11 2 19

Chiunque sia stato in Giappone o stia organizzando un viaggio in Giappone ha sicuramente sentito parlare di Narita, il principale aeroporto per voli nazionali e internazionali di Tokyo. Sebbene gran parte delle persone partano o arrivino a Narita, sono in pochi quelli che si fermano a scoprire la cittadina che ospita questo importante scalo e, credetemi, è un vero peccato.

Oltre alle caratteristiche viuzze del centro città in cui si susseguono edifici in stile ryokan con ristoranti di anguilla e numerosi laboratori artigianali che producono dolci di riso e di castagne, una gita in giornata dalla capitale vale solo per passeggiare nell’enorme parco dei templi.

Si valica il portone con l’antica lanterna rossa e si incontra il primo e più importante tempio del complesso religioso, il Shinshi-ji, affiancato dalla sua pagoda rossa a tre piani. 

Dietro al tempio, incastonate nella roccia, ci sono decine di statue bronzee del Budda, che fanno la guardia a questo luogo sacro e accompagnano i visitatori al sentiero che porta all’interno del parco, fra alberi sempreverdi, e circa 500 pruni bianchi e rosa, che in questo periodo dell’anno cominciano la loro fioritura.

Il parco Narita-san è situato su una collina e prosegue lungo le pendici fino agli stagni a valle, risalendo poi per un secondo promontorio dove sono situati altri santuari e templi.
Come sempre nei luoghi di culto in Giappone, c’è pace e serenità e, nonostante ci siano veramente molti visitatori (è domenica), il silenzio è rotto solo dal suono della campana della preghiera e dagli uccellini che sentono la primavera. L’atmosfera si fa catartica soprattutto nei pressi dello stagno più grande, passeggiando lungo la riva fra ponticelli e lanterne di pietra giganti e uno splendido gazebo di legno circondato dall’acqua. Naturalmente non possono mancare le carpe Koi, bianche e rosse, grandissime, sempre in cerca di qualche cosa da sgranocchiare. 

Risalendo una scalinata di pietra si raggiunge la seconda area di templi, in cui fraternamente i giapponesi condividono lo spazio e le preghiere fra buddisti e scintoisti. Questo è un ottimo esempio di integrazione, rispetto e accettazione religiosa. A volte, gli stessi giapponesi non sanno se definirsi scintoisti o buddisti, rivolgendosi indifferentemente alle une e alle altre divinità, per questo nella maggior parte dei casi i luoghi sacri ospitano templi o santuari di entrambe le fedi. 

E’ emozionante visitare questi luoghi allo sbocciare delle prime gemme, quando tutto si tinge di un colore nuovo. Si intravede la primavera, si comincia a sentire aria di cambiamento. Tutto ha il profumo di un nuovo inizio, anche per noi.

8 2 19

 

Non c’è da stupirsi se Nikko compare nella lista dei patrimoni dell’UNESCO. Per quanto si tratti di una piccola cittadina, vanta uno dei siti religiosi più degni di nota nei dintorni di Tokyo. Noi ci prendiamo un weekend per visitarla, approfittando del Nikko pass che ci fa viaggiare con un bello sconto dalla stazione di Asakusa fino a Nikko (e ci da anche diritto ad usufruire dei trasposti locali in maniera illimitata). Solitamente i turisti scelgono di visitarla in giornata da Tokyo, opzione praticabile ma con tutte le cose che ci sono da vedere nei dintorni sono consigliabili almeno due giorni.

Arriviamo in stazione e dopo un pranzo veloce al kombini partiamo subito per la zona dei santuari. Nikko si trova in una zona montuosa e i punti di interesse sono in un bosco che potrebbe ricordare quelli di casa, ci mancava il profumo dei pini! Per di più, siamo contenti che i turisti optino per la visita mordi e fuggi: mentre noi andiamo verso la meta, la maggior parte dei visitatori sta tornando  verso il treno e ci troviamo a respirare un po’ di pace e silenzio in mezzo a alla natura e alla solennità dei templi alla luce tiepida del tramonto. Il Tosho-gu, il Rinno-ji, il Futurasan-jinja,..  Ci sarebbe un sacco da scrivere su ogni santuario e ogni tempio, per la loro bellezza e solennità, per i colori e gli intarsi, per il forte senso di introspezione e meditazione che si vive ammirando queste meraviglie. Fortunatamente ci sono già molti siti che lo fanno (uno di questi, ad esempio, lo potete trovare qui), così non dobbiamo dilungarci con descrizioni e cenni storici.

 

In un pomeriggio naturalmente non siamo riusciti a vedere tutto, quindi ci siamo tenuti un ultimo tempio per l’indomani, il che è stato anche una fortuna perché abbiamo visto lo stesso scenario anche con la neve (ebbene sì, continua ad essere inverno e a nevicare, qui). Nella zona dei santuari, sono anche da visitare il ponte Shinkyo, la villa imperiale Tamozawa e l’abisso Kanganmafuchi. Nonostante si chiami abisso, il Kanganmafuchi è una semplice passeggiata lungo il corso del torrente. Noi l’abbiamo visto in solitaria (non c’era anima viva!) ma abbiamo avuto la compagnia di una fila lunghissima di statue di buddha con berrettino e bavaglino rosso (vedi immagine di copertina).

Oltre a quello che siamo riusciti a vedere, ci sarebbero state anche altre escursioni da fare nei dintorni, come quella alle cascate Kegon, ma il freddo e la neve ci hanno fatto desistere dal fare le corse e ci siamo concentrati sulle già numerose cose a portata di mano.

 

Come potete capire un giorno solo per visitare Nikko è davvero poco, però capiamo chi vuole riempire la propria giornata con un programma anche serale – e a Nikko dopo le 18 non c’è NIENTE. Per rendere l’idea, la guida consiglia il FamilyMarket (per chi non lo sapesse, si tratta di un negozietto aperto 24h24 che offre cibo confezionato a basso prezzo e tutti i generi di sopravvivenza e/o cibo spazzatura per chi non ha la più pallida idea di come cucinare o di pianificare una spesa) come posto dove andare a bere qualcosa. Fortunatamente c’era anche una locanda che offre ramen fino alle otto, inutile dire che questa è stata la nostra (unica) scelta per la cena!

Per chiudere, una foto delle famose tre scimmie sagge: “non vedere il male, non sentire il male, non parlare del male”.

5 2 19

A Sapporo è cominciato il festival della neve e negli hotel c’è il tutto esaurito da mesi. Noi alloggiamo in un ostello a Otaru e visitiamo la capitale di Hokkaido con un’escursione in giornata: è notevolmente più economico e l’ostello è molto confortevole e con la colazione inclusa – niente male. I proprietari sono molto cordiali e si fermano sempre a parlare con noi. In quest’occasione i due mesi di giapponese hanno dato i loro frutti e posso dirmi soddisfatta.

A Hokkaido sta nevicando costantemente e la temperatura non da un attimo di tregua, ma considerato il piano della giornata non poteva essere altrimenti. Sapporo è una grande metropoli moderna, e i punti di interesse sono sparsi un po’ dappertutto. Fortunatamente è molto semplice da girare a piedi essendo un reticolato ordinato di strade e una volta stabilire le proprie priorità di visita il gioco è fatto. Dalla stazione in poco tempo raggiungiamo la Torre dell’orologio e la Torre della televisione, considerati entrambi edifici storici. Da quest’ultima si estende un lunghissimo parco che attraversa da est a ovest il centro città e che in inverno ospita il festival della neve. Una miriade di sculture bianche raffiguranti personaggi di anime e manga o, più semplicemente, della cultura giapponese si estendono per tutta la lunghezza del parco, alternati a stand di cibo di strada (come, ad esempio, una specie di involtino primavera formato super maxi contenente formaggio di Hokkaido e granchio, slurp) e veri e propri edifici di neve che fanno rimanere a bocca aperta.

Nonostante fosse lunedì, al parco c’era una processione interminabile di persone in visita, ma come sempre in Giappone tutto procede in maniera ordinata e senza code (com’è possibile?). Dicono che il numero di visitatori per questo evento sia aggiri ogni anno intorno ai 2 milioni in una sola settimana!

Dopo due ore e mezza di pikatchu, hello kitty e totori innevati decidiamo che è ora di andare a scaldarci un po’ al museo della birra di Sapporo (quella famosa, con la stella rossa sull’etichetta). Visto che però è un po’ presto per la birra, decidiamo di allungare il tragitto visitando anche la galleria commerciale e il mercato del pesce, un po’ fuori rotta ma sempre interessanti.

Il museo della birra è all’interno del primo birrificio giapponese, costruito in mattoni rossi in perfetto stile europeo. La storia del birrificio è molto interessante e ben spiegata tramite video e pannelli espositivi. Il tour (gratuito a meno che non si richieda la visita guidata, che però è solo in giapponese, quindi auguri!) se si legge tutto dura quasi due ore, ma vi assicuriamo che volano! Alla fine è anche possibile fare degli assaggi in una sala espositiva. I prezzi qui sono decisamente convenienti rispetto a quanto si paga una birra in Giappone e c’è gente che viene qui solo per questo motivo.

L’altro punto forte del birrificio è il beer garten: alcuni edifici del complesso storico sono stati adibiti a ristoranti in cui si può pasteggiare con la birra locale e rilassarsi dopo la visita. Per la cena noi abbiamo scelto il grill di Jenjiskhan – il nome prometteva bene e, infatti, il piatto non ci ha deluso e l’atmosfera era davvero suggestiva con i colori caldi e il profumo di griglia dentro e la neve che scendeva soffice fuori.

 

Dato il gran successo della visita al birrificio, abbiamo deciso di dedicare l’ultima giornata a Hokkaido alla visita della distilleria di whiskey Nikka, a mezz’ora di treno da Oraru. Anche in questo caso si tratta di un viaggio dall’aspetto europeo in cui è stata riportata l’antica tradizione scozzese. La visita è gratuita e vale la pena se si è in zona e si hanno un paio d’ore libere, e si vi piace il whiskey c’è pure la degustazione gratuita di tre tipi di whiskey.

In tutto questo, ci mancava solo il sake! Ma non c’è niente di simile qui al Nord, e poi è ora di riprendere l’aereo per Tokyo e per nuove avventure.

3 2 19

Hokkaido è la migliore meta per il turismo invernale in Giappone, a detta degli stessi giapponesi. Basta essere un po’ temerari per affrontare le rigide giornate ventose e amare la neve, ma proprio tanto tanto. Gli ultimi cinque giorni li abbiamo passati su quest’isola a nord del Giappone, per immergerci ancora una volta in paesaggi bianchi e farci avvolgere dalla neve ogni giorno. Sembra romantico da scrivere, ma viaggiare costantemente sotto lo zero proteggendosi dai fiocchi sempre più invadenti è stati piuttosto faticoso. Nonostante la stanchezza, ne è valsa la pena è siamo riusciti a vedere un Giappone diverso da quello che abbiamo conosciuto  finora.

Il paesaggio è più selvaggio e le città sono più occidentali rispetto all’Honshu, probabilmente per la scarsità di templi è per la presenza di chiese ed edifici costruiti nel diciannovesimo secolo, dopo l’apertura del Giappone al mondo esterno.

Hokkaido è un’isola grande e noi, in cinque giorni, abbiamo potuto apprezzarne solo una piccola parte: il lago Shikotsu, la località termale di Noboribesu, le scogliere di Muroran, la cittadina di Otaru e infine la rinomata Sapporo, in pieno festival della neve.

Ma andiamo per ordine. Il lago Shikotsu si trova a mezz’ora di autobus da Chitose (la cittadina da cui prende il nome l’aeroporto, che erroneamente viene chiamato “di Sapporo”) e in inverno ospita una propria versione del festival della neve. Il festival consiste in un villaggio di “Natale” costruito sulla riva del lago: una serie di torri, passaggi, tunnel e scivoli di ghiaccio fanno pensare di essere in una fiaba nordica! Molto divertente da visitare di giorno e suggestivo la sera, quando tutto il parco si illumina di mille colori. Nel centro visitatori c’è anche una piccola ma curata esposizione su fauna e flora locali e sulle caratteristiche morfologiche del territorio di origine vulcanica.

La nostra seconda tappa, Noboribetsu, è rinomata per la presenza di numerose fonti termali dai benefici più disparati, originati dall’attività vulcanica perenne nelle profondità della terra sottostante. Questi vulcanetti di origine sulfurea hanno anche dato origine alla poco distante Valle dell’inferno (in gergo locale Jigokudani), un percorso su passerelle di legno fra terre colorate – per noi solo tanta neve – e camini di fumo perpetuo, che occasionalmente danno anche origine a geiger con acqua a 80℃. La valle è molto suggestiva e vale la visita anche l’inverno, soprattutto se avete in piano subito dopo di rilassarvi (e soprattutto riscaldarvi) in uno dei numerosissimi onsen. L’onsen, ossia il bagno termale giapponese, è una vera tradizione in Giappone. Al contrario delle Terme in Italia, qui la regola è di entrare esclusivamente nudi potendo portare con sé un solo piccolo asciugamano da viso (quelli che negli anime o nei manga vedete piegati sopra la testa di chi è immerso nelle vasche), in più le terme sono separate per uomini e donne. Le docce sono all’interno della zona vasche che vanno usate per insaponarsi abbondantemente prima e dopo essere entrati nelle vasche, tutte non più profonde di 40cm. Se non avete problemi di nudità e di solitudine (se siete in coppia come eravamo noi), è un’esperienza che va fatta, per di più il prezzo è notevolmente più basso di quello a cui siamo abituati a casa rientrando in qualsiasi tipo di budget abbiate. Noi, visto che volevano farla grossa, siamo andati nel più grande complesso termale dell’intera isola, spendendo circa 16€ per tutta la giornata, ma se ci si accontenta di meno vasche su può pagare anche solo 3,30€. Insomma, niente scuse, va provato.

Il terzo giorno ci siamo spostati dall’oceano Pacifico al mar del Giappone/mare del Sud (dipende se chiedere a un giapponese o a un coreano). Approfittando del bel tempo, abbiamo fatto un’escursione lungo le scogliere di Muroran prima di prendere il treno per Otaru.

Otaru è proprio una bella cittadina, per essere un porto di mare. È tutta raccolta attorno ad una grande baia ed è famosa per il suo canale che ricorda un po’ i paesi del Nord Europa. In inverno lungo il canale vengono fatte delle sculture di neve che la sera si illuminano di giallo e blu, rendendo l’atmosfera ancora più romantica. A Otaru mangiare il sushi è un must: qui i ricci di mare e il granchio sono i più freschi e gustosi di tutto il paese e, in generale, si trova pesce fresco e di ottima qualità in qualsiasi locale.

Le attrazioni della zona, oltre al canale, sono la villa Aoyama e qualche edificio storico nel centro città, il tutto visitabile in giornata.

C’è anche la possibilità di prendere una funivia per salire fino ad un punto panoramico che dicono essere mozzafiato, ma noi siamo troppo stanchi e infreddoliti per allungare ulteriormente la nostra giornata e andiamo volentieri a letto per prepararci all’intensa giornata che ci aspetta a Sapporo l’indomani.

27 1 19

Lo so, sono passati più giorni del solito dall’ultimo articolo che abbiamo pubblicato. Di cose ne sono successe, ma ormai la maggior parte rientra nell’ordinario – serata a Shinjuku a mangiare il sushi, passeggiatina serale vicino a casa con cena a base di tempura, tentata visita ai giardini del palazzo imperiale ancora una volta chiusi (al 4° tentativo..), eccetera, eccetera.  

Se proprio vogliamo parlare di nuove esperienze, venerdì abbiamo fatto serata pizza a domicilio da noi, visto che i colleghi di Lorenzo si erano stupiti che non avessimo ancora mangiato una pizza da quando siamo arrivati in Giappone. Potevamo ascoltare la nostra vocina interiore quando ci diceva che essendo fuori dall’Italia era meglio non farlo, ma ci piace troppo provare cose nuove e rispondere alle sfide, quindi abbiamo invitato tutti e abbiamo chiamato la pizzeria. Non mi dilungherò nel racconto, ma ci tengo a fare due considerazioni: 1) La pizza “Large” ha le dimensioni di una normale pizza in Italia, ciononostante i nostri ospiti erano sconvolti dal fatto che avessimo il coraggio di mangiarne una a testa, 2) La Margherita “Large” costa circa 14€ ed è nella fascia più economica, mentre le pizze della fascia più alta costano 28€, il doppio: questa volta gli sconvolti eravamo noi. La serata è comunque stata un gran successo nonostante, in fin dei conti, la pizza migliore fosse quella con maionese e gamberetti – che è tutto dire.

Ma torniamo al Giappone: domenica non c’era una nuvola e la temperatura era mite, giornata perfetta per una gita a Yokohama – la seconda città più popolosa del Sol Levante, con i suoi 3,1 milioni di abitanti.  
Yokohama è famosa per essere stato uno dei primi porti aperti ai commercianti del mondo esterno – da qui la sua fortuna nell’ultimo secolo e l’alta percentuale di stranieri che vi risiedono – e per ospitare la più grande Chinatown del Giappone.

Devo ammettere che non credevo di potermi divertire così tanto come in questa Chinatown: c’è confusione, c’è rumore, è tutto super colorato e ci sono insegne che sbucano ovunque. Per visitare questo quartiere in ogni sua parte, basta farsi guidare dai profumi che si perdono nell’aria: in ogni vicolo e ad ogni angolo si alzano da cesti di bambu le nuvole di vapore dei wonton e dei baozi sempre pronti per uno spuntino al volo. Se vi piace la vera cucina cinese, questo è il paradiso! Ci sono anche dolci di ogni tipo, ma quello che vendono tutti è una specie di Tangyuan ripieno di crema di fagioli dolci e ricoperto di semi di sesamo, che delizia! Non si tratta solo di cibo, camminare per queste vie fa veramente immergere in una cultura diversa da quella che abbiamo vissuto negli ultimi due mesi. Non c’è niente di nipponico né di occidentale qui dentro, è una vera e propria exclave cinese. Anche il tempio principale naturalmente, il tempo di Ma Zhu Miao, ha poco a che vedere con i luoghi di culto giapponesi. Estremamente colorato e dai motivi arzigogolati, a partire dal portone di ingresso, il tempio è pieno di incensi, oggetti votivi ed elementi decorativi opulenti, in perfetto stile con il quartiere circostante. Dalla frenetica Chinatown, si può prendere una boccata d’ossigeno passeggiando per Motomachi-dori e Naka-dori, due lunghe vie parallele che mantengono la struttura originaria dell’antico nucleo di Yokohama ma che col tempo si sono trasformate nelle vie più “in” della città, con un susseguirsi di negozi e boutique di alta gamma. Da qui si può proseguire per l’Harbor View Park, da cui si ha una bella vista sul mare e su una piccola porzione di skyline della citta. Il mare non è proprio romantico, trattandosi di una delle zone portuali più prospere del Giappone, in ogni caso vale la visita almeno per ammirare i roseti e il giardino all’inglese. Sempre a piedi, si può raggiungere il parco Yamashita, una splendida distesa verde che separa la città dal lungo-mare. Per percorrerlo tutto da capo a capo ci vuole una piacevole passeggiata di quasi un chilometro, fra le aiuole di fiori o lungo la promenade con vista sulla città. Qui incontrerete gente di tutti i tipi: genitori con bambini, gruppi di studenti che giocano in divisa scolastica, ragazzi con lo skateboard, anziani che giocano a Pokemon-go (non stupitevi perché qui quasi tutti gli over 50 ci giocano, ma fra tutti sono i nonnetti quelli fortissimi e agguerritissimi!) e cani portati a spasso in passeggino o con ridicole “dolcevite” di lana. Questa città sembra proprio fatta per la domenica, l’aria è rilassata e c’è un sacco di gente a passeggio. Proseguendo lungo la via pedonale, mantenendoo come meta la ruota panoramica che si vede in lontananza, si arriva al’Osanbashi, un molo adibito a parco e zona fiere, da cui si ha la postazione perfetta per gustarsi l’arrivo della sera e vedere le luci della città che cominciano a prendere colore. Domenica qui c’era la festa della birra artigianale, non vi dico che casino e che eccitazione fra i presenti.  Andando ancora più avanti si arriva sull’isola artificiale dove si trovano il museo dei noodles (dicono sia divertente, soprattutto perché si possono fare molti assaggi e infine ci si può creare la propria ciotola di noodle, ma dopo l’abbuffata a Chinatown non era proprio il caso di rincarare la dose), l’edificio di mattoni rossi – sì, si chiama così perché è uno dei pochi in mattoni ancora in piedi quindi ne vanno fieri – e il parco divertimenti Yokohama Cosmoworld, in cui c’è la ruota panoramica stile orologio più grande al mondo: la Cosmo Clock 21 Ferris Wheel. Per chi volesse godersi il panorama dall’alto, oppure provare a vedere il monte Fuji (ancora una volta, sempre lui), la Yokohama Landmark Tower è una tappa obbligata a due passi dal parco divertimenti, ma per accedervi c’è sempre la coda.  Per chi invece vuole risparmiare il biglietto di ingresso e di torri ne ha già viste abbastanza, meglio la bella vista dall’Osanbashi: è gratis e, quando alle prime luci del tramonto tramonto comincia lo spettacolo di luci sulla ruota panoramica, lo spettacolo è mozzafiato.

21 1 19

Shibamata è uno Shitamachi, ossia una piccola cittadina alle porte di Tokyo che preserva ancora oggi l’atmosfera del periodo Edo. Case basse e botteghe artigiane affiancano la via principale, che porta dalla stazione (solo 30 minuti di viaggio da Asakusa) fino al tempio buddista Taishakuten. Lungo il percorso sono tante le vetrine di dolci di matcha, senbei e kusa dango, e non puoi fare altro che voltarti continuamente a destra e sinistra per vedere le pasticciere al lavoro mentre preparano queste prelibatezze davanti ai tuoi occhi.

Avvicinandosi al tempio, i dolci lasciano spazio a DarumaOmamori – bambole votive e amuleti portafortuna –  un’esplosione di colori! Il Taishakuten è un vero e proprio gioiello, considerato fra i 100 migliori paesaggi/luoghi da visitare del Giappone, ed è famoso principalmente per  le decorazioni intagliate nel legno. Esternamente, la sala della preghiera è completamente ricoperta di scene del Buddha e circondata da teste di drago, la cui qualità nei dettagli è davvero impressionante. 

Ma c’è di più: dietro al tempio si nasconde un delizioso giardinetto giapponese, chiamato Suikeien, visitabile a piedi scalzi percorrendo la tipica passerella di legno. Uno stagno con le carpe, una pagoda di pietra a 5 piani, una fonte di purificazione, le catene della pioggia e qualche pianta decorativa stagionale rendono questo luogo meraviglioso, anche in inverno.
Poco distante dal tempio si può raggiungere il fiume Edogawa, lungo cui c’è un’area verde per pic-nic, un campo da baseball e un’ottima pista per correre e andare in bicicletta. In questo caso però si fa sentire l’inverno e, nonostante ci fosse pieno sole nel giorno di visita, la brezza era piuttosto pungente. Anche lungo il fiume le cose non sono cambiate molto dal periodo Edo, i pontili sono ancora in legno (e non sembra che qualcuno gli abbia manutenuti, dall’epoca Edo).

Sarà per la vicinanza al fiume che il piatto forte di questa zona è l’anguilla, in particolare quella grigliata o l’unagi donburi. Si può trovare in quasi tutti i ristoranti della città e dicono sia proprio una tappa obbligata per chi viene in visita a Shibamata (noi in realtà l’abbiamo mangiata la sera stessa a Ueno, in un locale mignon consigliatoci da un’amica, un piatto davvero prelibato!).

Oltre al fascino storico e alle bellezze architettoniche che racchiude, Shibamata è famosa in tutto il Giappone (e probabilmente anche oltre) per il celeberrimo Tora-san, protagonista della serie televisiva Otoko wa Tsurai yo. La serie è ambientata principalmente in questa cittadina, luogo natio di Tora-san, i cui scorci sono passati davanti agli occhi di ogni giapponese che abbia mai avuto una televisione dal 1969 in poi. Ebbene sì, la serie è cominciata nel ’69 per continuare fino al 1995, stesso regista e stesso protagonista – roba da guinness dei primati, altro che Beautiful!
La serie è stata talmente importante per la città che potrete trovare una statua del protagonista ad accogliervi appena usciti dalla stazione e riconoscerete Tora-san come mascotte in tutti i negozi di souvenir di Shibamata Sando. 

Eccovi il il primo episodio, enjoy!

17 1 19

Tokyo è grande, immensa, ma è ora di uscire dai confini metropolitani per scoprire cosa c’è appena al di fuori della capitale Giapponese. Giovedì siamo andati in gita “in montagna” con la nostra amica M. Uso le virgolette perché, sebbene qui sia considerata una vera e propria escursione, la salita al monte Takao (Takao-san per i giapponesi) è letteralmente una passeggiata. 
Prendendo la linea Keio da Shinjuku, in 50 minuti si arriva ad una stazione alle pendici del monte, da cui partono una funicolare e una seggiovia che portano appena al di sopra di quota 400m s.l.m. e da qui si comincia la salita.  

Ci sono diversi sentieri che arrivano alla vetta, noi scegliamo di prendere il numero 1, che conduce ai principali punti di interesse lungo la salita. Come sulla maggior parte delle montagne giapponesi facilmente accessibili, sul percorso troviamo locande in cui mangiare, venditori di dolci di riso (qui sono particolarmente rinomati i Dango – tre palline di pasta di riso spennellati con salsa di miso dolce – e i Manju) e soprattutto templi e santuari, in cui gli escursionisti si fermano a pregare o a esprimere desideri di buon auspicio o di guarigione.
Ogni tempio è dedicato a una divinità che protegge/guarisce una specifica parte del corpo (quello che vedete in copertina ad esempio è dedicato alla divinità protettrice dei piedi, come si può notare dalla distesa di zoccoli di legno) e per chiedere protezione basta avvicinarsi alla pietra sferica posta in prossimità del tempio che riporta la scritta della parte da curare (occhi, orecchie, arti, ecc.), toccarla con una mano e sussurrare la benedizione. In particolare, sul monte Takao, oltre alle pietre sferiche si trovano statue di polipo che svolgono la stessa funzione e per ottenere una specifica protezione basta toccare la parte del polipo corrispondete alla zona del corpo interessata.
So che vi starete chiedendo come si fa con il polipo a proteggere per esempio il naso o le orecchie. Anche in questa circostanza meglio non farsi troppe domande, considerando il fatto che è stato scelto il polipo per via della sua somiglianza con gli alberi del bosco e le loro radici (è evidente che proveniamo da una cultura molto diversa, non ci sarebbe mai venuto in mente come paragone!).   

Nel giro di poco, e senza nemmeno molto sforzo, raggiungiamo la cima: ben 599m s.l.m., ce la siamo proprio guadagnata! Noi ci ridiamo ma la nostra compagna di viaggio aveva il fiatone – gente di città. Mangiamo i nostri onigiri baciati dal sole e con una bella vista del monte Fuji tutto innevato che si staglia fra le montagne in lontananza.
Per il ritorno scegliamo il sentiero numero 4, che è un po’ più selvatico e immerso nella natura. Il bosco ricorda quello delle nostre Prealpi – anche se alcune specie come le piante con la fioritura invernale da noi non si trovano – e il percorso è tranquillo e ben segnalato. Passiamo anche un ponte sospeso, che è una delle maggiori attrazioni da queste parti, e scendiamo a piedi fino alla stazione senza ricorrere alla funicolare (almeno in discesa si può fare, altrimenti che escursione è?). 

Il Takao-san è una delle mete preferite dagli abitanti di Tokyo per evadere dalla frenesia cittadina e respirare un po’ di aria buona, specialmente nei fine settimana e in autunno durante il foliage. Ottima meta per una giornata all’aria aperta, anche per chi è un turista in città ed è stufo di insegne al neon e del rumore della città!  

14 1 2019

Oggi è il Seijin-no-hi, letteralmente “giorno di arrivo dell’età”, e in Giappone è festa nazionale e. Oggi i ragazzi che nel 2019 compiranno 20 anni entrano ufficialmente nell’età adulta e da questo momento possono bere, fumare, scommettere, frequentare locali per adulti e guidare. Fino al 2015  anche il diritto di voto veniva conquistato in questo giorno importante (attualmente si può votare a 18 anni). Questa festività è dedicata a loro.

Ma come si celebra l’avvento dell’età adulta? In ogni municipalità, alle 11.30 del mattino del secondo lunedì di gennaio, avviene una cerimonia che vede come protagonisti i ragazzi – neo ventenni – che ricevono le congratulazioni dal sindaco in persona per il passo importante che questo giorno rappresenta. Il sindaco ricorda loro il significato del passaggio che stanno compiendo, elencando tutti i diritti e doveri acquisiti attraverso la cerimonia.
Le ragazze, truccatissime e con le acconciature fresche di parrucchiere, vestono il tradizionale kimono, mentre la maggior parte dei ragazzi preferisce il completo da business-man  al più tradizionale abito da cerimonia. Al giorno d’oggi, sono rari i giovani che possiedono un kimono proprio o che hanno la possibilità di farsene prestare uno dai propri familiari, e quasi tutti si rivolgono ai negozi di noleggio. Leggendo qua e là, sembra che alcune ragazze arrivino a spendere fino a 1 milione di yen (circa 7.500€) per apparire nel kimono perfetto in questa giornata così importante! D’altronde, oltre ai familiari, tutta la comunità può partecipare alla celebrazione, ma soprattutto un sacco di fotografi professionisti ingaggiati dalle famiglie e, nelle municipalità più rinomate, anche numerose emittenti televisive che trasmettono la cerimonia live sui principali media nazionali. La cerimonia talvolta viene terminata con uno spettacolo di suonatori di 
taiko, i tamburi tradizionali giapponesi e in seguito i “nuovi adulti” proseguono i festeggiamenti passando in rassegna tutti gli eccessi a cui da questo momento hanno libero accesso.

Per questa celebrazione la città si ferma: intere aree vengono bloccate al traffico e diventano zone pedonali con musica, performance di artisti di strada e manifestazioni di ogni tipo. Noi siamo stati a Shibuya, uno dei quartieri più indicati per seguire l’evento, ma non abbiamo visto niente – o per lo meno niente che ci saremmo invece aspettati per quanto riguarda il seijin-no-hi. Suppongo che abbiamo esaurito la nostra fortuna con il Dezuiri della settimana scorsa – poco male visto che di giovani in kimono se ne vendono comunque anche la domenica (specialmente andando al tempio).

Solo una parentesi sull’estetica prima di chiudere, visto che poco sopra ho accennato all’attenzione che porgono le ragazze per apparire al meglio nel giorno del seijin-no-hi. L’estetica in Giappone è un fattore molto importante e vengono consumati sia da uomini che donne litri e litri di creme e prodotti per la pelle in generale per sembrare sempre giovani e belli, per quanto possibile.
A questo proposito, abbiamo scoperto che la famosa “mascherina” a volte viene utilizzata per coprire i volti ancora struccati, e non solo per evitare i contagi dei mali di stagione. Capita molto frequentemente di vedere ragazze e donne che, sedute sulla metro, tolgono la mascherina,  sfoderano il loro arsenale da make up e cominciano a truccarsi in maniera quasi professionale senza sbagliare un colpo, nonostante il movimento dei vagoni. Oppure che si fanno la pulizia del viso usando dei foglietti “anti unto” in formato tascabile (la mia amica M. me ne ha regalato un pacchetto da testare, è rimasta scioccata dal fatto che non siano parte integrante del kit che ogni donna porta in borsa – o, sicuramente, non del mio). Evidentemente, anche se qui non ti guarda nessuno, l’importante è apparire impeccabili.

 

 

P.S. Se qualcuno di voi si fosse domandato che fine ha fatto la signora che abbiamo incontrato sul treno per Kamakura a inizio dicembre e, soprattutto, che fine ha fatto il suo invito a cena, ecco com’è andata: l’abbiamo incontrata sabato scorso alla stazione di Kawaguchi (non chiedeteci come abbiamo fatto a riconoscerla fra milioni di nonnine giapponesi presenti alla stazione quella sera) e ci ha portati a mangiare in un ristorante cinese non molto lontano ma molto rinomato in zona. Naturalmente noi ci aspettavamo un invito a casa ma non potevamo pretendere troppo, soprattutto adesso che cominciamo a capire come funzionano le cose. In compenso, ci ha chiesto di partecipare alla lezione di inglese che avrebbe tenuto (come volontaria, essendo un’insegnante ormai in pensione) quella sera stessa per i ragazzi del quartiere che hanno in programma uno scambio interculturale in un paese di lingua inglese. L’esperienza è stata molto interessante e anche divertente, i ragazzi si sono messi alla prova e ci hanno fatto moltissime domande curiose e anche noi, con la scusa di allenare la lingua, siamo riusciti a farci un’idea più precisa dei giovani giapponesi. Sembra che le nuove generazioni non siano tanto diverse dalle omologhe europee, e questo ci stupisce dal momento che dal punto di vista della società le differenze sono molte. Chissà a che punto della crescita avviene il cambiamento. Sarà il seijin-no-hi?

9 1 2019

Non c’è niente di più bello che capitare nel posto giusto al momento giusto. Il Meiji-jingu era da un po’ sulla nostra lista e vista la giornata limpida valeva la pena addentrarsi nell’oasi verde che lo circonda. Il santuario scintoista Meiji è uno dei più importanti in città, secondo solo al Senso-ji di Asakusa per quanto riguarda la tadizionale Hatsu-mode, ossia la visita al tempio del primo dell’anno. Nota importante per i lettori, che avevo dimenticato di menzionare nella’rticolo opportuno: siamo ufficialmente nell’anno del cinghiale.

Al santuario si celebrano numerose festività durante tutto l’anno e la settimana prossima sarà affollatissimo per il Seijin-no-hi – giorno degli adulti – in cui i ragazzi di vent’anni celebrano l’ingresso nell’età adulta e vanno al santuario per chiedere la benedizione agli dei, spesso indossando il kimono.

Ieri al santuario c’era una discreta folla alle due del pomeriggio, e il cortile interno di fronte all’Honden era “transennato” (alla giapponese, quindi con un i paletti con le corde di tessuto che si vedono nei cinema, non con le barriere di metallo a cui siamo abituati noi) e la security stava predisponendo l’area per un qualche evento. Decido di prendere posizione e aspettare, cercando di capire cosa sarebbe accaduto di lì a poco. L’unica cosa che ho capito con anticipo dal leggerissimo brusio dei presenti è che tutto sarebbe iniziato alle tre, meglio armarsi di pazienza. Mentre cercavo informazioni su internet, una squadra “della scientifica” ha cominciato a pulire meticolosamente il corridoio centrale lasciato libero, spazzando e lucidando ogni centimetro quadrato. Arrivano in massa fotografi e troupe televisive, che vengono schierati con ordine e in totale silenzio nella postazione a loro designata. Come sempre, qui, ognuno ha un posto predefinito, un ruolo predefinito e delle regole predefinite, non si sgarra.

Cerca, cerca, trovato – google sa sempre tutto per fortuna: sto per assistere al Dezuiri.
Il Dezuiri è la cerimonia di ingresso al ring dello Yokozuna, ossia il massimo campione di sumo in carica. Per essere yokozuna non basta aver vinto un certo numero di tornei o  aver ottenuto un certo punteggio, bisogna anche possedere le qualità morali necessarie. Non per niente lo yokozuna è considerato una semi-divinità scintoista e al suo ritiro verrà pagato per questo (mmm.. boh.). Al contrario di quanto si potrebbe pensare, i lottatori di sumo non sono tutti giapponesi, anzi, il campione in carica che ricopre attualmente il ruolo di Yokozuna è di origine mongola.
Durante il Dezuiri, lo Yokozuna viene purificato da un prete scintoista e successivamente si esibisce in un antico rituale per celebrare il nuovo anno e per purificare il ring (dohyo) nel giorno di apertura del torneo, assieme ad altri due lottatori. I tornei di sumo si tengono solo a mesi alterni, dunque gennaio, marzo, maggio, etc., questi colossi hanno tempi di ripresa piuttosto elevati.

La performance dura poco più di un minuto per ognuno dei tre campioni. Lo spettacolo è impressionante: omoni giganti che si muovono lentamente con mosse da ballerina. Ad un certo punto si sbilanciano, alzano una gamba e poi giù, con il piede forte a terra, e tutti intorno: “wooohh”, “neeeee”, “oishiiii!” (non so perché quest’ultima espressione, visto che solitamente si una per indicare un cibo particolarmente buono. Ancora una volta, non facciamoci troppe domande). Mai vista una cosa del genere.

Per chi fosse interessato al sumo o a come si svolgono gli incontri sul ring, questo è un bel video con i momenti salienti di un match fra campioni: buona visione!

6 1 2018

Il kabuki è veramente qualcosa di fuori dall’ordinario. Non solo per la sua origine etimologica, ma anche per come in occidente intendiamo il teatro. Il kabuki, infatti, è una forma di teatro giapponese che pone le sue radici all’inizio del 1600 e si basa sulla rappresentazione di fatti veri accaduti storicamente, ma non necessariamente di rilevanza storica, soprattutto riferiti al periodo Edo. Avrete sicuramente già visto qualche foto o qualche pezzettino di rappresentazione in televisione, sono quelle rappresentazioni in cui gli attori vestono kimono dai colori sgargianti e hanno la faccia completamente pitturata di bianco. Il kabuki non tratta mai di argomenti esistenziali, ma ricalca fatti e usi della società cittadina giapponese. Niente monologhi, niente pensieri filosofici, nessuna riflessione politica. Solo emotività data dalla comunicazione non verbale e dalla fragilità dei personaggi. Sebbene fosse nato da un gruppo di attrici al femminile, per motivi di pudore ad un certo punto è stato stabilito che tutti gli attori dovessero essere uomini, anche per interpretare personaggi femminili.

Io e M. abbiamo assistito venerdì ad un atto di kabuki – intitolato Kichirei Kotobuk Soga allo storico Kabukiza di Tokyo. Il teatro propone uno spettacolo diurno e uno serale, composti rispettivamente da quattro e tre atti, per una durata complessiva di circa quattro ore a spettacolo. Anche se fanno parte dello stesso spettacolo, spesso gli atti non hanno nulla a che vedere l’uno con l’altro. Fortunatamente, per i meno temerari, è possibile acquistare il biglietto per vedere il singolo atto, seppure in piedi (durata 30 minuti circa). La rappresentazione a cui abbiamo assistito riguarda la leggenda dei fratelli Soga e la loro vendetta contro il guerriero Kudo Suketsune che uccise il loro padre. I due fratelli irrompono nella villa dove la moglie di Kudo, Naginoha, alloggia mentre è in visita al tempio di Hakone e si prepara a celebrare la festa per l’inizio dell’anno. Naginoha, convinta dai fratelli Soga, dà loro l’accesso al terreno di caccia di Suketsune per potersi avvicinare al marito. Fine. Non chiedetemi di più, perché non ho capito come mai l’atto sia finito senza veder rappresentata la vendetta. Mi ha consolato il fatto che anche M. non abbia capito, ma mi ha detto che il kabuki funziona così e ha anche ammesso che ha capito a malapena metà dei dialoghi perché recitano in un giapponese arcano. Sarà come l’opera da noi.

Valutazione del kabuki, per quanto poco ho potuto vedere: bellissima la coreografia, i costumi e molto affascinanti le scene e i movimenti. Interessante la musica e l’entrata in scena dalla passerella in mezzo al pubblico. Sono perplessa invece per quanto riguarda la recitazione, parlano tutti lentissimi scandendo le sillabe e modulando la voce in maniera stranissima, tant’è che pensavo si trattasse di una vicenda comica e non drammatica – ecco spiegato perché nessuno rideva. Complessivamente, un’esperienza che va fatta per migliorare la comprensione della storia giapponese e del modo di pensare di questo popolo. Ma non lo spettacolo intero, quello no, 4 ore sono davvero troppe.

Per completare la cultura delle arti visive, ieri siamo stati al cinema per la prima volta qui in Giappone. Abbiamo assistito ad una proiezione con tecnologia ScreenX in cui anche le pareti laterali diventano schermo – potrebbe ricordare il cinema 3D, ma senza gli occhialini. All’inizio pensavamo che il nostro stomaco non avrebbe retto (saranno stati forse i pop-corn al burro di Hokkaido e soia?), ma una volta abituati ad essere quasi completamente circondati da immagini in movimento ci siamo goduti lo spettacolo. Anche in questa occasione però siamo rimasti un po’ delusi: screenX a parte, la sala non era super tecnologica e avveniristica come ci saremmo aspettati da uno dei cinema più rinomati di Tokyo (Aquacity cinema a Odaiba), abbiamo trovato più modernità al CineCity di Gerusalemme quando, casualmente, siamo finiti in sala VIP. In ogni caso, uscire dal cinema quando fuori è buio e vedere il Rainbow bridge tutto illuminato e lo skyline di Tokyo sullo sfondo non ha prezzo 🙂