9 1 2019

Non c’è niente di più bello che capitare nel posto giusto al momento giusto. Il Meiji-jingu era da un po’ sulla nostra lista e vista la giornata limpida valeva la pena addentrarsi nell’oasi verde che lo circonda. Il santuario scintoista Meiji è uno dei più importanti in città, secondo solo al Senso-ji di Asakusa per quanto riguarda la tadizionale Hatsu-mode, ossia la visita al tempio del primo dell’anno. Nota importante per i lettori, che avevo dimenticato di menzionare nella’rticolo opportuno: siamo ufficialmente nell’anno del cinghiale.

Al santuario si celebrano numerose festività durante tutto l’anno e la settimana prossima sarà affollatissimo per il Seijin-no-hi – giorno degli adulti – in cui i ragazzi di vent’anni celebrano l’ingresso nell’età adulta e vanno al santuario per chiedere la benedizione agli dei, spesso indossando il kimono.

Ieri al santuario c’era una discreta folla alle due del pomeriggio, e il cortile interno di fronte all’Honden era “transennato” (alla giapponese, quindi con un i paletti con le corde di tessuto che si vedono nei cinema, non con le barriere di metallo a cui siamo abituati noi) e la security stava predisponendo l’area per un qualche evento. Decido di prendere posizione e aspettare, cercando di capire cosa sarebbe accaduto di lì a poco. L’unica cosa che ho capito con anticipo dal leggerissimo brusio dei presenti è che tutto sarebbe iniziato alle tre, meglio armarsi di pazienza. Mentre cercavo informazioni su internet, una squadra “della scientifica” ha cominciato a pulire meticolosamente il corridoio centrale lasciato libero, spazzando e lucidando ogni centimetro quadrato. Arrivano in massa fotografi e troupe televisive, che vengono schierati con ordine e in totale silenzio nella postazione a loro designata. Come sempre, qui, ognuno ha un posto predefinito, un ruolo predefinito e delle regole predefinite, non si sgarra.

Cerca, cerca, trovato – google sa sempre tutto per fortuna: sto per assistere al Dezuiri.
Il Dezuiri è la cerimonia di ingresso al ring dello Yokozuna, ossia il massimo campione di sumo in carica. Per essere yokozuna non basta aver vinto un certo numero di tornei o  aver ottenuto un certo punteggio, bisogna anche possedere le qualità morali necessarie. Non per niente lo yokozuna è considerato una semi-divinità scintoista e al suo ritiro verrà pagato per questo (mmm.. boh.). Al contrario di quanto si potrebbe pensare, i lottatori di sumo non sono tutti giapponesi, anzi, il campione in carica che ricopre attualmente il ruolo di Yokozuna è di origine mongola.
Durante il Dezuiri, lo Yokozuna viene purificato da un prete scintoista e successivamente si esibisce in un antico rituale per celebrare il nuovo anno e per purificare il ring (dohyo) nel giorno di apertura del torneo, assieme ad altri due lottatori. I tornei di sumo si tengono solo a mesi alterni, dunque gennaio, marzo, maggio, etc., questi colossi hanno tempi di ripresa piuttosto elevati.

La performance dura poco più di un minuto per ognuno dei tre campioni. Lo spettacolo è impressionante: omoni giganti che si muovono lentamente con mosse da ballerina. Ad un certo punto si sbilanciano, alzano una gamba e poi giù, con il piede forte a terra, e tutti intorno: “wooohh”, “neeeee”, “oishiiii!” (non so perché quest’ultima espressione, visto che solitamente si una per indicare un cibo particolarmente buono. Ancora una volta, non facciamoci troppe domande). Mai vista una cosa del genere.

Per chi fosse interessato al sumo o a come si svolgono gli incontri sul ring, questo è un bel video con i momenti salienti di un match fra campioni: buona visione!

6 1 2018

Il kabuki è veramente qualcosa di fuori dall’ordinario. Non solo per la sua origine etimologica, ma anche per come in occidente intendiamo il teatro. Il kabuki, infatti, è una forma di teatro giapponese che pone le sue radici all’inizio del 1600 e si basa sulla rappresentazione di fatti veri accaduti storicamente, ma non necessariamente di rilevanza storica, soprattutto riferiti al periodo Edo. Avrete sicuramente già visto qualche foto o qualche pezzettino di rappresentazione in televisione, sono quelle rappresentazioni in cui gli attori vestono kimono dai colori sgargianti e hanno la faccia completamente pitturata di bianco. Il kabuki non tratta mai di argomenti esistenziali, ma ricalca fatti e usi della società cittadina giapponese. Niente monologhi, niente pensieri filosofici, nessuna riflessione politica. Solo emotività data dalla comunicazione non verbale e dalla fragilità dei personaggi. Sebbene fosse nato da un gruppo di attrici al femminile, per motivi di pudore ad un certo punto è stato stabilito che tutti gli attori dovessero essere uomini, anche per interpretare personaggi femminili.

Io e M. abbiamo assistito venerdì ad un atto di kabuki – intitolato Kichirei Kotobuk Soga allo storico Kabukiza di Tokyo. Il teatro propone uno spettacolo diurno e uno serale, composti rispettivamente da quattro e tre atti, per una durata complessiva di circa quattro ore a spettacolo. Anche se fanno parte dello stesso spettacolo, spesso gli atti non hanno nulla a che vedere l’uno con l’altro. Fortunatamente, per i meno temerari, è possibile acquistare il biglietto per vedere il singolo atto, seppure in piedi (durata 30 minuti circa). La rappresentazione a cui abbiamo assistito riguarda la leggenda dei fratelli Soga e la loro vendetta contro il guerriero Kudo Suketsune che uccise il loro padre. I due fratelli irrompono nella villa dove la moglie di Kudo, Naginoha, alloggia mentre è in visita al tempio di Hakone e si prepara a celebrare la festa per l’inizio dell’anno. Naginoha, convinta dai fratelli Soga, dà loro l’accesso al terreno di caccia di Suketsune per potersi avvicinare al marito. Fine. Non chiedetemi di più, perché non ho capito come mai l’atto sia finito senza veder rappresentata la vendetta. Mi ha consolato il fatto che anche M. non abbia capito, ma mi ha detto che il kabuki funziona così e ha anche ammesso che ha capito a malapena metà dei dialoghi perché recitano in un giapponese arcano. Sarà come l’opera da noi.

Valutazione del kabuki, per quanto poco ho potuto vedere: bellissima la coreografia, i costumi e molto affascinanti le scene e i movimenti. Interessante la musica e l’entrata in scena dalla passerella in mezzo al pubblico. Sono perplessa invece per quanto riguarda la recitazione, parlano tutti lentissimi scandendo le sillabe e modulando la voce in maniera stranissima, tant’è che pensavo si trattasse di una vicenda comica e non drammatica – ecco spiegato perché nessuno rideva. Complessivamente, un’esperienza che va fatta per migliorare la comprensione della storia giapponese e del modo di pensare di questo popolo. Ma non lo spettacolo intero, quello no, 4 ore sono davvero troppe.

Per completare la cultura delle arti visive, ieri siamo stati al cinema per la prima volta qui in Giappone. Abbiamo assistito ad una proiezione con tecnologia ScreenX in cui anche le pareti laterali diventano schermo – potrebbe ricordare il cinema 3D, ma senza gli occhialini. All’inizio pensavamo che il nostro stomaco non avrebbe retto (saranno stati forse i pop-corn al burro di Hokkaido e soia?), ma una volta abituati ad essere quasi completamente circondati da immagini in movimento ci siamo goduti lo spettacolo. Anche in questa occasione però siamo rimasti un po’ delusi: screenX a parte, la sala non era super tecnologica e avveniristica come ci saremmo aspettati da uno dei cinema più rinomati di Tokyo (Aquacity cinema a Odaiba), abbiamo trovato più modernità al CineCity di Gerusalemme quando, casualmente, siamo finiti in sala VIP. In ogni caso, uscire dal cinema quando fuori è buio e vedere il Rainbow bridge tutto illuminato e lo skyline di Tokyo sullo sfondo non ha prezzo 🙂

 

 

3 1 19

Per i giapponesi l’inizio del nuovo anno è una vera festa. La maggior parte delle attività commerciali e dei musei sono chiusi per quasi tutta la settimana e, se non fosse per le lunghe code fuori dai templi, Tokyo sembrerebbe una città fantasma. Ok, forse è un po’ esagerato, però si nota la differenza rispetto a un giorno comune, non si vede neanche il signore che porta a spasso il suo barboncino marrone 10 volte al giorno qui sotto casa.

I giapponesi non fanno il classico countdown o il cenone del 31 dicembre, né alcun tipo di festeggiamento in particolare: stanno a casa con la loro famiglia. E’ una delle poche occasioni in cui si riuniscono e passano del tempo con i parenti mangiando Osechi-ryori. L’Osechi è il tipico piatto per il capodanno ed è preparato dalle donne giapponesi in modo da poter durare per tre giorni, tempo in cui anche le donne possono finalmente riposarsi senza pensare ai fornelli. Eh già, perché qui solo le donne stanno in cucina, evidentemente. Quando al caffè linguistico ho detto che anche mio marito cucina, le signore sono rimaste tutte scioccate e hanno giustificato la mia affermazione dicendo ” Ma certo, siete italiani, e gli italiani quando si tratta di cibo..” e poi grosse risate. Mah. In ogni caso, non si può cucinare durante il Toshigami-sama, che da tradizione scintoista sarebbe il periodo di tre giorni in cui le divinità (o spiriti degli antenati) portano il nuovo anno. Ogni pietanza ha il suo significato, ad esempio le uova di aringa simboleggiano la fertilità, i fagioli di soia neri la fede, la pasta di pesce protegge contro dal male e le sardine essiccate sono auspicio di buon raccolto. Come menu non sembra invitante, ma se funziona..

L’unica attività immancabile da fare a capodanno è la prima visita al tempio. Chi buddista, chi shintoista, a volte va bene perché nello stesso tempio ci sono elementi buddisti e shintoisti mischiati assieme, la cosa importante è andarci il prima possibile. Il santuario scintoista si individua facilmente perché per entrarci bisogna passare sotto il “Torii“. Il torii è una specie di barriera che separa i Kami (detti Kamisama per rispetto religioso) dalle persone, per questo bisogna inchinarsi prima di accedervi. Una volta superato il torii, si dovrebbe camminare ai lati della strada principale, perché si dice che le divinità stiano sempre al centro. In alcuni templi ci sono anche delle piccole pietre levigate chiamate Tamajari, ossia pietre con l’anima, e se ci cammini sopra ti purifichi – un’ottima alternativa per lo spirito, un po’ meno per il corpo. Prima di avvicinarsi al santuario, bisogna lavarsi le mani (c’è chi a volte si lava anche la bocca) al Chozuya:

Si intinge la coppa di bambu una volta sola e si versa l’acqua prima nella mano sinistra, poi nella mano destra, poi nuovamente nella sinistra se ci si vuole pulire la bocca e infine si fa scorrere l’acqua sul manico per purificarlo prima che lo utilizzi la prossima persona. Infine si raggiunge la sala del culto, Haiden: si mette una moneta nell’offertorio, si suona la campana, ci si inchina due volte e si battono due volte le mani per farsi sentire dai Kami. Si congiungono le mani in preghiera e prima di esprimere il proprio desiderio si sussurra ai Kami il proprio nome e la propria data di nascita, senza scordare di menzionare la propria gratitudine. Per concludere, ci si inchina un’ultima volta prima di lasciare il torii. Nel caso del tempio, il rituale è lo stesso, ma non si battono le mani e ci si inchina solo una volta.

C’è un altra tradizione che il primo dell’anno è sentita molto di più che in tutti i 364 giorni a seguire: l’omikuji, ossia il biglietto della fortuna. L’omikuji contiene una predizione divina per chi lo estrae e ce ne sono di molto belli ma anche di molto brutti. Si paga un’offerta e si scuote una scatola metallica contenente bastoncini di bambu numerati con i numeri giapponesi, si estrae un bastoncino e si apre il cassettino con il numero corrispondente, da cui si pesca il biglietto. Qualsiasi cosa si peschi non bisogna far trasparire nessuna emozione, da bravi giapponesi. Se il biglietto è di buon auspicio lo si porta con sé per avere sempre la fortuna al proprio fianco, altrimenti va annodato al tempio così saranno i Kami a prendersi cura della vostra cattiva sorte e la sfortuna non vi seguirà.

1 1 2019

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Finalmente un po’ di neve. Diciamo che in questi quattro giorni di viaggio con J. ne abbiamo fatto il pieno, nel caso non avessimo più occasione di vedere uno spettacolo simile. Al nostro arrivo a Takaoka, le Alpi giapponesi ci hanno accolto con una bella nevicata, che a tratti durante il giorno sembrava quasi bufera. Con il world heritage bus risaliamo la ripida strada, completamente bianca, che ci porta a Gokayama. Questa regione è molto rinomata per i villaggi di Ainokura e Suganuma, patrimonio dell’UNESCO, dove si trovano le tradizionali case con i tetti dalle mani giunte (in lingua locale gassho-zukuri). I tetti in paglia molto spioventi, ricordano le mani dei monaci buddisti in preghiera, da questo il loro soprannome. Sulle montagne è bianco ovunque e la neve continua a scendere copiosa, ce ne sarà almeno mezzo metro sui tetti delle case!

 

I villaggi hanno il loro fascino già di per sé, ma l’atmosfera magica di questa stagione è veramente unica. Purtroppo gran parte dei musei e delle botteghe artigiane erano chiusi per via del capodanno, ma per godere a pieno di questo luogo ameno è bastata la visita a cielo aperto intervallata da qualche battaglia a palle di neve, giusto per tenerci caldi. Finalmente, qui,  abbiamo visto anche i famosi cachi giapponesi che stavo cercando da qualche tempo (ricoperti di neve, come descritto nel libro Né di Eva né di Adamo di Amélie Nothomb). La notte abbiamo pernottato in un ostello, situato sul crinale della montagna in prossimità di Kaimukura, che non ha nulla a che vedere con gli ostelli a cui siamo abituati: la camerata mista ha otto postazioni con letti a castello, ma ogni letto in realtà è una cabina a sé che garantisce ad ognuno la sua privacy e tutti i comfort del futon. Ottima esperienza. La sera abbiamo mangiato in una locanda dove il proprietario, cuoco e fornitore (sì, è la stessa persona), propone un menu di selvaggina del posto. Ci lascia perplessi, ma al contempo molto incuriositi, il fatto che qui si mangi carne di orso. Tutto buono, per carità, ma mai come quello che si mangia in montagna da noi.

Al risveglio il giorno dopo ancora nevica. Poco male, all’ostello ci siamo scaldati e l’entusiasmo per tutto questo candore è ancora a livelli piuttosto elevati. Raggiungiamo Kanazawa in poco meno di due ore e cominciamo la nostra visita. Seguiamo le persone che si aggirano per la strada con dei bento giganti di polistirolo: stanno andando tutti al mercato del pesce di Omicho a fare la spesa per il nuovo anno e quel bento in realtà è un contenitore di polistirolo contenente il ghiaccio per mantenere le provviste fresche fino a casa (come se servisse). Al mercato ci sono anche un sacco di localini in cui fare gli assaggi, dicono che qui a Kanazawa il pesce e i frutti di mare siano i migliori del Giappone e ci ripromettiamo di tornare al mattino seguente per la colazione (scelta un po’ hardcore ma J. dice che così si fa, in da queste parti).

Nonostante anche qui gran parte dei punti di interesse fossero chiusi, siamo comunque riuscire a visitare gran parte delle attrattive della città: il Castello, il giardino Kenrouken, il tempio Myouryuji (detto tempio dei ninja per tutte le botole e i passaggi segreti che permettono di sparire e nascondersi in un istante), il quartiere delle geishe Nishi-Chaya (Kanazawa è la seconda città del Giappone conosciuta per le scuole di Geisha), il quartiere dei samurai con la bellissima casa Nomura (residenza di un vero samurai, in cui abbiamo anche assaggiato un vero macha nella sala da té – senza cerimonia purtroppo), e  infine qualche tempio lungo la strada. Per cena abbiamo scelto di scoprire se è proprio vero che il pesce a Kanazawa è il più buono del Giappone: siamo stati da Maruyoshi sushi, un ristorante a condizione familiare – il mastro sushi e sua moglie – con 10 posti lungo il bancone e menu che varia a seconda del pescato del giorno.

Siamo stati molto fortunati: 7 posti erano già prenotati e tre – giusti, giusti – liberi per noi. Noi due siamo stati ancora più fortunati ad avere con noi J. che parla un po’ di giapponese e ha potuto chiedere allo chef cosa stavamo mangiando. Iniziamo con sake caldo e degli assaggi di antipasto che qui chiamano oden, nel nostro caso una specie di canederlo di rice-cake con all’interno un uovo sodo, un involtino di cavolo e riso e la “solita” radice – qui la mangiano sempre e comunque, non sappiamo veramente cosa sia e non ne andiamo nemmeno matti, ma era il consiglio dello chef (in giapponese: osusume) e ormai ce ne siamo fatti una ragione. A seguire, una selezione di nigiri-zushi: tonno, salmone, yellowtail e, come assaggio, uno a testa di gambero, pesce bianco e pesce ciccione. Sia il pesce bianco che il pesce ciccione non li conosciamo perché non sono tipici né dei nostri mari né delle nostre tavole, ma abbiamo provato qualcosa di nuovo, come piace a noi. Per concludere in bellezza un granchio a testa, mai mangiato così, direttamente dal granchio! Visto che stavamo simpatici al cuoco e a sua moglie, una volta che abbiamo ripulito il carapace hanno cominciato a versarci il sake nel guscio – il primo sorso è stato un po’ strano ma alla fine non era male! Siamo tornati a casa sotto la neve, con un piccolo intervallo in un caffé per il dessert (occidentale – basta focaccine ai fagioli) per concludere al meglio la serata.

Il giorno dopo siamo ripartiti presto per Nagano, saltando l’idea del pesce fresco per la colazione visto che avevamo il caffé incluso nell’hotel a capsule (noi avevamo la capsula matrimoniale, quindi sembrava di essere in un letto a castello da una piazza e mezza, niente di futuristico) e che l’ultimo treno utile partiva dalla stazione di Kanazawa prima dell’apertura del mercato. A Nagano ci aspetta il sole: partiamo subito per la visita al parco delle scimmie Jigokudani.

Dopo il bus, risaliamo la montagna lungo il torrente che ci porta al famoso onsen dove i macachi giapponesi fanno il bagno. Sapevamo che ci sarebbe piaciuto ma non pensavamo di rimanere così affascinati da questi primati. Oltre al fatto che se ne fanno un baffo di tutte le persone intorno a loro e degli obiettivi puntati ai loro occhi, sembra veramente che i macachi si godano la bella vita prendendosi cura gli uni degli altri e riscaldandosi a vicenda quando escono dalle acque termali. Lo spettacolo più emozionante è vedere i piccoli che giocano con la neve e che sperimentano il mondo circostante, o che semplicemente restano attaccati come marsupi alle loro mamme che li proteggono gelosamente dagli altri membri del branco. Gli atteggiamenti antropomorfi e il fatto che facciano molte cose solo per divertimento ci fa capire quanto siano simili a noi. Esperienza davvero memorabile e molto più intensa di quanto potessimo immaginare.

Al ritorno verso Nagano ci siamo fermati per una breve sosta ad Obuse, un villaggio rinomato per gli artisti del legno e la produzione di castagne e prodotti derivati. Secondo la guida è una tappa imperdibile, ma con tutti i musei chiusi l’unica cosa veramente degna di nota è stata la pasticceria dove abbiamo acquistato i dolci alle castagne per i festeggiamenti di capodanno. Arrivati a Nagano abbiamo fatto la spesa per il “cenone”: visto che anche i ristoranti il 31 dicembre di sera chiudono, ci siamo fatti una cena fai-da-te da gustare nella verandina del nostro “chalet” con vista città e montagne. Il posto era davvero carino, la vista panoramica molto bella e la camera tipica da ryokan giapponese con il tatami, le pareti in carta di riso e i futon super ciccioni per stare caldi la notte. Abbiamo mangiato, riso (e anche mangiato riso), scherzato e giocato a carte fino alla mezzanotte, rimanendo svegli solo per il countdown e per il consueto brindisi, poi siamo crollati tutti e tre nel giro di qualche minuto.

La notte è stata un po’ fredda, ma noi siamo abituati alle condizioni estreme quindi abbiamo dormito alla grande fino alla mattina, mentre J. è rimasta un po’ congelata – al risveglio in camera c’erano 7 gradi (non male considerato che fuori erano -7). Dopo una colazione lenta e molto abbondante  ci siamo fatti portare al tempio Zenko-ji. Come vuole la tradizione per il primo giorno dell’anno, anche gran parte degli abitanti di Nagano erano in visita al tempio per esprimere i loro desideri e pregare chiedendo protezione per il nuovo anno. La coda era molto lunga, è stato molto bello assistere a un rituale così radicato nella tradizione.

Questo viaggio di fine anno è stato davvero entusiasmante e, nonostante siamo arrivati a casa cotti, siamo veramente soddisfatti delle esperienze che abbiamo fatto e dei posti che abbiamo visto in quattro giorni. Ma anche tornare a casa è bello e, soprattutto, a casa c’è la vasca da bagno che ci aspetta. La vasca tipica delle case giapponesi è davvero pensata per rilassarsi, altro che quelle in occidente. Sicuramente, di questa esperienza nel Sol Levante, la vasca sarà una delle cose che più ci mancherà quando torneremo a casa. 

Con le scimmie nella neve chiudiamo un 2018 di cambiamenti e avventure, e con un rigenerante bagno caldo iniziamo un anno che si prospetta altrettanto frizzante! Buon inizio 2019 a tutti voi!

 

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Sara e Lorenzo in Giappone

28 12 2018

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È arrivato il Natale anche a Tokyo, seppure senza neve. Per sentirci comunque un po’ in Italia, dopo esserci alzati tardi e aver fatto colazione, cominciamo subito a fare il ragù 😀

Ma che Natale è senza famiglia! Visto che siamo troppo lontani per tornare, invitiamo Y. e J., che al momento sono la nostra “famiglia” giapponese. Nonostante l’invito last minute, entrambi hanno accettato di buon grado e si sono uniti ai banchetti: Brindisi con sake frizzante preso alla brewery di Nara, spaghetti al ragù, filetto di manzo con patate e piselli e infine roll di pan di spagna con panna e frutta (niente panettone qui, né pandoro). I nostri ospiti erano un sacco curiosi delle nostre abitudini e dei nostri “rituali” natalizi, è stato un pranzo molto divertente. Il resto della giornata è stato di relax per me e di lavoro per Lorenzo, visto che il suo capo è arrivato inaspettatamente in laboratorio chiedendo di lui. Pazienza, la parte importante l’abbiamo vissuta appieno.

A Santo Stefano abbiamo assistito al mochi-tsuki organizzato dal laboratorio. Si tratta di un rito tradizionale giapponese per il nuovo anno, in cui viene fatta la pasta di riso con il metodo “ di una volta”. Funziona così: si butta il riso già cotto e fumante in un largo tronco di legno incavato a scodella, il riso viene pressato da due persone con dei martelli di legno di circa 8kg e poi battuto da una mentre un’altra gira la pasta, il tutto a ritmo impeccabile (e a rischio decapitazione, oserei aggiungere). L’impasto viene poi riversato in una macchina che produce delle palline di pasta di riso che vengono condite con salsa ai fagioli dolci e/o salsa al caramello salato (o forse era salsa di soia? Boh non abbiamo capito), da mangiare al momento. Oltre al rituale, la festa prevedeva zuppe, maki, ravioloni di carne e tante altre cose da mangiare, nonché da bere. Abbiamo scambiato qualche parola qua e là ma non è stato molto facile inserirsi, anche perché purtroppo nessun altro del gruppo di Lorenzo è riuscito a partecipare.

Il 27 dicembre, giornata regolare per Lorenzo al lavoro, giornata di grosse conquiste per me. Sono tornata al caffè linguistico per mettere in pratica i miei progressi, seppur piccolissimi. Stavolta il gruppo era molto affiatato e ho fatto amicizia con una signora molto carina e gentile, che mi ha regalato un dipinto fatto dalla sua mamma e una ragazza simpaticissima, M., che si è offerta di portarmi in giro per Tokyo e aiutarmi con il giapponese. Vi chiederete come mai una signora giapponese giri con i dipinti di sua mamma in borsa. Vi basti sapere che aveva anche 10 mappe della metro, che non si sa mai, una mappa del Giappone con tutti i migliori itinerari on the road, e una mappa del medio Oriente con i nomi scritti in arabo. Non ho fatto domande, a questo punto.

La sera stessa, M. mi ha proposto di fare la nostra prima uscita di studio/visita, così oggi ci siamo incontrate alla statua delle civette di Ikebukuro e siamo andate assieme nello storico quartiere di  Asakusa. Mi ha portato a pranzo in un posto poco turistico (per fortuna) ad assaggiare il  monjaiyaki (assomiglia all’okonomiyaki che abbiamo mangiato a Kyoto), piatto tipico della zona. Come già detto nei post precedenti, la piastra è un ottimo modo per cucinare e mangiare in modo conviviale avendo anche il tempo di parlare con le persone che hai di fronte.

Pranzo delizioso ma “hurry up!”, abbiamo appuntamento per fare la prova del kimono! Non pensavo sinceramente che l’avrei mai fatto, ma vista la proposta della mia ospite e il coraggio che mi ha dato Lorenzo mi sono buttata e devo dire che ne è valsa la pena, è stato molto emozionante! Purtroppo non ho potuto fare video della vestizione (non erano permessi foto e video) ma M. Mi ha fatto praticamente un set fotografico all’aperto 🙂 pensavo di andare peggio con gli zoccoli e i calzini con il pollice separato (che, tra l’altro, mi hanno lasciato come souvenir) ma alla fine non ho avuto né male né freddo. Sarà perché bisogna fare un sacco micro passi per avanzare di qualche metro, e ci si scalda in fretta! Bello ed estremamente divertente, forse un po’ strano perché non si vedono tanti occidentali indossare il kimono, ma con tutta la gente che c’era al Senso-ji (uno dei templi più importanti di Tokyo, sicuramente il più gettonato per le preghiere del primo dell’anno) era facile mimetizzarsi nonostante i colori sfavillanti.

Al tempio, abbiamo preso i biglietti della fortuna è naturalmente io ho preso quello peggiore di tutti. Ma meglio non demoralizzarsi: basta annodarlo al tempio ed essere un buddista migliore, questo dicono le istruzioni! Poco male. Per concludere in bellezza questa prima gita con guida, aperitivo con vista mozzafiato alla Tokyo sky tree, con tramonto vista Fuji-san. Sicuramente dovrò portarci il tato. Spero di ricordarmi almeno metà delle parole che mi ha insegnato M. Oggi!

Adesso torno a casa, viene J. a cena per prepararci al nostro viaggetto per l’ultimo dell’anno. partiamo domani mattina e dobbiamo ancora preparare la valigia, ma ormai siamo esperti.

Avrete nuove notizie da parte nostra nel nuovo anno ormai, quindi vi auguriamo di concludere in bellezza il 2018 e di iniziare ancora meglio il 2019!

 

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Sara e Lorenzo in Giappone

Romania e Serbia

Castello di Corvinesti - Hunedoara

Itinerario Aprile 2012

Giorno 1 – da Trento a Subotica

Macchina carica dalla sera prima, sveglia all’alba e subito in partenza. Non c’è tempo da perdere perché vogliamo arrivare a destinazione prima che venga buio. Abbiamo organizzato questo viaggio per andare a trovare la nostra cara amica M., rientrata a casa dopo un lungo e felice periodo in Italia, e vogliamo approfittarne per visitare Serbia e Romania, visto che di entrambi i paesi non abbiamo alcuna conoscenza. Il papà di M., che ha percorso lo stesso itinerario più volte, ci consiglia di passare dall’Austria e di attraversare l’Ungheria. Per noi Europei significa meno frontiere e viaggiare in zona Euro fin quasi al nostro arrivo. Fra i consigli, anche quelli sui migliori autogrill dove fare sosta e i posti più interessanti per mangiare, troppo viziati! Maciniamo chilometri, il paesaggio cambia e anche le stazioni radio ci propongono musica sempre diversa approcciando il confine Serbo. Nel frattempo è buio, ma alla frontiera Ungheria-Serbia il traffico è scorrevole  e nel giro di mezz’ora raggiungiamo Subotica e la casa dei nostri ospiti, finalmente conosciamo la famiglia di M.! Accoglienza strepitosa: una famiglia calorosa e sorridente, una cameretta tutta per noi e il  soggiorno pieno di ogni prelibatezza: tortini agli spinaci, pane con panna acida e ajvar.. una cenetta con i fiocchi e poi subito a letto, che il giorno dopo si riparte. Speravamo che M. venisse con noi alla volta della Romania, ma gli impegni universitari sono troppo onerosi. Ci impegniamo a portare tante belle foto e racconti avvincenti.

 

Giorno 2 - da Subotica a Sibiu

A colazione, oltre ad abbuffarci di salame e panna acida, ci facciamo dare qualche buon consiglio per il nostro itinerario. Non sappiamo davvero cosa aspettarci dalla Romania e siamo molto curiosi di quello che troveremo una volta passato il confine. Durante il viaggio, lo sguardo è rivolto sempre fuori dal finestrino: le case cominciano a farsi diverse e anche il paesaggio.

La prima tappa che facciamo è a Hunedoara. A detta della nostra guida, la città di per sé non vale la pena, essendosi sviluppata principalmente intorno ad un enorme complesso siderurgico, ma dedicare qualche ora alla visita del castello dei Corvino (vedi foto di copertina) vi cambierà la giornata. Lo spettacolo che offre è impressionante: Il castello, imponente, svetta su una roccia circondata da un profondo fossato ed è collegato all’esterno tramite un lungo ponte di legno. I tetti rossi, in contrasto con il cielo grigio e minaccioso, e le decorazioni a spigoli ci fanno proprio sentire in Transilvania. All’interno, il castello è piuttosto spoglio in termini di arredi, ma le decorazioni esterne e la sala degli arazzi sono notevoli. Proseguiamo alla volta di Sibiu, una delle città più fiorenti della Romania, nonché una delle più importanti storicamente per lo sviluppo di questo paese. Arriviamo la sera e percorriamo le strade che dalla città bassa ci portano alla città alta, vero fulcro storico. Rimaniamo sorpresi da quanto si possa notare l’influenza tedesca nello stile architettonico, è tutto veramente molto bello e rimaniamo a bocca aperta vedendo l’armonia e la cura degli edifici che incorniciano le strade. Ci piacciono soprattutto gli “occhietti” delle case, che sbirciano curiosi i passanti (vedi foto sotto). Arriviamo nella piazza grande, il centro della vita di Sibiu e rimaniamo colpiti da quanta pulizia e ordine ci sono. In piazza ci sono giochi d’acqua e qualche suonatore di strada, nonostante sia inizio aprile e le temperature non siano ancora molto alte, ci sono molte persone in giro anche se come turisti ci siamo probabilmente solo noi. Ci fermiamo a mangiare in un locale tradizionale, chiamato Sibiul vechi, dove assistiamo anche ad uno spettacolo di musica dal vivo. La musica dal vivo c’era anche nell’albergo dove pernottavamo. La facevano i nostri vicini di sotto e, no, stavolta non era di nostro gradimento né abbiamo pagato per averla all night long. Per fortuna eravamo sufficientemente stravolti dal viaggio.

Sibiu by night

Giorno 3 - da Sibiu a Brasov

La giornata di oggi prevede un percorso piuttosto impegnativo. vogliamo arrivare a Brasov passando per la Valacchia, fermandoci a visitare la fortezza (che definirei più che altro "rudere") di Poienari, ossia il vero castello di Dracula. Il piano iniziale era quello di arrivarci percorrendo la Transfagarasan, una delle più avvincenti strade dei Carpazi, che però in questi giorni è chiusa per neve. La storia di questo castello e quella di Vlad III di Valacchia (detto Dracula o l'impalatore), sono molto avvincenti, e l'atmosfera di questi posti vi si addice proprio. Per accedere alla fortezza bisogna farsi coraggio e percorrere 1.480 gradini nel bosco, sperando di non incontrare qualche orso lungo la salita (sono molto diffusi in questa zona). 

La strada per raggiungere Brasov è molto panoramica: risalendo sulle montagne vediamo villaggi, chiesette lignee e qualche alcune città fortificate arroccate su colline. La cosa divertente è che sulle mura di quasi tutte queste cittadelle c’è una scritta con il nome della città, così non serve nemmeno la mappa per capire di cosa si tratta. Oltre a guardarsi intorno per ammirare il paesaggio (ricorda un po’ l’Italia degli anni ’50, campagne incolte e popolo contadino, anche se non eravamo ancora nati a quei tempi fra film-documentari e i racconti di casa ci siamo fatti quest’idea), bisogna tenere gli occhi bene aperti perché da queste parti i carretti tirati dai cavalli sono ancora un mezzo di locomozione piuttosto gettonato, anche sulle superstrade. 

Nel giro di qualche ora arriviamo a Brasov,  città delle roccaforti sassoni e della rinomata Chiesa Nera. Nella piazza principale si respira aria di festa: bancarelle di prodotti tipici a ridosso del municipio (un edificio molto singolare e tutto solo al centro della piazza) e addobbi colorati per le strade e in corrispondenza dei numerosi caffé fanno presagire che la Pasqua è imminente. 

Il primo pensiero è quello di trovare un alloggio per la notte. Per chi non lo sapesse, nei nostri viaggi on the road non prenotiamo mai niente in anticipo perché non sappiamo veramente se seguiremo l’itinerario originale. Ci lasciamo sempre il beneficio del dubbio, nel caso scovassimo qualche posto magico che non possiamo assolutamente permetterci di perdere. Come nel resto dell’Europa dell’est, l’impresa è facile e troviamo una camera pulita, confortevole e decisamente economica.

Nel pomeriggio, visitiamo tutto il centro di Brasov, anche se si fa troppo tardi per fare anche il percorso sulle mura della città, e andiamo a mangiare in una taverna storica: Sergiana.

Giorno 4 – da Brasov a Sighisoara

La mattina ci alziamo di buona lena perché ci aspetta la visita al castello di Bran, quello che viene spesso indicato  come castello di Dracula (anche se erroneamente, noi abbiamo percorso quei 1480 scalini per scoprire la verità!). Il castello di Bran si erge su una roccia aspra e ne ricopre praticamente tutta la superficie. Da lontano, sembra un quadro dipinto. Anche gli interni valgono la visita: l’itinerario è ben illustrato e gli arredi originali sono tutti ben conservati, inoltre il cortile interno è veramente particolare. Non ci stupisce che lo sponsorizzino a discapito di Poienari, considerati il fascino e l’importanza storica di questo posto.   

 

Il viaggio prosegue verso Sinaia, per la visita ad uno dei castelli più belli che abbiamo mai avuto occasione di vedere fino a questo momento. Il castello di Peles è un castello costruito nella seconda metà del 1800 come residenza reale da re Carlo di Romania, sull’antica strada che conduceva dalla Valacchia alla Transilvania. Per approfondimenti storici cliccate qui e guardate gli interni su google immagini, ne vale davvero la pena. Le sale interne, ricche d’arte e di decori, non hanno nulla da invidiare al castello di Neuschweinstein in Baviera, ve lo assicuro!

La visita guidata dura un’ora, giusto in tempo per l’ora di pranzo. Mangiamo qualcosa al volo (come sempre) e ci rimettiamo alla guida verso Sighisoara. Lungo la strada ci fermiamo a visitare due chiese fortificate, retaggio della presenza sassone in questi territori, nei villaggi di Prejmer e Bunesti. Purtroppo non sempre è possibile accedere e noi non siamo stati fortunati perché le abbiamo trovate entrambe chiuse, ma già da fuori facevano il loro effetto e sono valse la sosta.

 

A metà pomeriggio arriviamo a Sighisoara e cerchiamo una camera. E’ Pasqua e fuori comincia a nevicare! Decidiamo comunque di fare un giro per le vie della città e non rimaniamo affatto delusi. Nonostante il freddo, il centro storico di questa meravigliosa cittadina ci entusiasma e ci sorprende ad ogni angolo che giriamo. Le case, piccole e colorate, si addossano l’una all’altra con i loro tetti spioventi, sembrano tutte rivolte alla torre dell’orologio che si staglia fra i tetti spioventi, visibile da ogni punto della città. Potremmo aggirarci per ore in questi vicoli e passaggi coperti, ma il freddo e la stanchezza ci fanno rientrare in camera subito dopo cena, per riposarci dalla giornata appena trascorsa e per ricaricarci per al prossima.

Giorno 5 – da Sighisoara a Cluj

Ennesimo giorno impegnativo. Non desistiamo con la questione chiese fortificate e proviamo a visitare la chiesa fortificata di Biertan. Anche stavolta troviamo chiuso, ma il panorama per arrivare fin qui e il villaggio in sé sono davvero appaganti, soprattutto perché dopo giorni di neve e nubi finalmente è tornato il sereno. Facciamo tappa a Medias per pranzo e ci godiamo il tepore del sole passeggiando nel giardino della piazza principale, in cui ad ogni panchina corrisponde una postazione per giocare a scacchi. Anche questa cittadina è bella colorata e pulita: qualsiasi aspettativa potessimo avere della Romania prima di partire (anche se non avevamo grandi pregiudizi) è sicuramente stata superata a pieni voti. 

Mentre guidiamo verso Cluj, leggiamo la guida per capire se lungo il percorso c’è qualcosa di interessante visto che siamo in netto anticipo rispetto alla tabella di marcia. A Turda c’è una miniera di sale che si può visitare, why not, impostiamo il navigatore. Arrviamo, parcheggiamo, facciamo il biglietto alla cassa e scendiamo un tunnel seguendo i neon blu che ci portano sempre più giù. Fin’ora tutto normale, striature nella roccia modellata dal vento, una cappella sotterranea, qualche attrezzo del mestiere. Poi, vediamo un bambino uscire entusiasta da una botola che non avremmo mai notato altrimenti: decidiamo di addentrarci in questo cunicolo anche noi per scoprire cosa si nasconde dall’altra parte.

Una scala a chiocciola in legno, ci fa scendere ripercorrendo i metri scavati nel passato dai minatori finché non raggiungiamo la base e rimaniamo a bocca aperta. Davanti a noi, l’enorme miniera è stata trasformata in un parco divertimenti, con bowling, ruota panoramica sotterranea e attrazioni di ogni genere! Inutile dire che ci aggiriamo frenetici per scoprire tutto quello che proprio non ci aspettavamo di vedere (la nostra guida non ne parlava affatto). In una seconda miniera, più in basso della prima, c’era anche un lago salato con postazione di noleggio barche per remare romanticamente in un contesto decisamente diverso dal comune. Naturalmente, non potevamo farci mancare questa esperienza! 
Così, l’intero pomeriggio è passato in un baleno e siamo riusciti a raggiungere Cluj solo all’ora di cena, giusti giusti per trovare un alloggio e un posto dove mangiare.

Giorno 6 – da Cluj a Satu Mare

Per l’ultimo giorno in Romania, ci riserviamo una zona che ci intriga molto: il Maramures. Dopo aver visitato velocemente il centro di Cluj (che non ci ha entusiasmati granché) e il museo etnografico, siamo ripartiti in direzione nord alla scoperta delle chiese lignee del Maramures. Questa regione è infatti famosa per il lavoro del legno, che raggiunge le sue forme più artistiche nelle chiesette sparse per tutto il territorio. E’ molto difficile visitarle perché spesso sono chiuse ma questa volta abbiamo avuto più fortuna e chiamando il numero di telefono che abbiamo trovato appeso all’ingresso di una di queste, il parroco è corso ad aprirci e a farci da guida di questo piccolo gioiello. Se tutte le chiesette che abbiamo visto solo da fuori fossero state aperte e belle anche solo la metà di quella che abbiamo potuto osservare con i nostri occhi, ci saremo fermati sicuramente ancora qualche giorno. 

Nel tragitto poi, abbiamo conosciuto un autostoppista tedesco in vacanza da queste parti. E’ venuto con noi a visitare il Maramures, anche se il suo obiettivo primario era trovare il capotreno che aveva conosciuto una decina di estati prima, mentre era in vacanza in Maramures con la sua famiglia nei boschi di legname ai confini con l’Ucraina. In quell’occasione, ci ha spiegato Uwe (questo il nome “d’arte” del nostro autostoppista), il capotreno era stato così gentile da far provare ai suoi figli l’emozione della cabina di comando nella locomotiva che conduceva in questi boschi. Con fotografie al seguito, Uwe sperava di poter consegnare ad una persona rimasta nel cuore dei suoi figli un ricordo da conservare per sempre, chissà se è riuscito nel suo intento! 

Una volta salutato Uwe, abbiamo fatto la nostra ultima tappa rumena al cimitero allegro di Sapanta, in cui un falegname-poeta ha scolpito nel legno e dipinto le vicende di ogni defunto, dedicando a ciascuno qualche rima riguardante gli aspetti più curiosi e divertenti della sua esistenza. Davvero singolare e unico nel suo genere!

Cerchiamo una camera a Satu Mare, pronti per fare ritorno in Serbia il giorno seguente. 

Giorno 7 – da Satu Mare a Novi Sad

Di buon mattino ci alziamo e ci gustiamo la ricca colazione che ci ha preparato la signora del bed&breakfast. Siamo un po’ stufi di salsicce e lardo all’alba, ma è tutto molto invitante e non ci tiriamo indietro.La nostra camerà è fuori dal villaggio, e lungo la strada in cima ad ogni palo c’è un nido di cicogna, mai visti così tanti! Passiamo tutta la mattina e il primo pomeriggio in viaggio verso Novi Sad, dove abbiamo appuntamento con M. alla torre dell’orologio. Visto che siamo arrivati in anticipo, visitiamo il parco che ogni estate ospita uno dei più grandi raduni rock dei balcani. E’ molto bello e rigoglioso, inoltre la terrazza sul Danubio (dove si trova la torre dell’orologio) ci offre un tramonto spettacolare. Una volta incontrati, M. ci fa da guida nella città in cui studia, portandoci per le vie del centro e a visitare i luoghi più significativi. Novi Sad ci piace e decidiamo di fermarci per la notte per vedere qualcosa in più.

Giorno 8 – Golubac

Decidiamo di vedere qualcosa della Serbia al di fuori delle città. Nonostante ci facesse gola l’idea di immergerci nelle campagne collinari a sud, le distanze sono troppo lunghe per il poco tempo che abbiamo a disposizione quindi optiamo per seguire il corso del Danubio fino alla fortezza del Golubac, un avamposto romano diventato negli anni cittadella fortificata e contesa tra regno d’Ungheria e Impero Ottomano. Al ritorno percorriamo una strada diversa per le “delibato sands”. non abbiamo veramente capito di cosa si tratti, visto che panorama è tutto piatto e verde e chiedendo alla gente del posto nessuno sa cosa sia, ma la nostra guida lo indica come punto di interesse. Mah. Rientriamo per cena a Subotica, dove ci aspetta una cenetta con i fiocchi – uomini fuori al bbq e donne in cucina a preparare il resto – e un caloroso bentornati a casa.

 

Giorno 9 – Belgrado

Con M. e suo fratello, andiamo a visitare Belgrado. La città è bella ma il ricordo della guerra è vivo e toccante. Quello che colpisce di più sono i segni dei bombardamenti sulle case, lasciati anche dopo la ricostruzione per mantenere viva la memoria di quello che è stato. Impressionanti sono anche i reticolati rossi dipinti su incroci e piazze, indicatori dei luoghi distrutti dalle bombe. Sembra sempre che le guerre siano lontane da casa e successe in tempi remoti ma passeggiare per Belgrado ci da una consapevolezza diversa. Visitiamo anche il tempio di San Sava, la fortezza di Belgrado e il parco, dove ci rilassiamo anche con un po’ di giocoleria, e  infine visitiamo il museo di Nicola Tesla, per far contenti i fisici che, quasi come sempre, sono in maggioranza nel gruppo. 

Giorno 10 – Subotica e ritorno in Italia

Oggi è il giorno della Pasqua ortodossa. Appena svegli, come da tradizione, ci rimbocchiamo le maniche e cominciamo a decorare le uova sode che mangeremo a pranzo, sopo aver fatto la lotta delle uova: ognuno sceglie un uovo sodo colorato e prova a rompere quello dell’oppositore. Prima il fronte e poi il retro. L’uovo vincente è quello rimasto intero ed è auspicio di buona fortuna! In attesa che sia pronto il lauto pranzo, M. e suo fratello (che, come nei giorni scorsi, ci fa da guida) ci portano a visitare Subotica, la loro città, e il parco sul lago Palic. Subotica è una cittadina dallo stile secessionista, ci colpiscono i molti edifici con evidenti richiami all’art nouveau e il municipio, in cui abbiamo la fortuna di entrare. Assistiamo anche a un pezzo di celebrazione della messa di Pasqua in una delle chiese ortodosse più importanti della città e rimaniamo colpiti dal fatto che è ancora uso suddividersi fra uomini e donne occupando ciascuno uno specifico lato in chiesa. 

Al lago, percorriamo la passeggiata lungo la riva che ci da ammirare il lago da una parte e i bizzarri palazzi art nouveau dall’altra. Se ci fosse stato pieno sole, sarebbe stato un tripudio di colori. 
A casa ci aspettava una tavola imbandita con ogni prelibatezza pasquale e appena seduti abbiamo cominciato a banchettare. Solo qualche ora più tardi saremo dovuti partire per ritornare a casa. 

24 12 2018

Gli ultimi tre giorni a Kyoto sono volati in compagnia di Lorenzo. Non c’è nulla di più bello che condividere l’esperienza del viaggio con qualcuno che ami. Nonostante il tempo altalenante, siamo riusciti a vedere tutto quello che ci eravamo ripromessi, sacrificando però la visita del palazzo imperiale in favore del Castello di Nijo. Ma andiamo con ordine.

Sabato mattina, non di buonora ma meglio tardi che mai, siamo andati a visitare il Kinkaku-ji, ossia il tempio d’oro. Spettacolare perché, anche con il cielo denso di nubi, il colore dorato del pavillion spiccava luminoso anche nel riflesso sul lago. Il parco circostante è un’oasi di pace e serenità e riesce a farci passare la delusione dell’eccessivo numero di turisti, che affollano qualsiasi cosa qui a Kyoto. La meta successiva è stato il castello di Nijo, dimora degli shogun per più di 250 anni durante il periodo Edo. L’abbiamo preferito al Palazzo imperiale perché qui si possono visitare gli interni, e ne vale davvero la pena. Il castello è costituito da due palazzi situati in un parco murato circondato da un fossato all’interno di secondo parco murato circondato da fossato, rispettivamente all’interno del parco #1 e nel parco #2. All’interno dell’unico palazzo visitabile – si entra senza scarpe – si ripercorrono tutte le enormi e numerose stanze in cui avvenivano gli incontri dello shogun. Tutte le pareti sono dipinte con motivi simbolici, a seconda dello scopo di ciascuna sala e del rango delle persone con cui avvenivano gli incontri. Tigri, leopardi, alberi in fiore, e bonsai giganti sono i temi più ricorrenti, tutti rappresentati su sfondo dorato (niente foto nel nostro album, ma se googlate “interni castello Nijo” potete farvi un’idea). Dopo una giornata di cammino ci rinfranchiamo al mercato coperto (Lorenzo non c’era ancora stato) con una serie di assaggini che si devono fare. Takoyaki a parte, non abbiamo provato nulla di entusiasmante, ma almeno ci siamo tolti lo sfizio soprattutto per quanto riguarda i dango – dolci palline di farina di riso con glassa di soia dolce – che si vedono dappertutto. Dopo tutto questo cibo, per cena solo una zuppetta di udon e poi dritti in albergo.

Domenica gita fuori porta a Nara, prima capitale del Giappone e, a quanto si dice, città in cui hanno inventato il sake. Nara è a 35 km a sud di Kyoto e la raggiungiamo facilmente con il treno. Tutto quello che c’è da vedere di più importante è situato nell’omonimo parco, dove più di mille cerbiatti si aggirano liberi cercando di ingozzarsi di cracker (li vendono ad ogni angolo del parco, appositamente per loro) in cambio di qualche selfie. La cosa pazzesca è che per ricevere i cracker e per ringraziare, i cerbiatti si inchinano. È evidente che sono cerbiatti giapponesi. Nel parco ci sono numerosi templi e punti d’interesse, fra cui il Buddah gigante di Todai-ji, l’edificio in legno più grande al mondo, e la pagoda più grande del Giappone. Abbiamo scoperto che il ruolo della pagoda, più che reliquiario religioso, era quello di parafulmini, ecco perché hanno tutte quella punta altissima. Anche il santuario Kasuga ci ha colpito, con le sue innumerevoli lanterne in pietra (vedi immagine di copertina). Gran parte del patrimonio culturale di Nara è composto da edifici che sono stati nominati patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, e a ben donde. Vale sicuramente una visita. Prima di rientrare a Kyoto, facciamo tappa all’Harushika sake brewery dove ci aspetta un assaggio di 5 tipi di sake artigianali + qualche sottaceto e una specie di “spritz-sake” niente male. Molto soddisfatti e inevitabilmente più allegri torniamo verso Kyoto, pronti per una cena a base di okonomiyaki al Nishiki Warai. L’okonomiyaki e un piatto tipico della regione di Osaka ma molto diffuso anche a Kyoto, viene servito su una piastra al centro del tavolo e ognuno con la sua spatola se ne prende una parte mentre il resto rimane al caldo, ottimo per una cena conviviale!

L’ultima notte a Kyoto l’abbiamo passata in un ostello non molto lontano dalla stazione, abbiamo dovuto cambiare perché abbiamo deciso di stare un giorno in più solo in un secondo momento. L’ostello è bello e pulito, inoltre abbiamo una camera privata. L’unico lato negativo è il riscaldamento a mille che non ci fa dormire granché (abbiamo dormito con le finestre aperte, a dicembre, pur di sopravvivere :/). Prima di tornare a casa abbiamo fatto tappa per una passeggiata nel bosco di bambù di Arashiyama, località amena ma ancora una volta troppo turistica per i nostri gusti.  Peccato, perché il parco e bello e anche la passeggiata lungo il fiume. 

Ed eccoci qui dopo un viaggio in shinkansen, sulla Fukutoshin line direzione Wako, quasi arrivati a casa.

Domani è Natale!

 

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Sara e Lorenzo in Giappone

21 12 2018

Ci vogliono solo due ore e mezza di Shinkansen per andare da Tokyo a Kyoto. Due città importanti, entrambe che hanno ricoperto la carica di capitale dell’impero, ma al contempo così profondamente diverse. Arrivando da Tokyo, una città di robot dove tutto è super inquadrato e perfettamente funzionante, Kyoto sembra far riemergere un po’ di normalità nelle nostre vite: c’è più caos, le persone parlano fra loro a voce quasi percepibile e non è tutto proprio perfetto. Meno male.

La prima impressione è ottima: il cielo blu e la temperatura mite ci fanno apprezzare l’atmosfera e il panorama mentre raggiungiamo l’università. Lorenzo deve mettersi subito al lavoro, mentre io ne approfitto per percorrere la passeggiata del filosofo fra il tempio Higashiyama e il tempio Nanzenji. A fine giornata siamo stravolti, ci trasciniamo in hotel e poi a cena. A vederla angolo per angolo, Kyoto sembra una città piccola e a misura d’uomo, ma ci accorgiamo sin da subito che le distanze che dobbiamo percorrere per andare da un punto di interesse ad un altro sono enormi!

Il secondo giorno il self-tour prevede i giardini del palazzo imperiale (che d’inverno fanno un po’ tristezza, con i viali così larghi e gli alberi così spogli) e il mercato coperto di Nishiki. Non ricordo se avevo già parlato del mercato coperto di Ueno e del mio disappunto dopo aver provato cos’è un vero mercato in Palestina, ma in questo caso devo dire che sono rimasta piuttosto soddisfatta: colori, profumi e folclore non mancano, anche se in stile giapponese, e innumerevoli assaggi di cose mai provate prima (ad esempio dei cracker d’alga al sesamo e una specie di candito di zenzero piccante e zuccherato) e già testate ed approvate, come il mio pranzo di Takoyaki. A metà pomeriggio anche Lorenzo si è unito alle escursioni e abbiamo passeggiato alle luci dell’imbrunire per le strade di Gion e Pontocho (vedi foto di copertina), quartieri famosi per ospitare i tradizionali Ryokan in legno le scuole per diventare Geisha (ne abbiamo pure intravista una, di geisha, che correva a passi molto piccoli ma spediti sugli zoccoli di legno). Abbiamo anche visto il teatro kabuki Minamiza (anche se non ci siamo entrati, spettacolo in corso), visitato uno degli innumerevoli templi di Kyoto, tutto addobbato con lanterne illuminate per la sera, e concluso la serata con il primo sushi a nastro di questa esperienza giapponese. Apprezziamo moltissimo le diverse qualità di pesce che si possono assaggiare qui, in particolare il “Yellowtail” e qualche qualità di tonno che non è quella che troviamo solitamente sulle nostre tavole. 

Oggi, terzo giorno, abbiamo preso la metro fino al tempio di Fushimi-Inari, dedicato alla dea Inari del riso e del saké, e abbiamo risalito il percorso di torii rossi che ci ha condotto fino alla cima del monte Inari – e ritorno. 10.000 torii e 12.000 scalini percorsi, modo impegnativo per iniziare la giornata ma il meteo era super favorevole (al contrario di quello che ci si prospetta per il weekend) quindi non potevamo perdere l’occasione. Dopo l’escursione e una buona ciotola di udon fatti in casa, Lorenzo è tornato al lavoro per l’ultimo giorno al YIPT e io mi sono fermata a visitare altri templi. Che noia, direte voi, e potreste anche avere ragione. Anche se dopo un po’ possono sembrare tutti uguali, c’è sempre qualcosa che li rende unici e speciali. Il Sanjusangen-jo per esempio, raccoglie 1001 statue di Kannon dalle mille braccia (peccato che non si potesse fotografare all’interno, la scena era particolarmente impressionante).  A seguire ho visitato il parco e il tempio di Kyomizu-dera, da cui il panorama sulla città è veramente mozzafiato. Il rientro a casa, tramite viuzze di artigianato locale, case in legno e una pagoda in legno altissima, l’ho fatto ripercorrendo in parte il fiume Kamo: le case specchiate sulle sue rive mi hanno ricordato per un istante Firenze che si specchia nell’Arno, forse solo suggestione, non chiedetemi perché.

Domani inizia il weekend e finalmente possiamo continuare l’esplorazione in due, Kyoto riserba ancora tante sorprese. 

 

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Sara e Lorenzo in Giappone

 

18 12 2018

Toki no kane - Kawagoe

Vediamo, dove eravamo rimasti.. ah sì, il ritorno di Lorenzo dal J-parc e il weekend. La scorsa settimana è stata piuttosto intensa, quindi abbiamo optato per un fine settimana di relax. Sabato siamo stati a Kawagoe, una cittadina non molto distante da Wako anzi, a dirla tutta si raggiunge in molto meno tempo rispetto alla maggior parte dei quartieri di Tokyo. Dopo una mattinata a rallentatore, abbiamo preso la Tobu-Tojo line e siamo arrivati a destinazione nel giro di mezz’ora. Appena fuori dalla stazione di Kawagoe si estende un lungo viale di negozi e ristorantini, meta turistica e sicuramente posto ideale per noi visto che ormai era ora di pranzo. Scegliamo un locale la cui porta è un’enorme botte di legno, circondata da lanterne (che anche di giorno fanno la loro figura). Ci ispira il menu del giorno a base di sashimi così, finalmente, anch’io lo provo (oltre all’esperienza del pesce palla ovviamente, Lorenzo ha inoltre avuto qualche occasione lavorativa per fare un primo assaggio). Nonostante l’attesa – temevamo di essere stati “ghostati”, ossia considerati trasparenti e lasciati nell’oblio di essere stranieri in un paese che non ama gli stranieri – una volta arrivato il nostro vassoio carico di pietanze ci siamo proprio sentiti soddisfatti.

Kawagoe è considerata la piccola Edo poiché preserva ancora molti edifici in legno tipici dell’era Edo, anche se gran parte di questi non sono originali ma ricostruiti a seguito dei numerosi incendi. Il simbolo di Kawagoe è Toki no kane, la torre di legno (vedi immagine di copertina), con la sua campana originale che batte ancora le ore. Gli altri edifici ospitano negozi di artigianato locale e botteghe di dolciumi, che riscuotono un discreto successo. Le chips di patate dolci in particolare devono essere parecchio rinomate: passando davanti al banchetto abbiamo notato che c’era un po’ di coda, ma solo proseguendo abbiamo visto che la fila continuava dietro l’angolo della casa e giù quasi per tutta la via laterale, incredibile! Prima di rientrare abbiamo visitato il parco con i templi, bella l’atmosfera ma cominciava ad essere davvero freddo quindi una volta rientrati a casa ci siamo fatti una buona cioccolata calda in compagnia della nostra amica J, che si è fermata anche per cena e a fare qualche gioco da tavolo. 

Domenica giornata di nullafacenza completa: la mattina è volata senza neanche capire come e a pranzo ci siamo cimentati nella cucina giapponese preparandoci i maki – troppo facile quando si ha una cuoci-riso. Pomeriggio abbiamo fatto due passi per Wako e scoperto un bellissimo tempietto nascosto fra le case. Un bel momento di riflessione. 

L’inizio della settimana è stato tutto dedicato alla preparazione lavorativa e logistica per il viaggio a Kyoto. Solo stasera ci siamo rilassati un po’ uscendo a cena con J. e Y., che ci hanno portato a mangiare il famoso Shabu shabu: una grande padella con due tipi di brodo diversi in mezzo al tavolo, una serie di ingredienti scelti da noi fra carne verdure e altri prodotti locali e due salse in cui intingere gli ingredienti dopo averli cotti nel brodo, una di sesamo e l’altra di soia al limone. Il tutto, rigorosamente, da fare con le bacchette. Nonostante le difficoltà iniziali, soprattutto mie, è stato divertentissimo e molto gustoso, una serata da ricordare!

Le valigie sono pronte e la sveglia per domani è impostata ad un orario mai visto prima da quando siamo in Giappone. Ora a letto, con in mente il profilo del Fuji-san alla luce del tramonto. E’ lontano, ma è un’emozione sapere di poterlo vedere da qui.

 

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Sara e Lorenzo in Giappone

14 12 2018

Finalmente ho capito che è importante informarsi sul formato della data utilizzato nel paese in cui si vive. Ieri ho aperto il frigo e mi sono veramente meravigliata che tutte le cose che avevamo comperato avevano scadenza il 18 12. Niente male visto che il 19 partiamo per qualche giorno, così non lasciamo niente che andrà a male. Ah, no, aspetta: 18 è l’anno, qui la data la scrivono alla rovescia, anno-mese-giorno. E tutto scade ieri, o oggi, o domani. Per fortuna stasera torna Lorenzo, così mi darà man forte nel finire le provviste 😀

Questa settimana è stata un po’ vuota senza di lui, ma ho avuto comunque modo di dilettarmi in nuove esperienze, come quella del caffé letterario. L’English only café, nonostante il nome, organizza ogni giorno degli scambi linguistici per permettere ai giapponesi di praticare l’inglese e agli stranieri di avvicinarsi un pochino alla lingua giapponese. I giapponesi hanno un cartoncino con il nome scritto in blu, gli stranieri in rosa, così si riesce facilmente a dividersi in gruppi misti. Si sceglie una bevanda dal menu – tutto al prezzo forfettario di 400¥ – e si comincia, la prima mezz’ora conversazione in inglese, la seconda in giapponese, e così via fino alla chiusura. L’esperienza è stata molto bella ma il mio giapponese è terribilmente scarso per il momento, nonostante i miei sforzi per provare a dire qualche frase (tra cui “parlo poco il giapponese”) nessuno ha capito niente. E’ solo l’inizio. In compenso, ho capito l’argomento della conversazione in giapponese e anche in linea di massima qualche considerazione, quindi mi ritengo soddisfatta. Nelle mezz’ore in inglese invece mi sono fatta raccontare di molti aspetti della vita in Giappone e in particolare a Tokyo, magari li condividerò in qualche articolo futuro.

Oggi per la prima volta ho visto il cielo di Tokyo completamente limpido. L’aria è frizzantina ma direi che più che freddo è decisamente umido. Sono andata a visitare Ueno, e devo dire che attualmente è la zona della capitale che preferisco. Alla larga dalle folle di turisti (per lo meno in questa stagione), finalmente c’è il Giappone che uno si aspetta: case piccole e a volte in legno, biciclette per le strade, vecchiette che vendono il cibo per strada. A Ueno ci sono molte aree verdi,  molti templi e il mercato di Ameyokocho, oltre che numerosi musei. L’area più interessante dal mio punto di vista è Yanaka, sembra tutto così vero lì. Passeggiando Yanaka ginza, non sapevo più da che parte voltarmi, troppe cose interessanti da vedere e scorci in cui curiosare! 

Anche se un po’ fuori dall’itinerario standard, una visita al Nezu-jinja vale assolutamente la pena, soprattutto per l’emozione di passare sotto i torii rosso vermiglio. Sono moltissimi e a volte ci si deve persino abbassare per non sbattere la testa! 

Anche l’esperienza gastronomica di oggi è stata eccezionale, nella sua semplicità: due rotoli di maki al tonno, con gusti diversi, comperati ad una bancarella da una signora che preparava i bento freschi. Mai assaggiati di così buoni.

E ora a casa, in attesa del rientro del mio maritino e pronta all’arrivo del weekend.

 

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