11 12 2018

Hakokoju bambou forest - Kamakura

E’ già martedì. Lorenzo oggi è partito per il J-Parc (no, non il Jurassic Park, anche se forse sarebbe stato più divertente :D) e io sono rimasta in città: ho trovato un caffé linguistico in cui organizzano ogni giorno tre ore di scambio inglese – giapponese,  non posso perdere l’occasione di cominciare il prima possibile!

Ieri sera J., la ragazza coreana, ci ha invitato a cena preparandoci il “famoso” tteokbokki, un piatto tipico composto principalmente da gnocchi di riso saltati in salsa piccante, una prelibatezza! Questo scambio culinario ci piace e continuerà a lungo.

Ne approfitto oggi, che c’è un po’ di calma e fuori comincia ad essere freddo per passare tutta la giornata all’aria aperta, per raccontarvi della gita fuori porta che abbiamo fatto sabato. In compagnia di J. e di C. (un ragazzo cinese), siamo stati a Kamakura a visitare la cittadina che nel medioevo rivestiva il ruolo di centro politico e strategico del Giappone. Anche se per gli standard giapponesi potrebbe sembrare a malapena un villaggio, Kamakura riserva moltissimi luoghi di interesse, in particolare i suoi templi Zen. Essendo sabato, passeggiando lungo la via Komachi-dori abbiamo incontrato numerose ragazze giapponesi in kimono, anche loro in visita alla città, e anche qualche mamma con bambino rigorosamente vestiti alla maniera tradizionale, che colori!

Arrivati al tempio Tsurugaoka Hachimangu, abbiamo avuto anche la fortuna di assistere ad un matrimonio e di vedere ben altre due coppie di sposi nel parco circostante. L’abbigliamento degli sposi ha uno stile completamente diverso dal nostro, ma decisamente elegante in questo contesto. Ci sono templi e shrine in ogni dove e non ho intenzione di descriverveli tutti, ma uno assolutamente degno di nota è il tempio Hokoku-ji. Il tempio di per sé è bello come gli altri, ma il suo giardino di bambu è superlativo! Una passerella di legno ci fa passeggiare fra questi tronchi lisci e verdi, così diversi dalle foreste a cui siamo abituati. Nonostante i turisti, c’era un gran silenzio e una piacevole atmosfera di pace che ci ha fatto davvero apprezzare questo angolo di paradiso.

La seconda tappa del nostro sabato è stata al buddha gigante di Kamakura, nella località di Hase. La statua di bronzo è veramente imponente, più di 13 metri di altezza, e sovrasta le folle di persone in meditazione e di turisti curiosi. Poco più in là il tempio di Hasedera, meraviglioso architettonicamente per i suoi dettagli nero e oro e per il giardino circostante, con panorama vista mare, un giardinetto zen con i cerchi nella sabbia, la ruota della preghiera, e un tunnel scavato nella roccia che porta a piccole grotte in cui sono stati scolpite una serie di figure della filosofia buddhista. L’abbiamo visto con il calar del sole e l’accendersi delle luci policrome che qui amano tanto e a noi fanno un effetto strano. Con il buio non valeva la pena proseguire a visitare l’isola di Enoshima (C. invece ci ha salutati qui perché voleva andare comunque. Ci ha detto “I travel a lot, so I will be ok”, ma poi non l’abbiamo più visto.. ok), non molto distante, quindi siamo rientrati in big Tokyo per farci una serata in un izakaya proseguendo a zonzo per la sfolgorante Shinjuku. 

La domenica invece ce la siamo presa comoda: sveglia tardi e metro in direzione Akihabara:  un sogno per chiunque sia appassionato di giochi, videogiochi, tecnologia e maid café, dicono. In realtà siamo rimasti un po’ delusi, soprattutto per l’aspetto “tecnologico”. Probabilmente ci aspettavamo ancora una volta di trovare quel Giappone avvenieristico che supera la barriera della realtà, mentre ci siamo ritrovati in una enorme fiera dell’elettronica senza veri appassionati di elettronica. Vabbé, noi ci proveremo ancora ma sembra che l’immagine che avevamo di questo paese da questo punto di vista fosse distorta. Prima di rientrare a casa, abbiamo fatto un salto a Harajuku, un quartiere famoso per vedere teenagers vestiti in maniera bizzara che fanno shopping comperando calzini con le orecchie da gatto (ok, va bene, me li sono presi pure io) e qualsiasi genere di abbigliamento improponibile e di cibo “estremo” (ad esempio, crepes ripiene di cioccolato frutta gelato e panna montata, da mangiare come un panino). Anche qui ci aspettavamo di più.

E’ proprio vero che quando si parte per un posto nuovo è meglio lasciare a casa tutti i preconcetti e le aspettative, per lasciare che ogni cosa sia ad ogni sguardo un’esperienza nuova.   

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Sara e Lorenzo in Giappone

6 12 2018

Shinjuku Goyen

Habemus router. Finalmente, al terzo ufficio postale sono riuscita a ritirare il pacco che stavamo aspettando, contente il nostro indispensabile pocket wifi. Nonostante il disagio di dover annullare la prima notte a Narita per aver perso la coincidenza a Parigi (ci eravamo fatti recapitare inizialmente il pacchetto all’hotel, quindi abbiamo dovuto chiedere di spedircelo all’ufficio postale più vicino a RIKEN – che in realtà non è uno ma sono tre, ma questo l’abbiamo scoperto solo dopo), questo contrattempo è stato molto istruttivo perché ci ha permesso di confrontarci sin da subito con un’esperienza del quotidiano come quella dello sportello postale. Nessuno parla inglese, ma tutti sanno cosa devono fare. Basta portare la cartolina di spedizione e un documento e loro sanno. Nel primo però mi mandano in un secondo ufficio, va bene, ci sta, non sapevo ce ne fossero altri. Mi becco dalla sportellista la prima X del viaggio (quella cosa che fanno i giapponesi con le braccia quando “per loro è no”). Nel secondo ufficio porto cartolina e documento, ma ancora una volta non è l’ufficio giusto, perché ne esiste un terzo. Non mi scoraggio e chiedo indicazioni visto che almeno so come si dice “sinistra”. Grazie alla signorina molto cortese che mi da le indicazioni in maniera chiara ed efficiente (dicendo che devo andare sempre a sinistra, fiu!) riesco a raggiungere il terzo ufficio: cartolina e documento e.. pacco ricevuto! Dopo questa mini-avventura postale si riparte alla scoperta della città, direzione Shinjuku.

Una passeggiata nell’affascinante Shinjuku Goyen è tutto quello che ci vuole per riprendersi dalla frustrazione di averlo raggiunto in metro, uscendo dalla stazione di Shinjuko. Sì, perché questa stazione sovraffollata ha più di 200 uscite. Potrebbero tranquillamente tenerci gare di orienteering, o magari già lo fanno. 

Quest’area verde ha tutto quello che si potrebbe desiderare da un parco giapponese: una casa del thé, viali alberati in pieno foliage (chissà se è altrettanto suggestivo in primavera), un giardinetto giapponese con carpe e Pavillion e un giardino botanico. Anche le vecchiette giapponesi che ti chiamano e ti offrono le caramelle (come rifiutare? In primis, era già una gran vittoria che qualche giapponese volesse parlare con me spontaneamente, inoltre le caramelle in questione erano le orzotte a forma di cuore.. ne ho vinte ben 7).

Basta uscire di qualche metro ed ecco che si abbandona l’armonia zen per tornare alla Tokyo frenetica e pacchiana: vale la pena fare una visita a Hanazono-jo e successivamente aggirarsi per Kabikucho, dove c’è il bizzarrissimo robot restaurant, e sempre più a nord fino a Korean town.  Quest’ultimo dev’essere un posto all’ultimo grido per le studentesse giapponesi, visto che per le strade si vedono solo ragazzine con la gonna a scacchi e i calzettoni, che vagano da una bancarella all’altra all’urlo “kawaiiiiiii!!!!!!!”. 

Lungo tutto il percorso, ci sono insegne luminose, cartelloni pubblicitari, neon intermittenti e lanterne giapponesi a non finire. Tokyo è immensa.

 

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Per chi non lo sapesse, il “per me è no” giapponese è questo:

 

 

02 12 2018

Con la PASMO vai dappertutto. Si può comprare e ricaricare agli sportelli automatici di qualsiasi stazione e ti permette di spostarti usando praticamente qualsiasi mezzo, puoi anche farci gli acquisti in certi tipi di negozi. Una volta che ne hai una, non ti ferma più nessuno. Così, abbiamo intrapreso il nostro primo viaggio nella capitale giapponese affrontando il ginepraio di linee metro che ricopre (per così dire, visto che in realtà sta sotto e non sopra) l’intera area urbana.

A Odaiba si concentrano i centri commerciali e tecnologici di Tokyo. Pensavamo di fare un tuffo nel futuro e di ritrovarci a bocca aperta davanti alle ultime frontiere della tecnologia visitando il Panasonic center e il Fuji tv building, invece niente di tutto ciò, il massimo del gusto è stato il centro commerciale a Palette town in cui tutti gli ambienti ricordano le città italiane, cielo dipinto compreso. Errore da dilettanti direte voi, ci consoliamo mangiando degli onigiri on the road e pensando che la prossima volta, se mai torneremo qui, sarà per fare qualche esperienza di realtà virtuale.  

Per completare il giro, andiamo a vedere la statua della libertà (mm.. aspetta.. ma dove siamo?) e  pranziamo al Ramen Kokugikan, dove (dicono) i sei migliori cuochi di noodles ramen del Giappone si sfidano proponendo ognuno la sua ricetta in sei invitantissimi micro ristorantini tutti affacciati sulla stessa hall. Si ordina tramite una macchinetta con le fotografie dei piatti, ci si mette in fila (che, come tutte le file in Giappone, scorre abbastanza fluidamente) e appena qualcuno finisce è il vostro turno. Scordatevi le posate e mangiate velocemente, ricordando di fare il risucchio per mostrare il vostro gradimento.

OK, panza piena, è tempo di rifarsi: direzione Tokyo Tower e Zojo-ji. Rimaniamo veramente impressionati dal contrasto di questi due simboli della città: nel tempio ci sono persone che stanno pregando e il silenzio è spezzato solo dai ritmici colpi di tamburo (?) utilizzati nel rituale. Fuori, il parco con i roseti ancora in fiore fa da schermo ai rumori frastornanti della città. Solo le luci gialle e rosse della torre della televisione ci ricordano che siamo al centro del mondo.

Per chiudere in bellezza la prima giornata, decidiamo di attraversare l’incrocio di Shibuya. Sì, l’Incrocio per eccellenza. Una volta, due, tre, poi siamo storni. Ci perdiamo un po’ fra le insegne luminose del quartiere, vediamo il famoso murales di Taro Okamoto sull’esplosione atomica a Hiroshima (Il mito del domani), salutiamo Hachiko e torniamo a casa, cotti ma pronti per iniziare la prima vera settimana.

 

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01 12 2018

Benvenuti a Tokyo, città delle luci, città futurista, città nella città. Dopo un lungo viaggio da Gerusalemme, con piacevole e inaspettata sosta a Parigi,  ci siamo trovati catapultati in una realtà completamente diversa da quella a cui abbiamo imparato ad abituarci nell’ultimo anno. 

Innanzitutto, da quando siamo scesi dall’aereo a quando abbiamo messo piede nella nuova casa tutto è filato liscio e secondo i piani. E no, non perché ormai siamo esperti viaggiatori e ci sappiamo destreggiare in qualsiasi situazione, ma perché qui è tutto super organizzato e predefinito, tutti sanno già quello che devono fare e come devono farlo quindi basta eseguire, non ci si può sbagliare. Qui ti ringraziano per qualsiasi cosa tu faccia: grazie per essere sceso dall’aereo, grazie per aver fatto i controlli di sicurezza, grazie per avere preso il biglietto del pullman e grazie che ti sei messo la cintura. Siamo appena arrivati e già sappiamo dire grazie in dieci maniere diverse. 

RIKEN, il laboratorio di ricerca dove stiamo, è situato nella città di Wako-shi,  appena fuori dall’area metropolitana di Tokyo. Nonostante non sia “in città”, Wako è molto ben servita e c’è tutto quello di cui abbiamo bisogno per la vita quotidiana. La casa che ci hanno dato è molto grande, al contrario delle aspettative, e super accessoriata. Peccato che tutti gli elettrodomestici e il controllo dell’acqua (per impostare la temperatura e far funzionare vasca/doccia) siano pieni di scritte incomprensibili. Fortunatamente abbiamo una serie di manuali “for dummies” che ci spiegano in inglese la sequenza dei tasti che dobbiamo schiacciare per far funzionare le cose. Il lato positivo è che il WC è standard, grazie al cielo. La doccia invece no, anche per quella c’è una combinazione da seguire e ogni volta che schiacciamo un pulsante ci parla, probabilmente per ringraziarci che ci laviamo.

Fare la spesa è stato altrettanto facile. Nonostante il primo impatto con prodotti sconosciuti e 10.000 cartelli fluo con offerte incomprensibili, siamo abituati dall’esperienza israeliana a non riuscire veramente a leggere gli ingredienti (o per lo meno, non ancora) e ad andare ad intuito. Come prima volta ci è andata bene, anche in termini di prezzi visto che non abbiamo speso molto più del solito.

Domani, dopo una bella dormita, andremo alla scoperta della città. 

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Repubbliche Baltiche

Una coppia on the road alla scoperta dell’Europa Orientale – due settimane dal cuore delle Dolomiti all’estremità settentrionale dell’Estonia

 

Itinerario – Agosto 2010

Giorno 1 – da Belluno a Bielsko-biala

Primo giorno, primo viaggio lungo, prima volta in Est Europa, 21 anni appena compiuti. Ci mettiamo in marcia all’alba, pronti per affrontare un viaggio che non sapremo nemmeno noi come andrà, ma siamo carichi e preparati. Navigatore impostato verso Katowice, con tutte le deviazioni da fare per non pagare pedaggi/accessi/qualsiasi-cosa-costi-perchè-siamo-studenti, sarebbe già una vittoria arrivare in zona entro sera: ci perdiamo a Conegliano, poi ci perdiamo di nuovo a Vienna (3 volte), ma alla fine ce la facciamo e ci fermiamo per la notte a Bielsko-biala, scoprendo cosa ci aspetterà per cena nei giorni a seguire: zuppa di cipolle, sempre e ovunque.

Giorno 2 – da Bielsko-biala a Trakai

Ormai l’avventura è cominciata, ripartiamo più rilassati attraversando la Polonia. Autostrade con semafori, attraversamenti pedonali e asfalto a “binari” sulle scie dei camion. Nonostante il panorama sia piatto c’è già abbastanza di cui stupirsi. Abbandoniamo qualsiasi idea di fermarci a Varsavia quando rimaniamo imbottigliati nella sua lontana periferia e consumiamo tutto il tempo a disposizione in coda per superare la capitale. Il panorama verso nord comincia a farsi dolce e collinare e in un batter d’occhio ci ritroviamo in Lituania, in un piccolo paesino chiamato Trakai. Ci fermiamo a una casetta di legno in riva a un lago, sembra abbiano posti letto per la notte: i proprietari ci accolgono calorosi anche se non troviamo una lingua in comune per comunicare e ci accontentiamo dei gesti. Nelle Repubbliche Baltiche non è ancora arrivato l’Euro e tutto è economicamente molto conveniente, possiamo aspettare a piantare la tenda. La  sera usciamo per cena e visitiamo il castello di Trakai, un castello di mattoni rossi su un’isoletta in mezzo all’omonimo lago, collegato alla terraferma da un lungo ponte di legno. L’estate noleggiano barchette agli innamorati, l’atmosfera molto romantica e suggestiva ci appaga immediatamente dei due lunghi giorni in viaggio che abbiamo alle spalle.

Giorno 3 – da Trakai a Siauliai

Nonostante sia la capitale della Lituania, Vilnius ha più l’aspetto di un paese di campagna: quando arriviamo ci indicano di parcheggiare al parlamento, “che tanto è a due passi dal centro ed è sabato, quindi non disturbiamo nessuno”. Non sappiamo bene che idea farci di questa cittadina pulita e ordinata. I primi volti che vediamo sono quelli delle tre muse del teatro d’arte drammatica (dalla loro espressione anche per loro è strano vedere qualche turista che si aggira in città, soprattutto così presto), e in seguito l’imponente security knight che fa da guardia alla bellissima cattedrale di Vilnius. In giro non c’è anima viva. Proseguiamo il nostro giro verso il centro cittadino, visitando la chiesa di San Giovanni Battista e la piazza principale, detta piazza del municipio. Qui ci rendiamo conto, sfoderando il nostro minuscolo pc portatile (eh si, lo smartphone era ancora lontano anni luce), che effettivamente nelle Repubbliche Baltiche è consuetudine avere wi-fi libero in tutte le zone pubbliche, troppo avenieristico! Dalla piazza si raggiunge facilmente il punto forte della città, la porta dell’aurora: l’ultima rimanente delle nove porte della capitale lituana, che al suo interno accoglie una cappella cattolica con un’effigie dorata di Maria, così lucente che si vede anche passando dalla strada che conduce alla porta. Altro monumento importante e degno di nota è la chiesa di Sant’Anna, sia per l’esterno che per gli interni. Effettivamente, gran parte dei punti di interesse che abbiamo visitato consistono in arte sacra. Per cambiare prospettiva e goderci i tetti rossi di Vilnius visitiamo il parco Kalnu raggiungendo la Torre di Gedeminas in cima ad una collina, da cui il panorama su tutta la città è a dir poco degno di nota.
Ma non c’è tempo da perdere! Torniamo alla macchina percorrendo alcune stradine secondarie, per completare l’idea della città, e ci muoviamo in direzione Siauliai. Oltre che per dormire, questo posto ha un’attrattiva del tutto particolare: la collina delle croci. Questo luogo “sacro” è una letteralmente una collina ricoperta da croci votive (si parla di un numero a 5 zeri), usata simbolicamente dai credenti lituani per contrastare il russo invasore. Perdersi in una collina di croci è un’esperienza più unica che rara, se siete nei paraggi fermatevi e provateci!

Giorno 4 – Da Siauliai a Palanga

Una distesa piatta e liscia come l’olio: ecco come si presenta a noi – che lo vediamo per la prima volta – il mar Baltico. Arrivati di buon mattino a Klaipeda, ci imbarchiamo col battello che in meno di cinque minuti ci porta sulla penisola del Nering (detta penisola dei curlandesi). Questa penisola è un sottilissimo lembo di terra divisa a metà fra la Lituania e l’exclave russa di Kaliningrad ed è chiamata “la perla del Baltico” per le sue spiagge bianche e infinite accompagnate da una natura selvaggia. Dopo un po’ di relax in spiaggia abbiamo fatto visita alla collina delle streghe, una collezione di mostruose sculture in legno nel parco di Joudkranté, da non perdere. Per la notte abbiamo pensato bene di fermarci nella località marittima per eccellenza delle Repubbliche Baltiche: Palanga. L’atmosfera qui è proprio quella di vacanza! Il lungomare offre un tramonto mozzafiato a tarda sera e la città si anima con bancarelle di ogni tipo e suoni/luci/e-colori. Condividiamo la casetta con una coppia di Estoni molto carini che ci danno un sacco di consigli su cosa vedere, cosa mangiare e (soprattutto) dove parcheggiare quando giungeremo nel loro paese. Ci regalano pure le mappe delle principali città estoni, che strappano delicatamente dalla loro guida turistica. Giusto, devo premettere che le due ore precedenti le hanno passate giocando a scala quaranta (che loro non conoscevano) con noi e idratandosi con la loro bottiglia di vodka (per intero, in fondo è caldo e la sete è tanta), magari le circostanze non erano usuali ma in ogni caso sono stati molto gentili.

Giorno 5 – Da Palanga a Cape Kolka 

Da questa giornata deriva il famoso detto “è una Cape Kolka” quando ci si riferisce ad un disastro. Forse vale solo per noi, perché siamo stati a Cape Kolca dopo aver passato una notte quasi insonne e aver fatto una colazione con una tazza di caffè solubile terribile. In più abbiamo percorso 80 dei 300 km per raggiungere la destinazione su strada sterrata piena di buche. In più l’unico campeggio in questa località è un prato (bellissimo) con bagno in stile medievale (cioè cabina di legno con buco) e mais che esce dal lavandino all’aria aperta. Infine, abbiamo raggiunto a piedi il “capo”, la lingua di terra che si  allunga fra due mari che si incontrano: il Golfo di Riga e il mar Baltico. Abbiamo raggiunto la meta dopo aver camminato per più di un’ora su una spiaggia maltenuta e piena di tronchi e rami che rendevano difficile il passaggio. Romanticissimo e scenografico a detta della guida, “non andateci” a detta nostra. 

L’unica nota positiva del passaggio in Lettonia di oggi è stata la tappa alla cascata Venta, la più ampia, e al contempo bassa, d’Europa. Qui i paesi hanno ancora le case il legno, sembra un po’ di essere nel Far West.

Giorno 6 – Da Cape Kolka a Riga

Ci siamo, sulla via dell’ambra, in direzio Riga. Riga è la vera capitale delle Repubbliche Baltiche, una città dall’anima spumeggiante, giovane e piena di vita. Questa città ci conquista con la sua bellezza, il senso di sicurezza e le splendide luci che l’estate nordica sa offrire. Le attrazioni sono molte, noi ci siamo “accontentati” di una giornata intensa partendo dal panorama della città vista dal ponte Vansu. L’elenco dei suggerimenti è lungo: il castello di Riga, la cattedrale, la torre delle polveri, la chiesa di San Pietro, il monumento alla libertà nel parco Bastejkalna, il mercato centrale e, meraviglia delle meraviglie, la casa delle Teste Nere e il famosissimo albero di Natale (vedi foto di copertina). Conserviamo la visita dei palazzi anseatici di Vecriga (la città vecchia) per la tappa che faremo al ritorno. Per una giornata abbiamo fatto più che a sufficienza , ci gratifichiamo con aperitivo nella splendida Doma Laukum (piazza del Duomo) in uno dei localini che vengono allestiti in mezzo alla piazza per le serate estive e servono ettolitri di Kvas accompagnati da crostini all’aglio, con copertina di pile su ogni sedia per far fronte alle frizzanti notti baltiche. Cin cin!

Giorno 7 – Da Riga a Tartu

L’Estonia sarà il primo paese fra quelli delle Repubbliche Baltiche a entrare nell’Euro: manca poco e si sente, si respira un’aria diversa rispetto alle sorelle Lettonia e Lituania e, anche se non sono poi stati così diversi, si vede che sono lontani anni luce. Arriviamo a Tartu, città universitaria e la seconda per numero di abitanti in tutta Estonia. La città è immersa nel verde e c’è un brulicare di studenti in ogni strada, parco e locale. Una delle tappe che non potevamo mancare era proprio l’università e il dipartimento di fisica. Oltre agli edifici di uso quotidiano per lezioni e ricerca, l’università ha anche un museo che vale assolutamente la pena di essere visitato, anche perché da accesso ai ruderi dell’antica cattedrale di mattoni rossi, andata semi-distrutta in un incendio. L’altro pezzo forte di Tartu è la piazza del municipio con la fontana dei Kissing students, unica nel suo genere! Leviamo presto le tende per trovare un campeggio dove piantare (stavolta non è figurato) la nostra tenda. Guidando in direzione Narva troviamo questa colonia che offre la possibilità di campeggiare nel giardino circostante. La posizione in mezzo al bosco ci piace e decidiamo di fermarci: non potevamo fare scelta migliore, a cinque minuti c’era un lago meraviglioso in cui i giovani del posto facevano tuffi e il bagno fino a tardi e da cui abbiamo potuto ammirare per l’ennesima volta tutti i colori del tramonto nei cieli del nord.

Giorno 8 – Da Tartu a Tallin

Eccoci al confine con la Russia: Narva è la città più a Nord – Ovest dell’Estonia e guarda, a un fiume di distanza, la cittadina di Ivangorod e a meno di 300km da San Pietroburgo. Sì, ci sarebbe piaciuto continuare in quella direzione ma è impossibile entrare in Russia senza essere già in possesso di un visto, soprattutto senza avere un itinerario già comunicato alle autorità e senza aver prenotato nemmeno un hotel. Vabbé. La frontiera è proprio a ridosso del castello di Hermann, più conosciuto come la fortezza di Narva, con i bastioni meglio conservati d’Europa. Oltre al castello, vale la pena visitare anche la cattedrale ortodossa della Resurrezione e la cattedrale di Alexander. E’ presto ora di rimettersi in viaggio per la capitale Estone: attraversiamo il nord del paese fra prati verdi e alberi di faggio che fanno sembrare il paesaggio tutto uguale. In meno di tre ore raggiungiamo Tallinn, piazziamo la tenda e andiamo a vedere il tramonto dal parco del memoriale Maarjamae. Il lungomare è il sogno di chiunque sappia pattinare a rotelle, ci rattristiamo per un istante pensando a quanto sarebbe stato bello pattinare alle 11 di sera in piena luce su una pista da biliardo in riva al mare, ma ci accontentiamo dell’ennesimo meraviglioso spettacolo.

Statua di Lenin a Narva
Fortezza di Narva

Giorno 9 – Tallinn

La città dai tetti rossi è la vera capitale delle Repubbliche Baltiche. C’è aria di entusiasmo per le strade, sembra veramente che l’entrata nella moneta unica rappresenti un vero passo in avanti per questo paese. Ci concentriamo sulla città vecchia, in cui c’è tanto da visitare. Come per Riga, le cose da vedere a Tallinn sono troppe per elencarle tutte, diciamo che le principali sono: le mura della città con le sue 46 torri (Kiek in de Kok), la piazza del municipio, la collina di Toompea con il castello, la chiesa di sant’Olaf (suona strano, vero?) e la cattedrale di Alexandr Nevskij, la chiesa del santo spirito, ecc.. Un ottimo modo per visitare la città è andare alla ricerca delle 100 porte colorate: sono tutte di colori e decorazioni diversi, una vera caccia al tesoro! Confesso, non ne avremo viste più di dieci, ma solo perché la tabella di marcia non lo permetteva (e anche per un po’ di pigrizia, dai). Mangiamo in un localino ,molto “in”, il primo e ultimo che ci permettiamo in questa vacanza. Al Peppersack assaggiamo il nostro primo pesce crudo – ottima esperienza e apripista per la moda del sushi che sarebbe piombata in Italia qualche anno più tardi – e ci godiamo l’ultima serata di andata: da domani si riprende la strada di casa.

Giorni 10 e 11 – da Tallinn a Malbork

Il viaggio di ritorno è lungo, tanto vale prenderla con filosofia. Partiamo da Tallinn con tutta calma, sapendo che per oggi la strada non sarà molta. Ci fermiamo per una breve tappa a Parnu, località balneare sulla costa occidentale dell’Estonia, e facciamo un ultimo bagno nel Mar Baltico. Bisogna addentrarsi per decine e decine di metri prima che il livello dell’acqua superi le ginocchia, ma la sensazione dell’acqua poco salata e della sabbietta fina fra i piedi vale lo sforzo. Nel giro di qualche ora, percorrendo a ritroso la via dell’Ambra, giungiamo a Riga e ci godiamo quello che resta da vedere della città. La sensazione che ci pervade all’idea di lasciarla al mattino seguente ci mette malinconia, ma ogni cosa ha il suo tempo. L’indomani mattina ci prepariamo di buon’ora, la destinazione finale è piuttosto ambiziosa: Malbork. Abbiamo deciso di prendere una strada diversa rispetto all’andata e approfittarne per vedere almeno un angolo di Polonia, meta originale di questo viaggio. Ebbene sì, tutto questo era nato perché volevamo andare a seguire il campionato mondiale di canoa a Poznan, poi ci siamo lasciati prendere la mano. Arriviamo a destinazione verso ora di cena: abbiamo attraversato la bellissima regione collinare dei laghi e scoperto che il parco naturale con i bufali (che volevamo vedere) si trovava tutto da un’altra parte. In ogni caso sarebbe stata dura riuscire a incastrare anche una visita naturalistica nel nostro già fitto itinerario, pertanto ci accontentiamo di visitare il castello di Malbork il giorno seguente.

Giorno 12 – Malbork e Danzica

Anche oggi svegli di buon’ora. L’unico posto aperto per fare colazione di domenica da queste parti è il McDonald e per questa volta ci accontentiamo, visto che si trova in piazza e a due minuti dal castello. Il castello di Malbork è un vero spettacolo: una distesa interminabile di mattoncini rossi, un vero colpo d’occhio anche in una giornata plumbea come questa. La visita dura quasi tutta la mattinata, il castello è molto grande e offre molto sia all’interno che all’esterno. A pranzo ripartiamo in direzione Danzica. Arriviamo in città in men che non si dica e siamo anche piuttosto fortunati con il parcheggio. Scopriamo che è in corso una grande fiera, il centro è cosparso di bancarelle e venditori di palloncini. C’è gente ovunque, tanta gente da non riuscire nemmeno a entrare nella piazza Dlugi Targ. La osserviamo dall’alto di una scalinata che da a ridosso della piazza: le case che la circondano, dai colori più disparati, la incorniciano con grazia e ne fanno il fulcro della città. Cerchiamo di visitare il più possibile, ma con questo caos non è facile e presto ci rassegnamo e torniamo alla macchina. E’ ora di ripartire, per davvero.

Giorni 13 e 14 – da Danzica a casa

 

La sera prima troviamo alloggio in un villaggio-motel lungo l’autostrada, a un’ora e mezza dal confine tedesco. Abbandoniamo ogni idea di fermarci a Berlino, ci saranno altre occasioni per vederla con più calma. Guidiamo per più di nove ore fino ai prati verdi della Baviera, cominciando a respirare nuovamente aria di casa circondati dal bel paesaggio alpino. Trascorriamo la notte vicino a Schwangau, vogliamo approfittare ancora per un po’ di questo viaggio per vedere il castello di Neuschwanstein prima di varcare il confine e reimmergersi a capofitto nei libri. Nonostante l’impegno per arrivare puntuali, perdiamo la visita guidata alla favolosa (letteralmente) residenza di re Ludwig. Non ci perdiamo d’animo e decidiamo comunque di guardare il castello da lontano, percorrendo la strada che fra i boschi porta al ponte sospeso: una visuale privilegiata per ammirare la capacità architettonica di realizzò questa bizzarra fantasia. Di lì a poche ore avremmo fatto ritorno a casa, stanchi ma soddisfatti. Con la bella immagine del Neuschwanstein, che ci ricorda i nostri amati film Disney, chiudiamo questa prima grande avventura, che ci ha fatto scoprire tanto di un mondo a noi sconosciuto e, soprattutto, di noi stessi.

Canada Occidentale

 

13 giorni on the road – dalle Rocky Mountains alla Vancouver Island, fra pancakes con sciroppo d’acero a colazione e campeggi ad alta quota

Itinerario – Agosto 2018

 

Giorno 1 – Vancouver
Arrivo all’aeroporto/alla stazione nel primo pomeriggio. Sì, ognuno è arrivato per la sua strada con la speranza di incontrare l’altro entro ora di cena in Hotel. Nel giro di qualche ora ci siamo trovati, felicemente, e siamo ripartiti subito ad accaparrarci il posto in spiaggia sulla English Bay per assistere alla celebration of lights. L’evento è uno dei più importanti della città e nonostante la stanchezza del viaggio ne vogliamo approfittare. Troviamo da mangiare dell’ottimo cibo di strada vietnamita in uno degli n-foodtrucks che riempiono il lungo oceano e ci godiamo lo show nel piccolo fazzoletto di sabbia che abbiamo conquistato in una spiaggia gremita di gente. Spettacolo mozzafiato, valeva le quasi 24 ore senza sonno (vedi video del gran finale!).

Case galleggianti al Waterfront

Giorno 2 – Vancouver
In tandem si fa prima e si fatica la metà: pedalando abbiamo fatto il giro di tutta la città cercando di convivere con la folla del gay pride e del comicon, naturalmente in contemporanea. Itinerario: Stanley Park – Granville Island – TELUS World of Science – Chinatown – Gastown (con immancabile tappa al Vancouver steam clock) – Waterfront e rientro.

Vancouver skyline da Stanley Park

Incrocio a Chinatown

Giorno 3 – da Vancouver a Canyon Hot Springs
Otto ore di guida fino al Glacier National Park, la porta occidentale alle Rocky Mountains. Primo campeggio canadese, rigorosamente in tenda. 

Giorno 4 – da Canyon Hot Springs a Mosquito Creek
Partenza per il Lake Louise. In Agosto il Canada è preso d’assalto dai turisti, per cui ci inventiamo un’alternativa meno battuta rispetto al gettonatissimo giro del lago. Scalata alla Lake Agnes Tea House, con bellissime vedute sul Lake Louise e sulle montagne circostanti, e un simpatico incontro con un chipmunk. Nientre orso stavolta, siamo solo all’inizio. Ci rimettiamo in marcia per la Icefield Parkway, direzione Mosquito Creek Campground. Nonostante il nome non prometta bene, l’altitudine di quasi 2000m scoraggia le zanzare e il panorama che ci si apre davanti è veramente strepitoso (vedi immagine di copertina dell’articolo – scattata all’alba). Siamo salvi, ma ci risvegliamo col naso congelato.     

Canoe sul Lake Louise

Jasper National Park

Giorno 5 – da Mosquito Creek a Jasper
Risalire la strada dei parchi nelle Rocky Mountains è un’esperienza da fare, anche per chi in montagna c’è nato. A tratti, i paesaggi possono ricordare le Alpi, ma è tutto più grande! Dopo svariate fermate on the road (troppi i punti di interesse per elencarli tutti, tanto ci si passa, ma notevole la lingua di ghiacciaio Athabasca) piantiamo la tenda all’Overflow Camping di Jasper e ci dirigiamo verso il Maligne Lake, suggeritoci la prima notte da un compagno campeggiatore. Il migliore consiglio di questo viaggio: il lago si trova nell’omonima valle ed è contornato da cime molto suggestive. Dal lago proseguiamo per un’escursione al piccolo laghetto delle alci, nella speranza di osservare qualche esemplare con binocolo. Noi con la fauna locale non siamo molto fortunati: ci ripaghiamo con un bagno rigenerante nelle acque cristalline del lago “maligno” e una buona cena a base di alce (in qualche modo dovevamo pur incontrarne uno). 

Ghiacciaio Athabasca

Maligne Lake

Wapiti all’imbrunire

Giorno 6 – da Jasper a Merritt
Fra il crepuscolo della sera prima e le prime luci del mattino siamo finalmente riusciti a fare seriamente wildlife spotting: wapiti ovunque! Le dimensioni di questi cervi americani sono veramente impressionanti, il cervo europeo a confronto potrebbe essere un wapiti bonsai. E’ l’ultimo giorno nelle Rockies canadesi: concludiamo in bellezza con una gita alla Athabasca Fall, la più imponente cascata del Parco Nazionale di Jasper. Ci rimettiamo poi al volante in direzione Merritt, per l’esattezza verso il Desert Inn Hotel di Merritt. L’hotel rispecchia le nostre aspettative: non c’è proprio nessuno. Sconsolati per l’alloggio, che comunque dopo giorni e giorni di campeggio aveva l’aspetto di una suite per il solo fatto di avere un bagno in camera, cerchiamo un posto dove cenare in questa città fantasma. Fortunatamente siamo capitati nell’unico pub della città proprio il chicken-wings-tuesday: 20 gusti di alette di pollo fra cui scegliere, a 1 dollaro l’una. Mangiata memorabile.

Athabasca Fall

Giorno 7 – da Merritt a Squamish
Poco da dire su questa gioranta trascorsa in auto, i paesaggi continuano ad assere affascinanti ma le distanze si fanno veramente sentire. Solo una considerazione: ci eravamo preparati ad affrontare il Canada, le sue altitudini e il clima del nord, con abiti adeguati alla stagione estiva di montagna, ma nessuno ci aveva avvertito che avremmo passato parecchi giorni con temperature diurne superiori ai 40°C (true story). Ma noi siamo in vacanza, ce ne importa relativamente, peccato però che il numero di incendi in tutta la British Columbia sia ogni giorno crescente, sentiamo addirittura che oggi è stata superata la quota 300.  Un vero disastro per per un paese sconfinato, fatto di boschi sconfinati.

Giorno 8 – Sea to Sky Gondola
Per raggiungere Squamish abbiamo percorso la Sea to Sky Highway, autostrada panoramica che collega Vancouver all’estremità settentrionale della baia di Howe.  Sqaumish, il cui nome deriva dall’omonimo popolo indigeno che abitava l’area intorno alla cittadina, è stata costruita come capolinea di una ferrovia e per la sua posizione strategica per il trasporto marittimo. Per queste sue origini non offre grandi attrattive dal punto di vista culturale. Uno dei punti di interesse della zona è la Sea to Sky Gondola, un punto panoramico mozzafiato sulla baia e le isole dell’Howe Sound. Per salirci c’è una comodissima cabinovia che in poco più di dieci minuti ti porta letteralmente dal mare al cielo, per un prezzo decisamente poco economico. Qui inizia la nostra avventura: “Questo biglietto è troppo costoso! Non c’è un modo per salire a piedi? Insomma, veniamo dalle Alpi, prendiamo il sentiero!”. Dopo 4 ore di salita taglia gambe, 7,5 km di strada per 1000m di dislivello, abbiamo capito perché quel biglietto, in fondo, non era poi così costoso. Una gran faticata, ma ne valeva la pena! Ripensandoci dal divano, abbiamo comunque fatto bene a salire a piedi: siamo stati ripagati da meravigliosi scorci sul mare, passaggi divertenti nel bosco fra rocce e radici, incontri con i runner che ci superavano senza fatica, e infine abbiamo conquistato la cima. Camminare su un ponte sospeso ammirando il “fiordo pacifico” e sorseggiare una bottiglia di freschissimo thé alla pesca hanno aggiunto soddisfazione alla già mirabolante impresa della giornata.

Sea to Sky Gondola

Howe Sound Panorama

Giorno 9 – da Squamish alla Vancouver Island
Partenza in direzione Horsehoe bay (terminal del traghetto per la Vancouver Island), oggi il meteo non è granché ma vogliamo comunque approfittare del tempo a disposizione per fare qualche visita prima di imbarcarci. La prima tappa è la cascata di Squamish, appena sopra il nostro campeggio, da cui abbiamo proseguito verso l’Alice Lake Provincial Park per una passeggiata nel bosco. Ancora niente orsi. La seconda tappa è il museo della miniera Britannia, con visita guidata in trenino alla miniera e successiva visita allo stabilimento e al museo (ottima alternativa, quando piove). Verso sera ci imbarchiamo per Nanaimo, il cielo è plumbeo ma ha comunque un certo fascino inoltrandoci tra le isole. Attracchiamo un paio d’ore dopo e guidiamo fino all’unica camera (sufficientemente economica) disponibile sull’isola, a Port Alberni.

Giorno 10 – Tofino e il kayak

Tofino, una delle mete più gettonate dagli amanti degli sport acquatici. Due obiettivi per la giornata:

1. Trovare un campeggio da favola (fatto) e comprare tutto il necessario per il primo fuoco (che fin’ora non abbiamo potuto fare a causa del fire-ban in vigore).

2. Gita in kayak, senza backflip. Per il kayak ci siamo affidati alla Black Bear Kayaking, uscita di quasi tre ore pagaiando fra le isole della laguna interna di Tofino con vista su uno dei pochi villaggi abitati esclusivamente da First Nations. Abbiamo visto stelle marine di ogni dimensione, una medusa testa di leone gigante, mamma aquila e aquilotto durante una lezione di volo e una foca che ci stava seguendo incuriosita. Niente orche, niente orsi, tanto per cambiare, però non ci siamo rovesciati (a parte il nostro compagno di avventura Rick. “Where are you, Rick?”). Esperienza davvero divertente anche se piuttosto faticosa. La sera ci siamo premiati con un bel fuoco e una cenetta al bbq. 

 

Giorno 11 – Vancouver Island
Prima giornata di relax. La mattina escursione lungo il Rainforest Trail, bellissima passerella che si addentra nella selvaggia foresta temperata del Parco Nazionale Pacific Rim. Finalmente vediamo i famosi aceri giganti canadesi! Pomeriggio di relax in spiaggia e a cena di nuovo bbq. Per concludere in bellezza serata in spiaggia, con fuochi qua e là in lontananza: che bello guardare le stelle sulla costa del Pacifico! 

Wya beach

Rainforest trail

Giorno 12 – Rientro a Vancouver
Giornata di transito. Partiamo dal nostro bel campeggio nei pressi di Ucluelet per imbarcarci nuovamente verso il continente. Sebbene la parola isola faccia solitamente pensare a un piccolo pezzo di terra, la Vancouver Island è piuttosto grande e per attraversarla in larghezza ci vogliono più di quattro ore di auto, quindi ci mettiamo comodi e ci godiamo il panorama. Il tempo è migliore rispetto all’andata e riusciamo persino a goderci un po’ di panorama stando all’aperto sul traghetto. Arriviamo nei pressi di Vancouver nell’ora di punta e impieghiamo praticamente tutta la giornata a raggiungere la camera per la notte, in una zona della città che ancora non avevamo visto. Ci accontentiamo di uscire per la cena e scegliamo un ristorante tipico giapponese: ognuno si cucina le sue cose nel brodo, bizzarro, ma alla fine abbiamo apprezzato.  

Giorno 13 – Vancouver
Ultimo giorno di vacanza dedicato allo shopping da souvenir e all’andare a zonzo per i quartieri più “in” della città. L’indomani mattina presto abbiamo il volo che ci riporta in Italia: ci godiamo le ultime vedute di Vancouver, pensando già a cosa ci aspetterà nella prossima partenza.