sand, una specie di Ibiza del Mar Morto: alberghi a non finire, cocktail bar sulla spiaggia e musica a tutto volume. L’acqua però è la fine del mondo e ci divertiamo a cavalcare le onde.

Nel tardo pomeriggio raggiungiamo cape Kaliakra: passeggiando verso la punta del promontorio ci sono dei resti di architettura romana, con archi di pietra che danno a strapiombo sul mare. Le scogliere rosse in contrasto con il blu profondo offrono un panorama strepitoso e ci accompagnano faro e oltre, fino alla chiesetta greco-ortodossa che guarda l’intera baia all’orizzonte. Un luogo davvero romantico, soprattutto alle luci del tramonto.

Giorno 8 – da cape Kaliakra a Veliko Tarnovo

Sveglia presto e colazione, poi ci mettiamo subito in marcia verso ovest. Nel primo pomeriggio arriviamo a Veliko Tarnovo, un’affascinante cittadina di montagna costruita sulle sponde del fiume Jantra. Veliko Tarnovo è famosa per la fortezza di Tsarevets, che sovrasta la città vecchia dall’alto della collina e la protegge con le sue lunghe mura, e per il gelato turco al pistacchio (da gustare rigorosamente seduti in uno dei terrazzini che danno sul canyon del fiume). Le abitazioni del centro ricordano le case a graticcio, con un tocco ellenico dato dalle pergole rigogliose. Un altro punto di interesse nella zona è il monastero della trasfigurazione. Purtroppo noi siamo arrivati tardi e il cancello del giardino di accesso era ormai chiuso, ma da quello che abbiamo potuto osservare da distante merita una fermata. 

Giorno 9 – da Veliko Tarnovo a Belogradchik

Siamo già sulla via del ritorno, ma la Bulgaria ha ancora qualche asso nella manica per stupirci. Ripartiamo di buon’ora verso ovest, e ci fermiamo lungo la strada per visitare le grotte Devetashka. Non fatevi abbattere dalla strada dissestata e dalla difficoltà di trovare l’ingresso, quello che vi aspetta è un luogo fantastico che difficilmente avrete già avuto modo di vedere nella vita. Il percorso porta all’interno della grotta passando sotto archi di roccia con aperture naturali, da cui scendono rigogliose piante rampicanti. All’interno vi è anche un piccolo corso d’acqua il cui rumore viene amplificato dalle cavità nella roccia e accompagna i versi dei numerosi pipistrelli che vi abitano. Arrivati al fondo della grotta, si possono vedere i resti di un accampamento risalente a chissà che epoca. Questo posto è uno spettacolo della natura, letteralmente.

Ma non è ancora finita per oggi, quindi continuiamo verso Belogradchik. Belogradchik è un piccolo villaggio con una fortezza storica. Il punto forte però è il contesto in cui è immersa la fortezza, un vero e proprio parco di roccia con piramidi alte fino a 200 metri che si estendono qua e là nella foresta circostante a dismisura. Il panorama dalla cima delle piramidi a ridosso della fortezza è mozzafiato!

Giorno 10 – ritorno a casa

E’ giunto il momento di tornare a casa, dopo aver esplorato in lungo e in largo un paese che ha davvero saputo sorprenderci con tutte le sue peculiarità artistiche e naturali. Prima di rientrare davvero però ci fermiamo a visitare le grotte Magura, nei pressi di Belogradchik. La visita è guidata e ci porta in profondità fra stalattiti, stalagmiti e reperti archeologici. Il punto forte sarebbe dovuto essere le pitture rupestri, che dicono essersi conservate molto bene in queste grotte. Dicono, perché noi proprio non le abbiamo viste. Peccato, ma a distoglierci dalla delusione ci sono campi e campi di girasoli che ci accompagnano verso la via di casa.

11 2 19

Chiunque sia stato in Giappone o stia organizzando un viaggio in Giappone ha sicuramente sentito parlare di Narita, il principale aeroporto per voli nazionali e internazionali di Tokyo. Sebbene gran parte delle persone partano o arrivino a Narita, sono in pochi quelli che si fermano a scoprire la cittadina che ospita questo importante scalo e, credetemi, è un vero peccato.

Oltre alle caratteristiche viuzze del centro città in cui si susseguono edifici in stile ryokan con ristoranti di anguilla e numerosi laboratori artigianali che producono dolci di riso e di castagne, una gita in giornata dalla capitale vale solo per passeggiare nell’enorme parco dei templi.

Si valica il portone con l’antica lanterna rossa e si incontra il primo e più importante tempio del complesso religioso, il Shinshi-ji, affiancato dalla sua pagoda rossa a tre piani. 

Dietro al tempio, incastonate nella roccia, ci sono decine di statue bronzee del Budda, che fanno la guardia a questo luogo sacro e accompagnano i visitatori al sentiero che porta all’interno del parco, fra alberi sempreverdi, e circa 500 pruni bianchi e rosa, che in questo periodo dell’anno cominciano la loro fioritura.

Il parco Narita-san è situato su una collina e prosegue lungo le pendici fino agli stagni a valle, risalendo poi per un secondo promontorio dove sono situati altri santuari e templi.
Come sempre nei luoghi di culto in Giappone, c’è pace e serenità e, nonostante ci siano veramente molti visitatori (è domenica), il silenzio è rotto solo dal suono della campana della preghiera e dagli uccellini che sentono la primavera. L’atmosfera si fa catartica soprattutto nei pressi dello stagno più grande, passeggiando lungo la riva fra ponticelli e lanterne di pietra giganti e uno splendido gazebo di legno circondato dall’acqua. Naturalmente non possono mancare le carpe Koi, bianche e rosse, grandissime, sempre in cerca di qualche cosa da sgranocchiare. 

Risalendo una scalinata di pietra si raggiunge la seconda area di templi, in cui fraternamente i giapponesi condividono lo spazio e le preghiere fra buddisti e scintoisti. Questo è un ottimo esempio di integrazione, rispetto e accettazione religiosa. A volte, gli stessi giapponesi non sanno se definirsi scintoisti o buddisti, rivolgendosi indifferentemente alle une e alle altre divinità, per questo nella maggior parte dei casi i luoghi sacri ospitano templi o santuari di entrambe le fedi. 

E’ emozionante visitare questi luoghi allo sbocciare delle prime gemme, quando tutto si tinge di un colore nuovo. Si intravede la primavera, si comincia a sentire aria di cambiamento. Tutto ha il profumo di un nuovo inizio, anche per noi.

8 2 19

 

Non c’è da stupirsi se Nikko compare nella lista dei patrimoni dell’UNESCO. Per quanto si tratti di una piccola cittadina, vanta uno dei siti religiosi più degni di nota nei dintorni di Tokyo. Noi ci prendiamo un weekend per visitarla, approfittando del Nikko pass che ci fa viaggiare con un bello sconto dalla stazione di Asakusa fino a Nikko (e ci da anche diritto ad usufruire dei trasposti locali in maniera illimitata). Solitamente i turisti scelgono di visitarla in giornata da Tokyo, opzione praticabile ma con tutte le cose che ci sono da vedere nei dintorni sono consigliabili almeno due giorni.

Arriviamo in stazione e dopo un pranzo veloce al kombini partiamo subito per la zona dei santuari. Nikko si trova in una zona montuosa e i punti di interesse sono in un bosco che potrebbe ricordare quelli di casa, ci mancava il profumo dei pini! Per di più, siamo contenti che i turisti optino per la visita mordi e fuggi: mentre noi andiamo verso la meta, la maggior parte dei visitatori sta tornando  verso il treno e ci troviamo a respirare un po’ di pace e silenzio in mezzo a alla natura e alla solennità dei templi alla luce tiepida del tramonto. Il Tosho-gu, il Rinno-ji, il Futurasan-jinja,..  Ci sarebbe un sacco da scrivere su ogni santuario e ogni tempio, per la loro bellezza e solennità, per i colori e gli intarsi, per il forte senso di introspezione e meditazione che si vive ammirando queste meraviglie. Fortunatamente ci sono già molti siti che lo fanno (uno di questi, ad esempio, lo potete trovare qui), così non dobbiamo dilungarci con descrizioni e cenni storici.

 

In un pomeriggio naturalmente non siamo riusciti a vedere tutto, quindi ci siamo tenuti un ultimo tempio per l’indomani, il che è stato anche una fortuna perché abbiamo visto lo stesso scenario anche con la neve (ebbene sì, continua ad essere inverno e a nevicare, qui). Nella zona dei santuari, sono anche da visitare il ponte Shinkyo, la villa imperiale Tamozawa e l’abisso Kanganmafuchi. Nonostante si chiami abisso, il Kanganmafuchi è una semplice passeggiata lungo il corso del torrente. Noi l’abbiamo visto in solitaria (non c’era anima viva!) ma abbiamo avuto la compagnia di una fila lunghissima di statue di buddha con berrettino e bavaglino rosso (vedi immagine di copertina).

Oltre a quello che siamo riusciti a vedere, ci sarebbero state anche altre escursioni da fare nei dintorni, come quella alle cascate Kegon, ma il freddo e la neve ci hanno fatto desistere dal fare le corse e ci siamo concentrati sulle già numerose cose a portata di mano.

 

Come potete capire un giorno solo per visitare Nikko è davvero poco, però capiamo chi vuole riempire la propria giornata con un programma anche serale – e a Nikko dopo le 18 non c’è NIENTE. Per rendere l’idea, la guida consiglia il FamilyMarket (per chi non lo sapesse, si tratta di un negozietto aperto 24h24 che offre cibo confezionato a basso prezzo e tutti i generi di sopravvivenza e/o cibo spazzatura per chi non ha la più pallida idea di come cucinare o di pianificare una spesa) come posto dove andare a bere qualcosa. Fortunatamente c’era anche una locanda che offre ramen fino alle otto, inutile dire che questa è stata la nostra (unica) scelta per la cena!

Per chiudere, una foto delle famose tre scimmie sagge: “non vedere il male, non sentire il male, non parlare del male”.

5 2 19

A Sapporo è cominciato il festival della neve e negli hotel c’è il tutto esaurito da mesi. Noi alloggiamo in un ostello a Otaru e visitiamo la capitale di Hokkaido con un’escursione in giornata: è notevolmente più economico e l’ostello è molto confortevole e con la colazione inclusa – niente male. I proprietari sono molto cordiali e si fermano sempre a parlare con noi. In quest’occasione i due mesi di giapponese hanno dato i loro frutti e posso dirmi soddisfatta.

A Hokkaido sta nevicando costantemente e la temperatura non da un attimo di tregua, ma considerato il piano della giornata non poteva essere altrimenti. Sapporo è una grande metropoli moderna, e i punti di interesse sono sparsi un po’ dappertutto. Fortunatamente è molto semplice da girare a piedi essendo un reticolato ordinato di strade e una volta stabilire le proprie priorità di visita il gioco è fatto. Dalla stazione in poco tempo raggiungiamo la Torre dell’orologio e la Torre della televisione, considerati entrambi edifici storici. Da quest’ultima si estende un lunghissimo parco che attraversa da est a ovest il centro città e che in inverno ospita il festival della neve. Una miriade di sculture bianche raffiguranti personaggi di anime e manga o, più semplicemente, della cultura giapponese si estendono per tutta la lunghezza del parco, alternati a stand di cibo di strada (come, ad esempio, una specie di involtino primavera formato super maxi contenente formaggio di Hokkaido e granchio, slurp) e veri e propri edifici di neve che fanno rimanere a bocca aperta.

Nonostante fosse lunedì, al parco c’era una processione interminabile di persone in visita, ma come sempre in Giappone tutto procede in maniera ordinata e senza code (com’è possibile?). Dicono che il numero di visitatori per questo evento sia aggiri ogni anno intorno ai 2 milioni in una sola settimana!

Dopo due ore e mezza di pikatchu, hello kitty e totori innevati decidiamo che è ora di andare a scaldarci un po’ al museo della birra di Sapporo (quella famosa, con la stella rossa sull’etichetta). Visto che però è un po’ presto per la birra, decidiamo di allungare il tragitto visitando anche la galleria commerciale e il mercato del pesce, un po’ fuori rotta ma sempre interessanti.

Il museo della birra è all’interno del primo birrificio giapponese, costruito in mattoni rossi in perfetto stile europeo. La storia del birrificio è molto interessante e ben spiegata tramite video e pannelli espositivi. Il tour (gratuito a meno che non si richieda la visita guidata, che però è solo in giapponese, quindi auguri!) se si legge tutto dura quasi due ore, ma vi assicuriamo che volano! Alla fine è anche possibile fare degli assaggi in una sala espositiva. I prezzi qui sono decisamente convenienti rispetto a quanto si paga una birra in Giappone e c’è gente che viene qui solo per questo motivo.

L’altro punto forte del birrificio è il beer garten: alcuni edifici del complesso storico sono stati adibiti a ristoranti in cui si può pasteggiare con la birra locale e rilassarsi dopo la visita. Per la cena noi abbiamo scelto il grill di Jenjiskhan – il nome prometteva bene e, infatti, il piatto non ci ha deluso e l’atmosfera era davvero suggestiva con i colori caldi e il profumo di griglia dentro e la neve che scendeva soffice fuori.

 

Dato il gran successo della visita al birrificio, abbiamo deciso di dedicare l’ultima giornata a Hokkaido alla visita della distilleria di whiskey Nikka, a mezz’ora di treno da Oraru. Anche in questo caso si tratta di un viaggio dall’aspetto europeo in cui è stata riportata l’antica tradizione scozzese. La visita è gratuita e vale la pena se si è in zona e si hanno un paio d’ore libere, e si vi piace il whiskey c’è pure la degustazione gratuita di tre tipi di whiskey.

In tutto questo, ci mancava solo il sake! Ma non c’è niente di simile qui al Nord, e poi è ora di riprendere l’aereo per Tokyo e per nuove avventure.

3 2 19

Hokkaido è la migliore meta per il turismo invernale in Giappone, a detta degli stessi giapponesi. Basta essere un po’ temerari per affrontare le rigide giornate ventose e amare la neve, ma proprio tanto tanto. Gli ultimi cinque giorni li abbiamo passati su quest’isola a nord del Giappone, per immergerci ancora una volta in paesaggi bianchi e farci avvolgere dalla neve ogni giorno. Sembra romantico da scrivere, ma viaggiare costantemente sotto lo zero proteggendosi dai fiocchi sempre più invadenti è stati piuttosto faticoso. Nonostante la stanchezza, ne è valsa la pena è siamo riusciti a vedere un Giappone diverso da quello che abbiamo conosciuto  finora.

Il paesaggio è più selvaggio e le città sono più occidentali rispetto all’Honshu, probabilmente per la scarsità di templi è per la presenza di chiese ed edifici costruiti nel diciannovesimo secolo, dopo l’apertura del Giappone al mondo esterno.

Hokkaido è un’isola grande e noi, in cinque giorni, abbiamo potuto apprezzarne solo una piccola parte: il lago Shikotsu, la località termale di Noboribesu, le scogliere di Muroran, la cittadina di Otaru e infine la rinomata Sapporo, in pieno festival della neve.

Ma andiamo per ordine. Il lago Shikotsu si trova a mezz’ora di autobus da Chitose (la cittadina da cui prende il nome l’aeroporto, che erroneamente viene chiamato “di Sapporo”) e in inverno ospita una propria versione del festival della neve. Il festival consiste in un villaggio di “Natale” costruito sulla riva del lago: una serie di torri, passaggi, tunnel e scivoli di ghiaccio fanno pensare di essere in una fiaba nordica! Molto divertente da visitare di giorno e suggestivo la sera, quando tutto il parco si illumina di mille colori. Nel centro visitatori c’è anche una piccola ma curata esposizione su fauna e flora locali e sulle caratteristiche morfologiche del territorio di origine vulcanica.

La nostra seconda tappa, Noboribetsu, è rinomata per la presenza di numerose fonti termali dai benefici più disparati, originati dall’attività vulcanica perenne nelle profondità della terra sottostante. Questi vulcanetti di origine sulfurea hanno anche dato origine alla poco distante Valle dell’inferno (in gergo locale Jigokudani), un percorso su passerelle di legno fra terre colorate – per noi solo tanta neve – e camini di fumo perpetuo, che occasionalmente danno anche origine a geiger con acqua a 80℃. La valle è molto suggestiva e vale la visita anche l’inverno, soprattutto se avete in piano subito dopo di rilassarvi (e soprattutto riscaldarvi) in uno dei numerosissimi onsen. L’onsen, ossia il bagno termale giapponese, è una vera tradizione in Giappone. Al contrario delle Terme in Italia, qui la regola è di entrare esclusivamente nudi potendo portare con sé un solo piccolo asciugamano da viso (quelli che negli anime o nei manga vedete piegati sopra la testa di chi è immerso nelle vasche), in più le terme sono separate per uomini e donne. Le docce sono all’interno della zona vasche che vanno usate per insaponarsi abbondantemente prima e dopo essere entrati nelle vasche, tutte non più profonde di 40cm. Se non avete problemi di nudità e di solitudine (se siete in coppia come eravamo noi), è un’esperienza che va fatta, per di più il prezzo è notevolmente più basso di quello a cui siamo abituati a casa rientrando in qualsiasi tipo di budget abbiate. Noi, visto che volevano farla grossa, siamo andati nel più grande complesso termale dell’intera isola, spendendo circa 16€ per tutta la giornata, ma se ci si accontenta di meno vasche su può pagare anche solo 3,30€. Insomma, niente scuse, va provato.

Il terzo giorno ci siamo spostati dall’oceano Pacifico al mar del Giappone/mare del Sud (dipende se chiedere a un giapponese o a un coreano). Approfittando del bel tempo, abbiamo fatto un’escursione lungo le scogliere di Muroran prima di prendere il treno per Otaru.

Otaru è proprio una bella cittadina, per essere un porto di mare. È tutta raccolta attorno ad una grande baia ed è famosa per il suo canale che ricorda un po’ i paesi del Nord Europa. In inverno lungo il canale vengono fatte delle sculture di neve che la sera si illuminano di giallo e blu, rendendo l’atmosfera ancora più romantica. A Otaru mangiare il sushi è un must: qui i ricci di mare e il granchio sono i più freschi e gustosi di tutto il paese e, in generale, si trova pesce fresco e di ottima qualità in qualsiasi locale.

Le attrazioni della zona, oltre al canale, sono la villa Aoyama e qualche edificio storico nel centro città, il tutto visitabile in giornata.

C’è anche la possibilità di prendere una funivia per salire fino ad un punto panoramico che dicono essere mozzafiato, ma noi siamo troppo stanchi e infreddoliti per allungare ulteriormente la nostra giornata e andiamo volentieri a letto per prepararci all’intensa giornata che ci aspetta a Sapporo l’indomani.

27 1 19

Lo so, sono passati più giorni del solito dall’ultimo articolo che abbiamo pubblicato. Di cose ne sono successe, ma ormai la maggior parte rientra nell’ordinario – serata a Shinjuku a mangiare il sushi, passeggiatina serale vicino a casa con cena a base di tempura, tentata visita ai giardini del palazzo imperiale ancora una volta chiusi (al 4° tentativo..), eccetera, eccetera.  

Se proprio vogliamo parlare di nuove esperienze, venerdì abbiamo fatto serata pizza a domicilio da noi, visto che i colleghi di Lorenzo si erano stupiti che non avessimo ancora mangiato una pizza da quando siamo arrivati in Giappone. Potevamo ascoltare la nostra vocina interiore quando ci diceva che essendo fuori dall’Italia era meglio non farlo, ma ci piace troppo provare cose nuove e rispondere alle sfide, quindi abbiamo invitato tutti e abbiamo chiamato la pizzeria. Non mi dilungherò nel racconto, ma ci tengo a fare due considerazioni: 1) La pizza “Large” ha le dimensioni di una normale pizza in Italia, ciononostante i nostri ospiti erano sconvolti dal fatto che avessimo il coraggio di mangiarne una a testa, 2) La Margherita “Large” costa circa 14€ ed è nella fascia più economica, mentre le pizze della fascia più alta costano 28€, il doppio: questa volta gli sconvolti eravamo noi. La serata è comunque stata un gran successo nonostante, in fin dei conti, la pizza migliore fosse quella con maionese e gamberetti – che è tutto dire.

Ma torniamo al Giappone: domenica non c’era una nuvola e la temperatura era mite, giornata perfetta per una gita a Yokohama – la seconda città più popolosa del Sol Levante, con i suoi 3,1 milioni di abitanti.  
Yokohama è famosa per essere stato uno dei primi porti aperti ai commercianti del mondo esterno – da qui la sua fortuna nell’ultimo secolo e l’alta percentuale di stranieri che vi risiedono – e per ospitare la più grande Chinatown del Giappone.

Devo ammettere che non credevo di potermi divertire così tanto come in questa Chinatown: c’è confusione, c’è rumore, è tutto super colorato e ci sono insegne che sbucano ovunque. Per visitare questo quartiere in ogni sua parte, basta farsi guidare dai profumi che si perdono nell’aria: in ogni vicolo e ad ogni angolo si alzano da cesti di bambu le nuvole di vapore dei wonton e dei baozi sempre pronti per uno spuntino al volo. Se vi piace la vera cucina cinese, questo è il paradiso! Ci sono anche dolci di ogni tipo, ma quello che vendono tutti è una specie di Tangyuan ripieno di crema di fagioli dolci e ricoperto di semi di sesamo, che delizia! Non si tratta solo di cibo, camminare per queste vie fa veramente immergere in una cultura diversa da quella che abbiamo vissuto negli ultimi due mesi. Non c’è niente di nipponico né di occidentale qui dentro, è una vera e propria exclave cinese. Anche il tempio principale naturalmente, il tempo di Ma Zhu Miao, ha poco a che vedere con i luoghi di culto giapponesi. Estremamente colorato e dai motivi arzigogolati, a partire dal portone di ingresso, il tempio è pieno di incensi, oggetti votivi ed elementi decorativi opulenti, in perfetto stile con il quartiere circostante. Dalla frenetica Chinatown, si può prendere una boccata d’ossigeno passeggiando per Motomachi-dori e Naka-dori, due lunghe vie parallele che mantengono la struttura originaria dell’antico nucleo di Yokohama ma che col tempo si sono trasformate nelle vie più “in” della città, con un susseguirsi di negozi e boutique di alta gamma. Da qui si può proseguire per l’Harbor View Park, da cui si ha una bella vista sul mare e su una piccola porzione di skyline della citta. Il mare non è proprio romantico, trattandosi di una delle zone portuali più prospere del Giappone, in ogni caso vale la visita almeno per ammirare i roseti e il giardino all’inglese. Sempre a piedi, si può raggiungere il parco Yamashita, una splendida distesa verde che separa la città dal lungo-mare. Per percorrerlo tutto da capo a capo ci vuole una piacevole passeggiata di quasi un chilometro, fra le aiuole di fiori o lungo la promenade con vista sulla città. Qui incontrerete gente di tutti i tipi: genitori con bambini, gruppi di studenti che giocano in divisa scolastica, ragazzi con lo skateboard, anziani che giocano a Pokemon-go (non stupitevi perché qui quasi tutti gli over 50 ci giocano, ma fra tutti sono i nonnetti quelli fortissimi e agguerritissimi!) e cani portati a spasso in passeggino o con ridicole “dolcevite” di lana. Questa città sembra proprio fatta per la domenica, l’aria è rilassata e c’è un sacco di gente a passeggio. Proseguendo lungo la via pedonale, mantenendoo come meta la ruota panoramica che si vede in lontananza, si arriva al’Osanbashi, un molo adibito a parco e zona fiere, da cui si ha la postazione perfetta per gustarsi l’arrivo della sera e vedere le luci della città che cominciano a prendere colore. Domenica qui c’era la festa della birra artigianale, non vi dico che casino e che eccitazione fra i presenti.  Andando ancora più avanti si arriva sull’isola artificiale dove si trovano il museo dei noodles (dicono sia divertente, soprattutto perché si possono fare molti assaggi e infine ci si può creare la propria ciotola di noodle, ma dopo l’abbuffata a Chinatown non era proprio il caso di rincarare la dose), l’edificio di mattoni rossi – sì, si chiama così perché è uno dei pochi in mattoni ancora in piedi quindi ne vanno fieri – e il parco divertimenti Yokohama Cosmoworld, in cui c’è la ruota panoramica stile orologio più grande al mondo: la Cosmo Clock 21 Ferris Wheel. Per chi volesse godersi il panorama dall’alto, oppure provare a vedere il monte Fuji (ancora una volta, sempre lui), la Yokohama Landmark Tower è una tappa obbligata a due passi dal parco divertimenti, ma per accedervi c’è sempre la coda.  Per chi invece vuole risparmiare il biglietto di ingresso e di torri ne ha già viste abbastanza, meglio la bella vista dall’Osanbashi: è gratis e, quando alle prime luci del tramonto tramonto comincia lo spettacolo di luci sulla ruota panoramica, lo spettacolo è mozzafiato.

21 1 19

Shibamata è uno Shitamachi, ossia una piccola cittadina alle porte di Tokyo che preserva ancora oggi l’atmosfera del periodo Edo. Case basse e botteghe artigiane affiancano la via principale, che porta dalla stazione (solo 30 minuti di viaggio da Asakusa) fino al tempio buddista Taishakuten. Lungo il percorso sono tante le vetrine di dolci di matcha, senbei e kusa dango, e non puoi fare altro che voltarti continuamente a destra e sinistra per vedere le pasticciere al lavoro mentre preparano queste prelibatezze davanti ai tuoi occhi.

Avvicinandosi al tempio, i dolci lasciano spazio a DarumaOmamori – bambole votive e amuleti portafortuna –  un’esplosione di colori! Il Taishakuten è un vero e proprio gioiello, considerato fra i 100 migliori paesaggi/luoghi da visitare del Giappone, ed è famoso principalmente per  le decorazioni intagliate nel legno. Esternamente, la sala della preghiera è completamente ricoperta di scene del Buddha e circondata da teste di drago, la cui qualità nei dettagli è davvero impressionante. 

Ma c’è di più: dietro al tempio si nasconde un delizioso giardinetto giapponese, chiamato Suikeien, visitabile a piedi scalzi percorrendo la tipica passerella di legno. Uno stagno con le carpe, una pagoda di pietra a 5 piani, una fonte di purificazione, le catene della pioggia e qualche pianta decorativa stagionale rendono questo luogo meraviglioso, anche in inverno.
Poco distante dal tempio si può raggiungere il fiume Edogawa, lungo cui c’è un’area verde per pic-nic, un campo da baseball e un’ottima pista per correre e andare in bicicletta. In questo caso però si fa sentire l’inverno e, nonostante ci fosse pieno sole nel giorno di visita, la brezza era piuttosto pungente. Anche lungo il fiume le cose non sono cambiate molto dal periodo Edo, i pontili sono ancora in legno (e non sembra che qualcuno gli abbia manutenuti, dall’epoca Edo).

Sarà per la vicinanza al fiume che il piatto forte di questa zona è l’anguilla, in particolare quella grigliata o l’unagi donburi. Si può trovare in quasi tutti i ristoranti della città e dicono sia proprio una tappa obbligata per chi viene in visita a Shibamata (noi in realtà l’abbiamo mangiata la sera stessa a Ueno, in un locale mignon consigliatoci da un’amica, un piatto davvero prelibato!).

Oltre al fascino storico e alle bellezze architettoniche che racchiude, Shibamata è famosa in tutto il Giappone (e probabilmente anche oltre) per il celeberrimo Tora-san, protagonista della serie televisiva Otoko wa Tsurai yo. La serie è ambientata principalmente in questa cittadina, luogo natio di Tora-san, i cui scorci sono passati davanti agli occhi di ogni giapponese che abbia mai avuto una televisione dal 1969 in poi. Ebbene sì, la serie è cominciata nel ’69 per continuare fino al 1995, stesso regista e stesso protagonista – roba da guinness dei primati, altro che Beautiful!
La serie è stata talmente importante per la città che potrete trovare una statua del protagonista ad accogliervi appena usciti dalla stazione e riconoscerete Tora-san come mascotte in tutti i negozi di souvenir di Shibamata Sando. 

Eccovi il il primo episodio, enjoy!

17 1 19

Tokyo è grande, immensa, ma è ora di uscire dai confini metropolitani per scoprire cosa c’è appena al di fuori della capitale Giapponese. Giovedì siamo andati in gita “in montagna” con la nostra amica M. Uso le virgolette perché, sebbene qui sia considerata una vera e propria escursione, la salita al monte Takao (Takao-san per i giapponesi) è letteralmente una passeggiata. 
Prendendo la linea Keio da Shinjuku, in 50 minuti si arriva ad una stazione alle pendici del monte, da cui partono una funicolare e una seggiovia che portano appena al di sopra di quota 400m s.l.m. e da qui si comincia la salita.  

Ci sono diversi sentieri che arrivano alla vetta, noi scegliamo di prendere il numero 1, che conduce ai principali punti di interesse lungo la salita. Come sulla maggior parte delle montagne giapponesi facilmente accessibili, sul percorso troviamo locande in cui mangiare, venditori di dolci di riso (qui sono particolarmente rinomati i Dango – tre palline di pasta di riso spennellati con salsa di miso dolce – e i Manju) e soprattutto templi e santuari, in cui gli escursionisti si fermano a pregare o a esprimere desideri di buon auspicio o di guarigione.
Ogni tempio è dedicato a una divinità che protegge/guarisce una specifica parte del corpo (quello che vedete in copertina ad esempio è dedicato alla divinità protettrice dei piedi, come si può notare dalla distesa di zoccoli di legno) e per chiedere protezione basta avvicinarsi alla pietra sferica posta in prossimità del tempio che riporta la scritta della parte da curare (occhi, orecchie, arti, ecc.), toccarla con una mano e sussurrare la benedizione. In particolare, sul monte Takao, oltre alle pietre sferiche si trovano statue di polipo che svolgono la stessa funzione e per ottenere una specifica protezione basta toccare la parte del polipo corrispondete alla zona del corpo interessata.
So che vi starete chiedendo come si fa con il polipo a proteggere per esempio il naso o le orecchie. Anche in questa circostanza meglio non farsi troppe domande, considerando il fatto che è stato scelto il polipo per via della sua somiglianza con gli alberi del bosco e le loro radici (è evidente che proveniamo da una cultura molto diversa, non ci sarebbe mai venuto in mente come paragone!).   

Nel giro di poco, e senza nemmeno molto sforzo, raggiungiamo la cima: ben 599m s.l.m., ce la siamo proprio guadagnata! Noi ci ridiamo ma la nostra compagna di viaggio aveva il fiatone – gente di città. Mangiamo i nostri onigiri baciati dal sole e con una bella vista del monte Fuji tutto innevato che si staglia fra le montagne in lontananza.
Per il ritorno scegliamo il sentiero numero 4, che è un po’ più selvatico e immerso nella natura. Il bosco ricorda quello delle nostre Prealpi – anche se alcune specie come le piante con la fioritura invernale da noi non si trovano – e il percorso è tranquillo e ben segnalato. Passiamo anche un ponte sospeso, che è una delle maggiori attrazioni da queste parti, e scendiamo a piedi fino alla stazione senza ricorrere alla funicolare (almeno in discesa si può fare, altrimenti che escursione è?). 

Il Takao-san è una delle mete preferite dagli abitanti di Tokyo per evadere dalla frenesia cittadina e respirare un po’ di aria buona, specialmente nei fine settimana e in autunno durante il foliage. Ottima meta per una giornata all’aria aperta, anche per chi è un turista in città ed è stufo di insegne al neon e del rumore della città!  

14 1 2019

Oggi è il Seijin-no-hi, letteralmente “giorno di arrivo dell’età”, e in Giappone è festa nazionale e. Oggi i ragazzi che nel 2019 compiranno 20 anni entrano ufficialmente nell’età adulta e da questo momento possono bere, fumare, scommettere, frequentare locali per adulti e guidare. Fino al 2015  anche il diritto di voto veniva conquistato in questo giorno importante (attualmente si può votare a 18 anni). Questa festività è dedicata a loro.

Ma come si celebra l’avvento dell’età adulta? In ogni municipalità, alle 11.30 del mattino del secondo lunedì di gennaio, avviene una cerimonia che vede come protagonisti i ragazzi – neo ventenni – che ricevono le congratulazioni dal sindaco in persona per il passo importante che questo giorno rappresenta. Il sindaco ricorda loro il significato del passaggio che stanno compiendo, elencando tutti i diritti e doveri acquisiti attraverso la cerimonia.
Le ragazze, truccatissime e con le acconciature fresche di parrucchiere, vestono il tradizionale kimono, mentre la maggior parte dei ragazzi preferisce il completo da business-man  al più tradizionale abito da cerimonia. Al giorno d’oggi, sono rari i giovani che possiedono un kimono proprio o che hanno la possibilità di farsene prestare uno dai propri familiari, e quasi tutti si rivolgono ai negozi di noleggio. Leggendo qua e là, sembra che alcune ragazze arrivino a spendere fino a 1 milione di yen (circa 7.500€) per apparire nel kimono perfetto in questa giornata così importante! D’altronde, oltre ai familiari, tutta la comunità può partecipare alla celebrazione, ma soprattutto un sacco di fotografi professionisti ingaggiati dalle famiglie e, nelle municipalità più rinomate, anche numerose emittenti televisive che trasmettono la cerimonia live sui principali media nazionali. La cerimonia talvolta viene terminata con uno spettacolo di suonatori di 
taiko, i tamburi tradizionali giapponesi e in seguito i “nuovi adulti” proseguono i festeggiamenti passando in rassegna tutti gli eccessi a cui da questo momento hanno libero accesso.

Per questa celebrazione la città si ferma: intere aree vengono bloccate al traffico e diventano zone pedonali con musica, performance di artisti di strada e manifestazioni di ogni tipo. Noi siamo stati a Shibuya, uno dei quartieri più indicati per seguire l’evento, ma non abbiamo visto niente – o per lo meno niente che ci saremmo invece aspettati per quanto riguarda il seijin-no-hi. Suppongo che abbiamo esaurito la nostra fortuna con il Dezuiri della settimana scorsa – poco male visto che di giovani in kimono se ne vendono comunque anche la domenica (specialmente andando al tempio).

Solo una parentesi sull’estetica prima di chiudere, visto che poco sopra ho accennato all’attenzione che porgono le ragazze per apparire al meglio nel giorno del seijin-no-hi. L’estetica in Giappone è un fattore molto importante e vengono consumati sia da uomini che donne litri e litri di creme e prodotti per la pelle in generale per sembrare sempre giovani e belli, per quanto possibile.
A questo proposito, abbiamo scoperto che la famosa “mascherina” a volte viene utilizzata per coprire i volti ancora struccati, e non solo per evitare i contagi dei mali di stagione. Capita molto frequentemente di vedere ragazze e donne che, sedute sulla metro, tolgono la mascherina,  sfoderano il loro arsenale da make up e cominciano a truccarsi in maniera quasi professionale senza sbagliare un colpo, nonostante il movimento dei vagoni. Oppure che si fanno la pulizia del viso usando dei foglietti “anti unto” in formato tascabile (la mia amica M. me ne ha regalato un pacchetto da testare, è rimasta scioccata dal fatto che non siano parte integrante del kit che ogni donna porta in borsa – o, sicuramente, non del mio). Evidentemente, anche se qui non ti guarda nessuno, l’importante è apparire impeccabili.

 

 

P.S. Se qualcuno di voi si fosse domandato che fine ha fatto la signora che abbiamo incontrato sul treno per Kamakura a inizio dicembre e, soprattutto, che fine ha fatto il suo invito a cena, ecco com’è andata: l’abbiamo incontrata sabato scorso alla stazione di Kawaguchi (non chiedeteci come abbiamo fatto a riconoscerla fra milioni di nonnine giapponesi presenti alla stazione quella sera) e ci ha portati a mangiare in un ristorante cinese non molto lontano ma molto rinomato in zona. Naturalmente noi ci aspettavamo un invito a casa ma non potevamo pretendere troppo, soprattutto adesso che cominciamo a capire come funzionano le cose. In compenso, ci ha chiesto di partecipare alla lezione di inglese che avrebbe tenuto (come volontaria, essendo un’insegnante ormai in pensione) quella sera stessa per i ragazzi del quartiere che hanno in programma uno scambio interculturale in un paese di lingua inglese. L’esperienza è stata molto interessante e anche divertente, i ragazzi si sono messi alla prova e ci hanno fatto moltissime domande curiose e anche noi, con la scusa di allenare la lingua, siamo riusciti a farci un’idea più precisa dei giovani giapponesi. Sembra che le nuove generazioni non siano tanto diverse dalle omologhe europee, e questo ci stupisce dal momento che dal punto di vista della società le differenze sono molte. Chissà a che punto della crescita avviene il cambiamento. Sarà il seijin-no-hi?