3 1 19

Per i giapponesi l’inizio del nuovo anno è una vera festa. La maggior parte delle attività commerciali e dei musei sono chiusi per quasi tutta la settimana e, se non fosse per le lunghe code fuori dai templi, Tokyo sembrerebbe una città fantasma. Ok, forse è un po’ esagerato, però si nota la differenza rispetto a un giorno comune, non si vede neanche il signore che porta a spasso il suo barboncino marrone 10 volte al giorno qui sotto casa.

I giapponesi non fanno il classico countdown o il cenone del 31 dicembre, né alcun tipo di festeggiamento in particolare: stanno a casa con la loro famiglia. E’ una delle poche occasioni in cui si riuniscono e passano del tempo con i parenti mangiando Osechi-ryori. L’Osechi è il tipico piatto per il capodanno ed è preparato dalle donne giapponesi in modo da poter durare per tre giorni, tempo in cui anche le donne possono finalmente riposarsi senza pensare ai fornelli. Eh già, perché qui solo le donne stanno in cucina, evidentemente. Quando al caffè linguistico ho detto che anche mio marito cucina, le signore sono rimaste tutte scioccate e hanno giustificato la mia affermazione dicendo ” Ma certo, siete italiani, e gli italiani quando si tratta di cibo..” e poi grosse risate. Mah. In ogni caso, non si può cucinare durante il Toshigami-sama, che da tradizione scintoista sarebbe il periodo di tre giorni in cui le divinità (o spiriti degli antenati) portano il nuovo anno. Ogni pietanza ha il suo significato, ad esempio le uova di aringa simboleggiano la fertilità, i fagioli di soia neri la fede, la pasta di pesce protegge contro dal male e le sardine essiccate sono auspicio di buon raccolto. Come menu non sembra invitante, ma se funziona..

L’unica attività immancabile da fare a capodanno è la prima visita al tempio. Chi buddista, chi shintoista, a volte va bene perché nello stesso tempio ci sono elementi buddisti e shintoisti mischiati assieme, la cosa importante è andarci il prima possibile. Il santuario scintoista si individua facilmente perché per entrarci bisogna passare sotto il “Torii“. Il torii è una specie di barriera che separa i Kami (detti Kamisama per rispetto religioso) dalle persone, per questo bisogna inchinarsi prima di accedervi. Una volta superato il torii, si dovrebbe camminare ai lati della strada principale, perché si dice che le divinità stiano sempre al centro. In alcuni templi ci sono anche delle piccole pietre levigate chiamate Tamajari, ossia pietre con l’anima, e se ci cammini sopra ti purifichi – un’ottima alternativa per lo spirito, un po’ meno per il corpo. Prima di avvicinarsi al santuario, bisogna lavarsi le mani (c’è chi a volte si lava anche la bocca) al Chozuya:

Si intinge la coppa di bambu una volta sola e si versa l’acqua prima nella mano sinistra, poi nella mano destra, poi nuovamente nella sinistra se ci si vuole pulire la bocca e infine si fa scorrere l’acqua sul manico per purificarlo prima che lo utilizzi la prossima persona. Infine si raggiunge la sala del culto, Haiden: si mette una moneta nell’offertorio, si suona la campana, ci si inchina due volte e si battono due volte le mani per farsi sentire dai Kami. Si congiungono le mani in preghiera e prima di esprimere il proprio desiderio si sussurra ai Kami il proprio nome e la propria data di nascita, senza scordare di menzionare la propria gratitudine. Per concludere, ci si inchina un’ultima volta prima di lasciare il torii. Nel caso del tempio, il rituale è lo stesso, ma non si battono le mani e ci si inchina solo una volta.

C’è un altra tradizione che il primo dell’anno è sentita molto di più che in tutti i 364 giorni a seguire: l’omikuji, ossia il biglietto della fortuna. L’omikuji contiene una predizione divina per chi lo estrae e ce ne sono di molto belli ma anche di molto brutti. Si paga un’offerta e si scuote una scatola metallica contenente bastoncini di bambu numerati con i numeri giapponesi, si estrae un bastoncino e si apre il cassettino con il numero corrispondente, da cui si pesca il biglietto. Qualsiasi cosa si peschi non bisogna far trasparire nessuna emozione, da bravi giapponesi. Se il biglietto è di buon auspicio lo si porta con sé per avere sempre la fortuna al proprio fianco, altrimenti va annodato al tempio così saranno i Kami a prendersi cura della vostra cattiva sorte e la sfortuna non vi seguirà.

1 1 2019

P_20181231_122940_vHDR_Auto
Finalmente un po’ di neve. Diciamo che in questi quattro giorni di viaggio con J. ne abbiamo fatto il pieno, nel caso non avessimo più occasione di vedere uno spettacolo simile. Al nostro arrivo a Takaoka, le Alpi giapponesi ci hanno accolto con una bella nevicata, che a tratti durante il giorno sembrava quasi bufera. Con il world heritage bus risaliamo la ripida strada, completamente bianca, che ci porta a Gokayama. Questa regione è molto rinomata per i villaggi di Ainokura e Suganuma, patrimonio dell’UNESCO, dove si trovano le tradizionali case con i tetti dalle mani giunte (in lingua locale gassho-zukuri). I tetti in paglia molto spioventi, ricordano le mani dei monaci buddisti in preghiera, da questo il loro soprannome. Sulle montagne è bianco ovunque e la neve continua a scendere copiosa, ce ne sarà almeno mezzo metro sui tetti delle case!

 

I villaggi hanno il loro fascino già di per sé, ma l’atmosfera magica di questa stagione è veramente unica. Purtroppo gran parte dei musei e delle botteghe artigiane erano chiusi per via del capodanno, ma per godere a pieno di questo luogo ameno è bastata la visita a cielo aperto intervallata da qualche battaglia a palle di neve, giusto per tenerci caldi. Finalmente, qui,  abbiamo visto anche i famosi cachi giapponesi che stavo cercando da qualche tempo (ricoperti di neve, come descritto nel libro Né di Eva né di Adamo di Amélie Nothomb). La notte abbiamo pernottato in un ostello, situato sul crinale della montagna in prossimità di Kaimukura, che non ha nulla a che vedere con gli ostelli a cui siamo abituati: la camerata mista ha otto postazioni con letti a castello, ma ogni letto in realtà è una cabina a sé che garantisce ad ognuno la sua privacy e tutti i comfort del futon. Ottima esperienza. La sera abbiamo mangiato in una locanda dove il proprietario, cuoco e fornitore (sì, è la stessa persona), propone un menu di selvaggina del posto. Ci lascia perplessi, ma al contempo molto incuriositi, il fatto che qui si mangi carne di orso. Tutto buono, per carità, ma mai come quello che si mangia in montagna da noi.

Al risveglio il giorno dopo ancora nevica. Poco male, all’ostello ci siamo scaldati e l’entusiasmo per tutto questo candore è ancora a livelli piuttosto elevati. Raggiungiamo Kanazawa in poco meno di due ore e cominciamo la nostra visita. Seguiamo le persone che si aggirano per la strada con dei bento giganti di polistirolo: stanno andando tutti al mercato del pesce di Omicho a fare la spesa per il nuovo anno e quel bento in realtà è un contenitore di polistirolo contenente il ghiaccio per mantenere le provviste fresche fino a casa (come se servisse). Al mercato ci sono anche un sacco di localini in cui fare gli assaggi, dicono che qui a Kanazawa il pesce e i frutti di mare siano i migliori del Giappone e ci ripromettiamo di tornare al mattino seguente per la colazione (scelta un po’ hardcore ma J. dice che così si fa, in da queste parti).

Nonostante anche qui gran parte dei punti di interesse fossero chiusi, siamo comunque riuscire a visitare gran parte delle attrattive della città: il Castello, il giardino Kenrouken, il tempio Myouryuji (detto tempio dei ninja per tutte le botole e i passaggi segreti che permettono di sparire e nascondersi in un istante), il quartiere delle geishe Nishi-Chaya (Kanazawa è la seconda città del Giappone conosciuta per le scuole di Geisha), il quartiere dei samurai con la bellissima casa Nomura (residenza di un vero samurai, in cui abbiamo anche assaggiato un vero macha nella sala da té – senza cerimonia purtroppo), e  infine qualche tempio lungo la strada. Per cena abbiamo scelto di scoprire se è proprio vero che il pesce a Kanazawa è il più buono del Giappone: siamo stati da Maruyoshi sushi, un ristorante a condizione familiare – il mastro sushi e sua moglie – con 10 posti lungo il bancone e menu che varia a seconda del pescato del giorno.

Siamo stati molto fortunati: 7 posti erano già prenotati e tre – giusti, giusti – liberi per noi. Noi due siamo stati ancora più fortunati ad avere con noi J. che parla un po’ di giapponese e ha potuto chiedere allo chef cosa stavamo mangiando. Iniziamo con sake caldo e degli assaggi di antipasto che qui chiamano oden, nel nostro caso una specie di canederlo di rice-cake con all’interno un uovo sodo, un involtino di cavolo e riso e la “solita” radice – qui la mangiano sempre e comunque, non sappiamo veramente cosa sia e non ne andiamo nemmeno matti, ma era il consiglio dello chef (in giapponese: osusume) e ormai ce ne siamo fatti una ragione. A seguire, una selezione di nigiri-zushi: tonno, salmone, yellowtail e, come assaggio, uno a testa di gambero, pesce bianco e pesce ciccione. Sia il pesce bianco che il pesce ciccione non li conosciamo perché non sono tipici né dei nostri mari né delle nostre tavole, ma abbiamo provato qualcosa di nuovo, come piace a noi. Per concludere in bellezza un granchio a testa, mai mangiato così, direttamente dal granchio! Visto che stavamo simpatici al cuoco e a sua moglie, una volta che abbiamo ripulito il carapace hanno cominciato a versarci il sake nel guscio – il primo sorso è stato un po’ strano ma alla fine non era male! Siamo tornati a casa sotto la neve, con un piccolo intervallo in un caffé per il dessert (occidentale – basta focaccine ai fagioli) per concludere al meglio la serata.

Il giorno dopo siamo ripartiti presto per Nagano, saltando l’idea del pesce fresco per la colazione visto che avevamo il caffé incluso nell’hotel a capsule (noi avevamo la capsula matrimoniale, quindi sembrava di essere in un letto a castello da una piazza e mezza, niente di futuristico) e che l’ultimo treno utile partiva dalla stazione di Kanazawa prima dell’apertura del mercato. A Nagano ci aspetta il sole: partiamo subito per la visita al parco delle scimmie Jigokudani.

Dopo il bus, risaliamo la montagna lungo il torrente che ci porta al famoso onsen dove i macachi giapponesi fanno il bagno. Sapevamo che ci sarebbe piaciuto ma non pensavamo di rimanere così affascinati da questi primati. Oltre al fatto che se ne fanno un baffo di tutte le persone intorno a loro e degli obiettivi puntati ai loro occhi, sembra veramente che i macachi si godano la bella vita prendendosi cura gli uni degli altri e riscaldandosi a vicenda quando escono dalle acque termali. Lo spettacolo più emozionante è vedere i piccoli che giocano con la neve e che sperimentano il mondo circostante, o che semplicemente restano attaccati come marsupi alle loro mamme che li proteggono gelosamente dagli altri membri del branco. Gli atteggiamenti antropomorfi e il fatto che facciano molte cose solo per divertimento ci fa capire quanto siano simili a noi. Esperienza davvero memorabile e molto più intensa di quanto potessimo immaginare.

Al ritorno verso Nagano ci siamo fermati per una breve sosta ad Obuse, un villaggio rinomato per gli artisti del legno e la produzione di castagne e prodotti derivati. Secondo la guida è una tappa imperdibile, ma con tutti i musei chiusi l’unica cosa veramente degna di nota è stata la pasticceria dove abbiamo acquistato i dolci alle castagne per i festeggiamenti di capodanno. Arrivati a Nagano abbiamo fatto la spesa per il “cenone”: visto che anche i ristoranti il 31 dicembre di sera chiudono, ci siamo fatti una cena fai-da-te da gustare nella verandina del nostro “chalet” con vista città e montagne. Il posto era davvero carino, la vista panoramica molto bella e la camera tipica da ryokan giapponese con il tatami, le pareti in carta di riso e i futon super ciccioni per stare caldi la notte. Abbiamo mangiato, riso (e anche mangiato riso), scherzato e giocato a carte fino alla mezzanotte, rimanendo svegli solo per il countdown e per il consueto brindisi, poi siamo crollati tutti e tre nel giro di qualche minuto.

La notte è stata un po’ fredda, ma noi siamo abituati alle condizioni estreme quindi abbiamo dormito alla grande fino alla mattina, mentre J. è rimasta un po’ congelata – al risveglio in camera c’erano 7 gradi (non male considerato che fuori erano -7). Dopo una colazione lenta e molto abbondante  ci siamo fatti portare al tempio Zenko-ji. Come vuole la tradizione per il primo giorno dell’anno, anche gran parte degli abitanti di Nagano erano in visita al tempio per esprimere i loro desideri e pregare chiedendo protezione per il nuovo anno. La coda era molto lunga, è stato molto bello assistere a un rituale così radicato nella tradizione.

Questo viaggio di fine anno è stato davvero entusiasmante e, nonostante siamo arrivati a casa cotti, siamo veramente soddisfatti delle esperienze che abbiamo fatto e dei posti che abbiamo visto in quattro giorni. Ma anche tornare a casa è bello e, soprattutto, a casa c’è la vasca da bagno che ci aspetta. La vasca tipica delle case giapponesi è davvero pensata per rilassarsi, altro che quelle in occidente. Sicuramente, di questa esperienza nel Sol Levante, la vasca sarà una delle cose che più ci mancherà quando torneremo a casa. 

Con le scimmie nella neve chiudiamo un 2018 di cambiamenti e avventure, e con un rigenerante bagno caldo iniziamo un anno che si prospetta altrettanto frizzante! Buon inizio 2019 a tutti voi!

 

Se volete seguire le nostre avventure, aggiungetevi all’album di google foto tramite il seguente link:

Sara e Lorenzo in Giappone

28 12 2018

IMG_6095 (1)

È arrivato il Natale anche a Tokyo, seppure senza neve. Per sentirci comunque un po’ in Italia, dopo esserci alzati tardi e aver fatto colazione, cominciamo subito a fare il ragù 😀

Ma che Natale è senza famiglia! Visto che siamo troppo lontani per tornare, invitiamo Y. e J., che al momento sono la nostra “famiglia” giapponese. Nonostante l’invito last minute, entrambi hanno accettato di buon grado e si sono uniti ai banchetti: Brindisi con sake frizzante preso alla brewery di Nara, spaghetti al ragù, filetto di manzo con patate e piselli e infine roll di pan di spagna con panna e frutta (niente panettone qui, né pandoro). I nostri ospiti erano un sacco curiosi delle nostre abitudini e dei nostri “rituali” natalizi, è stato un pranzo molto divertente. Il resto della giornata è stato di relax per me e di lavoro per Lorenzo, visto che il suo capo è arrivato inaspettatamente in laboratorio chiedendo di lui. Pazienza, la parte importante l’abbiamo vissuta appieno.

A Santo Stefano abbiamo assistito al mochi-tsuki organizzato dal laboratorio. Si tratta di un rito tradizionale giapponese per il nuovo anno, in cui viene fatta la pasta di riso con il metodo “ di una volta”. Funziona così: si butta il riso già cotto e fumante in un largo tronco di legno incavato a scodella, il riso viene pressato da due persone con dei martelli di legno di circa 8kg e poi battuto da una mentre un’altra gira la pasta, il tutto a ritmo impeccabile (e a rischio decapitazione, oserei aggiungere). L’impasto viene poi riversato in una macchina che produce delle palline di pasta di riso che vengono condite con salsa ai fagioli dolci e/o salsa al caramello salato (o forse era salsa di soia? Boh non abbiamo capito), da mangiare al momento. Oltre al rituale, la festa prevedeva zuppe, maki, ravioloni di carne e tante altre cose da mangiare, nonché da bere. Abbiamo scambiato qualche parola qua e là ma non è stato molto facile inserirsi, anche perché purtroppo nessun altro del gruppo di Lorenzo è riuscito a partecipare.

Il 27 dicembre, giornata regolare per Lorenzo al lavoro, giornata di grosse conquiste per me. Sono tornata al caffè linguistico per mettere in pratica i miei progressi, seppur piccolissimi. Stavolta il gruppo era molto affiatato e ho fatto amicizia con una signora molto carina e gentile, che mi ha regalato un dipinto fatto dalla sua mamma e una ragazza simpaticissima, M., che si è offerta di portarmi in giro per Tokyo e aiutarmi con il giapponese. Vi chiederete come mai una signora giapponese giri con i dipinti di sua mamma in borsa. Vi basti sapere che aveva anche 10 mappe della metro, che non si sa mai, una mappa del Giappone con tutti i migliori itinerari on the road, e una mappa del medio Oriente con i nomi scritti in arabo. Non ho fatto domande, a questo punto.

La sera stessa, M. mi ha proposto di fare la nostra prima uscita di studio/visita, così oggi ci siamo incontrate alla statua delle civette di Ikebukuro e siamo andate assieme nello storico quartiere di  Asakusa. Mi ha portato a pranzo in un posto poco turistico (per fortuna) ad assaggiare il  monjaiyaki (assomiglia all’okonomiyaki che abbiamo mangiato a Kyoto), piatto tipico della zona. Come già detto nei post precedenti, la piastra è un ottimo modo per cucinare e mangiare in modo conviviale avendo anche il tempo di parlare con le persone che hai di fronte.

Pranzo delizioso ma “hurry up!”, abbiamo appuntamento per fare la prova del kimono! Non pensavo sinceramente che l’avrei mai fatto, ma vista la proposta della mia ospite e il coraggio che mi ha dato Lorenzo mi sono buttata e devo dire che ne è valsa la pena, è stato molto emozionante! Purtroppo non ho potuto fare video della vestizione (non erano permessi foto e video) ma M. Mi ha fatto praticamente un set fotografico all’aperto 🙂 pensavo di andare peggio con gli zoccoli e i calzini con il pollice separato (che, tra l’altro, mi hanno lasciato come souvenir) ma alla fine non ho avuto né male né freddo. Sarà perché bisogna fare un sacco micro passi per avanzare di qualche metro, e ci si scalda in fretta! Bello ed estremamente divertente, forse un po’ strano perché non si vedono tanti occidentali indossare il kimono, ma con tutta la gente che c’era al Senso-ji (uno dei templi più importanti di Tokyo, sicuramente il più gettonato per le preghiere del primo dell’anno) era facile mimetizzarsi nonostante i colori sfavillanti.

Al tempio, abbiamo preso i biglietti della fortuna è naturalmente io ho preso quello peggiore di tutti. Ma meglio non demoralizzarsi: basta annodarlo al tempio ed essere un buddista migliore, questo dicono le istruzioni! Poco male. Per concludere in bellezza questa prima gita con guida, aperitivo con vista mozzafiato alla Tokyo sky tree, con tramonto vista Fuji-san. Sicuramente dovrò portarci il tato. Spero di ricordarmi almeno metà delle parole che mi ha insegnato M. Oggi!

Adesso torno a casa, viene J. a cena per prepararci al nostro viaggetto per l’ultimo dell’anno. partiamo domani mattina e dobbiamo ancora preparare la valigia, ma ormai siamo esperti.

Avrete nuove notizie da parte nostra nel nuovo anno ormai, quindi vi auguriamo di concludere in bellezza il 2018 e di iniziare ancora meglio il 2019!

 

Se volete seguire le nostre avventure, aggiungetevi all’album di google foto tramite il seguente link:

Sara e Lorenzo in Giappone

24 12 2018

Gli ultimi tre giorni a Kyoto sono volati in compagnia di Lorenzo. Non c’è nulla di più bello che condividere l’esperienza del viaggio con qualcuno che ami. Nonostante il tempo altalenante, siamo riusciti a vedere tutto quello che ci eravamo ripromessi, sacrificando però la visita del palazzo imperiale in favore del Castello di Nijo. Ma andiamo con ordine.

Sabato mattina, non di buonora ma meglio tardi che mai, siamo andati a visitare il Kinkaku-ji, ossia il tempio d’oro. Spettacolare perché, anche con il cielo denso di nubi, il colore dorato del pavillion spiccava luminoso anche nel riflesso sul lago. Il parco circostante è un’oasi di pace e serenità e riesce a farci passare la delusione dell’eccessivo numero di turisti, che affollano qualsiasi cosa qui a Kyoto. La meta successiva è stato il castello di Nijo, dimora degli shogun per più di 250 anni durante il periodo Edo. L’abbiamo preferito al Palazzo imperiale perché qui si possono visitare gli interni, e ne vale davvero la pena. Il castello è costituito da due palazzi situati in un parco murato circondato da un fossato all’interno di secondo parco murato circondato da fossato, rispettivamente all’interno del parco #1 e nel parco #2. All’interno dell’unico palazzo visitabile – si entra senza scarpe – si ripercorrono tutte le enormi e numerose stanze in cui avvenivano gli incontri dello shogun. Tutte le pareti sono dipinte con motivi simbolici, a seconda dello scopo di ciascuna sala e del rango delle persone con cui avvenivano gli incontri. Tigri, leopardi, alberi in fiore, e bonsai giganti sono i temi più ricorrenti, tutti rappresentati su sfondo dorato (niente foto nel nostro album, ma se googlate “interni castello Nijo” potete farvi un’idea). Dopo una giornata di cammino ci rinfranchiamo al mercato coperto (Lorenzo non c’era ancora stato) con una serie di assaggini che si devono fare. Takoyaki a parte, non abbiamo provato nulla di entusiasmante, ma almeno ci siamo tolti lo sfizio soprattutto per quanto riguarda i dango – dolci palline di farina di riso con glassa di soia dolce – che si vedono dappertutto. Dopo tutto questo cibo, per cena solo una zuppetta di udon e poi dritti in albergo.

Domenica gita fuori porta a Nara, prima capitale del Giappone e, a quanto si dice, città in cui hanno inventato il sake. Nara è a 35 km a sud di Kyoto e la raggiungiamo facilmente con il treno. Tutto quello che c’è da vedere di più importante è situato nell’omonimo parco, dove più di mille cerbiatti si aggirano liberi cercando di ingozzarsi di cracker (li vendono ad ogni angolo del parco, appositamente per loro) in cambio di qualche selfie. La cosa pazzesca è che per ricevere i cracker e per ringraziare, i cerbiatti si inchinano. È evidente che sono cerbiatti giapponesi. Nel parco ci sono numerosi templi e punti d’interesse, fra cui il Buddah gigante di Todai-ji, l’edificio in legno più grande al mondo, e la pagoda più grande del Giappone. Abbiamo scoperto che il ruolo della pagoda, più che reliquiario religioso, era quello di parafulmini, ecco perché hanno tutte quella punta altissima. Anche il santuario Kasuga ci ha colpito, con le sue innumerevoli lanterne in pietra (vedi immagine di copertina). Gran parte del patrimonio culturale di Nara è composto da edifici che sono stati nominati patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, e a ben donde. Vale sicuramente una visita. Prima di rientrare a Kyoto, facciamo tappa all’Harushika sake brewery dove ci aspetta un assaggio di 5 tipi di sake artigianali + qualche sottaceto e una specie di “spritz-sake” niente male. Molto soddisfatti e inevitabilmente più allegri torniamo verso Kyoto, pronti per una cena a base di okonomiyaki al Nishiki Warai. L’okonomiyaki e un piatto tipico della regione di Osaka ma molto diffuso anche a Kyoto, viene servito su una piastra al centro del tavolo e ognuno con la sua spatola se ne prende una parte mentre il resto rimane al caldo, ottimo per una cena conviviale!

L’ultima notte a Kyoto l’abbiamo passata in un ostello non molto lontano dalla stazione, abbiamo dovuto cambiare perché abbiamo deciso di stare un giorno in più solo in un secondo momento. L’ostello è bello e pulito, inoltre abbiamo una camera privata. L’unico lato negativo è il riscaldamento a mille che non ci fa dormire granché (abbiamo dormito con le finestre aperte, a dicembre, pur di sopravvivere :/). Prima di tornare a casa abbiamo fatto tappa per una passeggiata nel bosco di bambù di Arashiyama, località amena ma ancora una volta troppo turistica per i nostri gusti.  Peccato, perché il parco e bello e anche la passeggiata lungo il fiume. 

Ed eccoci qui dopo un viaggio in shinkansen, sulla Fukutoshin line direzione Wako, quasi arrivati a casa.

Domani è Natale!

 

Se volete seguire le nostre avventure, aggiungetevi all’album di google foto tramite il seguente link:

Sara e Lorenzo in Giappone

21 12 2018

Ci vogliono solo due ore e mezza di Shinkansen per andare da Tokyo a Kyoto. Due città importanti, entrambe che hanno ricoperto la carica di capitale dell’impero, ma al contempo così profondamente diverse. Arrivando da Tokyo, una città di robot dove tutto è super inquadrato e perfettamente funzionante, Kyoto sembra far riemergere un po’ di normalità nelle nostre vite: c’è più caos, le persone parlano fra loro a voce quasi percepibile e non è tutto proprio perfetto. Meno male.

La prima impressione è ottima: il cielo blu e la temperatura mite ci fanno apprezzare l’atmosfera e il panorama mentre raggiungiamo l’università. Lorenzo deve mettersi subito al lavoro, mentre io ne approfitto per percorrere la passeggiata del filosofo fra il tempio Higashiyama e il tempio Nanzenji. A fine giornata siamo stravolti, ci trasciniamo in hotel e poi a cena. A vederla angolo per angolo, Kyoto sembra una città piccola e a misura d’uomo, ma ci accorgiamo sin da subito che le distanze che dobbiamo percorrere per andare da un punto di interesse ad un altro sono enormi!

Il secondo giorno il self-tour prevede i giardini del palazzo imperiale (che d’inverno fanno un po’ tristezza, con i viali così larghi e gli alberi così spogli) e il mercato coperto di Nishiki. Non ricordo se avevo già parlato del mercato coperto di Ueno e del mio disappunto dopo aver provato cos’è un vero mercato in Palestina, ma in questo caso devo dire che sono rimasta piuttosto soddisfatta: colori, profumi e folclore non mancano, anche se in stile giapponese, e innumerevoli assaggi di cose mai provate prima (ad esempio dei cracker d’alga al sesamo e una specie di candito di zenzero piccante e zuccherato) e già testate ed approvate, come il mio pranzo di Takoyaki. A metà pomeriggio anche Lorenzo si è unito alle escursioni e abbiamo passeggiato alle luci dell’imbrunire per le strade di Gion e Pontocho (vedi foto di copertina), quartieri famosi per ospitare i tradizionali Ryokan in legno le scuole per diventare Geisha (ne abbiamo pure intravista una, di geisha, che correva a passi molto piccoli ma spediti sugli zoccoli di legno). Abbiamo anche visto il teatro kabuki Minamiza (anche se non ci siamo entrati, spettacolo in corso), visitato uno degli innumerevoli templi di Kyoto, tutto addobbato con lanterne illuminate per la sera, e concluso la serata con il primo sushi a nastro di questa esperienza giapponese. Apprezziamo moltissimo le diverse qualità di pesce che si possono assaggiare qui, in particolare il “Yellowtail” e qualche qualità di tonno che non è quella che troviamo solitamente sulle nostre tavole. 

Oggi, terzo giorno, abbiamo preso la metro fino al tempio di Fushimi-Inari, dedicato alla dea Inari del riso e del saké, e abbiamo risalito il percorso di torii rossi che ci ha condotto fino alla cima del monte Inari – e ritorno. 10.000 torii e 12.000 scalini percorsi, modo impegnativo per iniziare la giornata ma il meteo era super favorevole (al contrario di quello che ci si prospetta per il weekend) quindi non potevamo perdere l’occasione. Dopo l’escursione e una buona ciotola di udon fatti in casa, Lorenzo è tornato al lavoro per l’ultimo giorno al YIPT e io mi sono fermata a visitare altri templi. Che noia, direte voi, e potreste anche avere ragione. Anche se dopo un po’ possono sembrare tutti uguali, c’è sempre qualcosa che li rende unici e speciali. Il Sanjusangen-jo per esempio, raccoglie 1001 statue di Kannon dalle mille braccia (peccato che non si potesse fotografare all’interno, la scena era particolarmente impressionante).  A seguire ho visitato il parco e il tempio di Kyomizu-dera, da cui il panorama sulla città è veramente mozzafiato. Il rientro a casa, tramite viuzze di artigianato locale, case in legno e una pagoda in legno altissima, l’ho fatto ripercorrendo in parte il fiume Kamo: le case specchiate sulle sue rive mi hanno ricordato per un istante Firenze che si specchia nell’Arno, forse solo suggestione, non chiedetemi perché.

Domani inizia il weekend e finalmente possiamo continuare l’esplorazione in due, Kyoto riserba ancora tante sorprese. 

 

Se volete seguire le nostre avventure, aggiungetevi all’album di google foto tramite il seguente link:

Sara e Lorenzo in Giappone

 

18 12 2018

Toki no kane - Kawagoe

Vediamo, dove eravamo rimasti.. ah sì, il ritorno di Lorenzo dal J-parc e il weekend. La scorsa settimana è stata piuttosto intensa, quindi abbiamo optato per un fine settimana di relax. Sabato siamo stati a Kawagoe, una cittadina non molto distante da Wako anzi, a dirla tutta si raggiunge in molto meno tempo rispetto alla maggior parte dei quartieri di Tokyo. Dopo una mattinata a rallentatore, abbiamo preso la Tobu-Tojo line e siamo arrivati a destinazione nel giro di mezz’ora. Appena fuori dalla stazione di Kawagoe si estende un lungo viale di negozi e ristorantini, meta turistica e sicuramente posto ideale per noi visto che ormai era ora di pranzo. Scegliamo un locale la cui porta è un’enorme botte di legno, circondata da lanterne (che anche di giorno fanno la loro figura). Ci ispira il menu del giorno a base di sashimi così, finalmente, anch’io lo provo (oltre all’esperienza del pesce palla ovviamente, Lorenzo ha inoltre avuto qualche occasione lavorativa per fare un primo assaggio). Nonostante l’attesa – temevamo di essere stati “ghostati”, ossia considerati trasparenti e lasciati nell’oblio di essere stranieri in un paese che non ama gli stranieri – una volta arrivato il nostro vassoio carico di pietanze ci siamo proprio sentiti soddisfatti.

Kawagoe è considerata la piccola Edo poiché preserva ancora molti edifici in legno tipici dell’era Edo, anche se gran parte di questi non sono originali ma ricostruiti a seguito dei numerosi incendi. Il simbolo di Kawagoe è Toki no kane, la torre di legno (vedi immagine di copertina), con la sua campana originale che batte ancora le ore. Gli altri edifici ospitano negozi di artigianato locale e botteghe di dolciumi, che riscuotono un discreto successo. Le chips di patate dolci in particolare devono essere parecchio rinomate: passando davanti al banchetto abbiamo notato che c’era un po’ di coda, ma solo proseguendo abbiamo visto che la fila continuava dietro l’angolo della casa e giù quasi per tutta la via laterale, incredibile! Prima di rientrare abbiamo visitato il parco con i templi, bella l’atmosfera ma cominciava ad essere davvero freddo quindi una volta rientrati a casa ci siamo fatti una buona cioccolata calda in compagnia della nostra amica J, che si è fermata anche per cena e a fare qualche gioco da tavolo. 

Domenica giornata di nullafacenza completa: la mattina è volata senza neanche capire come e a pranzo ci siamo cimentati nella cucina giapponese preparandoci i maki – troppo facile quando si ha una cuoci-riso. Pomeriggio abbiamo fatto due passi per Wako e scoperto un bellissimo tempietto nascosto fra le case. Un bel momento di riflessione. 

L’inizio della settimana è stato tutto dedicato alla preparazione lavorativa e logistica per il viaggio a Kyoto. Solo stasera ci siamo rilassati un po’ uscendo a cena con J. e Y., che ci hanno portato a mangiare il famoso Shabu shabu: una grande padella con due tipi di brodo diversi in mezzo al tavolo, una serie di ingredienti scelti da noi fra carne verdure e altri prodotti locali e due salse in cui intingere gli ingredienti dopo averli cotti nel brodo, una di sesamo e l’altra di soia al limone. Il tutto, rigorosamente, da fare con le bacchette. Nonostante le difficoltà iniziali, soprattutto mie, è stato divertentissimo e molto gustoso, una serata da ricordare!

Le valigie sono pronte e la sveglia per domani è impostata ad un orario mai visto prima da quando siamo in Giappone. Ora a letto, con in mente il profilo del Fuji-san alla luce del tramonto. E’ lontano, ma è un’emozione sapere di poterlo vedere da qui.

 

Se volete seguire le nostre avventure, aggiungetevi all’album di google foto tramite il seguente link:

Sara e Lorenzo in Giappone

14 12 2018

Finalmente ho capito che è importante informarsi sul formato della data utilizzato nel paese in cui si vive. Ieri ho aperto il frigo e mi sono veramente meravigliata che tutte le cose che avevamo comperato avevano scadenza il 18 12. Niente male visto che il 19 partiamo per qualche giorno, così non lasciamo niente che andrà a male. Ah, no, aspetta: 18 è l’anno, qui la data la scrivono alla rovescia, anno-mese-giorno. E tutto scade ieri, o oggi, o domani. Per fortuna stasera torna Lorenzo, così mi darà man forte nel finire le provviste 😀

Questa settimana è stata un po’ vuota senza di lui, ma ho avuto comunque modo di dilettarmi in nuove esperienze, come quella del caffé letterario. L’English only café, nonostante il nome, organizza ogni giorno degli scambi linguistici per permettere ai giapponesi di praticare l’inglese e agli stranieri di avvicinarsi un pochino alla lingua giapponese. I giapponesi hanno un cartoncino con il nome scritto in blu, gli stranieri in rosa, così si riesce facilmente a dividersi in gruppi misti. Si sceglie una bevanda dal menu – tutto al prezzo forfettario di 400¥ – e si comincia, la prima mezz’ora conversazione in inglese, la seconda in giapponese, e così via fino alla chiusura. L’esperienza è stata molto bella ma il mio giapponese è terribilmente scarso per il momento, nonostante i miei sforzi per provare a dire qualche frase (tra cui “parlo poco il giapponese”) nessuno ha capito niente. E’ solo l’inizio. In compenso, ho capito l’argomento della conversazione in giapponese e anche in linea di massima qualche considerazione, quindi mi ritengo soddisfatta. Nelle mezz’ore in inglese invece mi sono fatta raccontare di molti aspetti della vita in Giappone e in particolare a Tokyo, magari li condividerò in qualche articolo futuro.

Oggi per la prima volta ho visto il cielo di Tokyo completamente limpido. L’aria è frizzantina ma direi che più che freddo è decisamente umido. Sono andata a visitare Ueno, e devo dire che attualmente è la zona della capitale che preferisco. Alla larga dalle folle di turisti (per lo meno in questa stagione), finalmente c’è il Giappone che uno si aspetta: case piccole e a volte in legno, biciclette per le strade, vecchiette che vendono il cibo per strada. A Ueno ci sono molte aree verdi,  molti templi e il mercato di Ameyokocho, oltre che numerosi musei. L’area più interessante dal mio punto di vista è Yanaka, sembra tutto così vero lì. Passeggiando Yanaka ginza, non sapevo più da che parte voltarmi, troppe cose interessanti da vedere e scorci in cui curiosare! 

Anche se un po’ fuori dall’itinerario standard, una visita al Nezu-jinja vale assolutamente la pena, soprattutto per l’emozione di passare sotto i torii rosso vermiglio. Sono moltissimi e a volte ci si deve persino abbassare per non sbattere la testa! 

Anche l’esperienza gastronomica di oggi è stata eccezionale, nella sua semplicità: due rotoli di maki al tonno, con gusti diversi, comperati ad una bancarella da una signora che preparava i bento freschi. Mai assaggiati di così buoni.

E ora a casa, in attesa del rientro del mio maritino e pronta all’arrivo del weekend.

 

Se volete seguire le nostre avventure, aggiungetevi all’album di google foto tramite il seguente link:

Sara e Lorenzo in Giappone

 

11 12 2018

Hakokoju bambou forest - Kamakura

E’ già martedì. Lorenzo oggi è partito per il J-Parc (no, non il Jurassic Park, anche se forse sarebbe stato più divertente :D) e io sono rimasta in città: ho trovato un caffé linguistico in cui organizzano ogni giorno tre ore di scambio inglese – giapponese,  non posso perdere l’occasione di cominciare il prima possibile!

Ieri sera J., la ragazza coreana, ci ha invitato a cena preparandoci il “famoso” tteokbokki, un piatto tipico composto principalmente da gnocchi di riso saltati in salsa piccante, una prelibatezza! Questo scambio culinario ci piace e continuerà a lungo.

Ne approfitto oggi, che c’è un po’ di calma e fuori comincia ad essere freddo per passare tutta la giornata all’aria aperta, per raccontarvi della gita fuori porta che abbiamo fatto sabato. In compagnia di J. e di C. (un ragazzo cinese), siamo stati a Kamakura a visitare la cittadina che nel medioevo rivestiva il ruolo di centro politico e strategico del Giappone. Anche se per gli standard giapponesi potrebbe sembrare a malapena un villaggio, Kamakura riserva moltissimi luoghi di interesse, in particolare i suoi templi Zen. Essendo sabato, passeggiando lungo la via Komachi-dori abbiamo incontrato numerose ragazze giapponesi in kimono, anche loro in visita alla città, e anche qualche mamma con bambino rigorosamente vestiti alla maniera tradizionale, che colori!

Arrivati al tempio Tsurugaoka Hachimangu, abbiamo avuto anche la fortuna di assistere ad un matrimonio e di vedere ben altre due coppie di sposi nel parco circostante. L’abbigliamento degli sposi ha uno stile completamente diverso dal nostro, ma decisamente elegante in questo contesto. Ci sono templi e shrine in ogni dove e non ho intenzione di descriverveli tutti, ma uno assolutamente degno di nota è il tempio Hokoku-ji. Il tempio di per sé è bello come gli altri, ma il suo giardino di bambu è superlativo! Una passerella di legno ci fa passeggiare fra questi tronchi lisci e verdi, così diversi dalle foreste a cui siamo abituati. Nonostante i turisti, c’era un gran silenzio e una piacevole atmosfera di pace che ci ha fatto davvero apprezzare questo angolo di paradiso.

La seconda tappa del nostro sabato è stata al buddha gigante di Kamakura, nella località di Hase. La statua di bronzo è veramente imponente, più di 13 metri di altezza, e sovrasta le folle di persone in meditazione e di turisti curiosi. Poco più in là il tempio di Hasedera, meraviglioso architettonicamente per i suoi dettagli nero e oro e per il giardino circostante, con panorama vista mare, un giardinetto zen con i cerchi nella sabbia, la ruota della preghiera, e un tunnel scavato nella roccia che porta a piccole grotte in cui sono stati scolpite una serie di figure della filosofia buddhista. L’abbiamo visto con il calar del sole e l’accendersi delle luci policrome che qui amano tanto e a noi fanno un effetto strano. Con il buio non valeva la pena proseguire a visitare l’isola di Enoshima (C. invece ci ha salutati qui perché voleva andare comunque. Ci ha detto “I travel a lot, so I will be ok”, ma poi non l’abbiamo più visto.. ok), non molto distante, quindi siamo rientrati in big Tokyo per farci una serata in un izakaya proseguendo a zonzo per la sfolgorante Shinjuku. 

La domenica invece ce la siamo presa comoda: sveglia tardi e metro in direzione Akihabara:  un sogno per chiunque sia appassionato di giochi, videogiochi, tecnologia e maid café, dicono. In realtà siamo rimasti un po’ delusi, soprattutto per l’aspetto “tecnologico”. Probabilmente ci aspettavamo ancora una volta di trovare quel Giappone avvenieristico che supera la barriera della realtà, mentre ci siamo ritrovati in una enorme fiera dell’elettronica senza veri appassionati di elettronica. Vabbé, noi ci proveremo ancora ma sembra che l’immagine che avevamo di questo paese da questo punto di vista fosse distorta. Prima di rientrare a casa, abbiamo fatto un salto a Harajuku, un quartiere famoso per vedere teenagers vestiti in maniera bizzara che fanno shopping comperando calzini con le orecchie da gatto (ok, va bene, me li sono presi pure io) e qualsiasi genere di abbigliamento improponibile e di cibo “estremo” (ad esempio, crepes ripiene di cioccolato frutta gelato e panna montata, da mangiare come un panino). Anche qui ci aspettavamo di più.

E’ proprio vero che quando si parte per un posto nuovo è meglio lasciare a casa tutti i preconcetti e le aspettative, per lasciare che ogni cosa sia ad ogni sguardo un’esperienza nuova.   

Se volete seguire le nostre avventure, aggiungetevi all’album di google foto tramite il seguente link:

Sara e Lorenzo in Giappone

9 12 2018

Prima settimana di lavoro a Riken. Ufficio nuovo, persone nuove, integrale vecchio.

E’ passata una settimana da quando siamo arrivati a Riken ed è ora di fare il punto della situazione. La prima settimana è passata veloce, ma purtroppo, personalmente, non ho avuto molto modo di fare il turista.
So che la Tata è andata di qui e di lì, ha visto templi e parchi, e vi ha tenuti informati sulla situazione fra i Nipponi.
Quindi vi ritengo informati sulle ultime tre pagine del diario!

Ne approfitterò per parlarvi un po’ della mia settimana dal punto di vista lavorativo.
Dopo il primo weekend in cui siamo arrivati e ci siamo sistemati, il jet lag ha cominciato a mietere vittime fra le mie ore di produttività. Rimanere sveglio durante la conferenza a cui ho assistito martedì pomeriggio (dopo pranzo per di più) è stato molto complicato.
A parte questo piccolo dettaglio l’inizio settimana è andato molto bene e lunedì sera abbiamo avuto anche l’occasione di fare una bella festa in laboratorio la sera.
La nostra ospite, la professoressa E. H. (solo E. per gli amici) è stata molto carina ma purtroppo il gran numero di ospiti presenti non ci ha permesso di discutere di fisica quanto avrei voluto.
Per fortuna avevo molto lavoro arretrato e ho approfittato della settimana tranquilla per cercare di finire dei calcoli che mi servivano per un articolo cominciato a Gerusalemme.

Settimana prossima sarò a Tokai, un paesino in cui non c’è proprio nulla, a seguire una conferenza che si prospetta molto interessante.
Tata, purtroppo (più per me che per lei, dato che Tokai è proprio fuori mano), non mi seguirà.
Si dovrà impegnare per imparare più Japponese possibile in questi due mesi e la settimana prossima sarà l’opportunità per provare qualche scambio linguistico.

Oltre all’aspetto lavorativo, quello umano sta andando relativamente bene. Di solito è molto difficile entrare in contatto e confidenza con persone in un posto nuovo, ed il Giappone rende queste difficoltà ad un livello ancora più avanzato. 
Nonostante ciò siamo riusciti ad interagire molto bene con già due terzi del gruppo di cui faccio parte qui (tre persone in tutto) e con uno dei due ospiti a medio termine.

Il gruppo conta una dottoranda coreana (J.), un postdoc Japponese (Y.) e un postdoc Turco (U.) che assomiglia molto a un nostro caro amico (F. D.).

Il Turco lo abbiamo visto solo alla festa, abita molto lontano da qui (1h 30m) e lavora quasi sempre da casa. Però abbiamo già stabilito una certa connessione, forse per la vicinanza geografica dei paesi natii o forse perche sembra capire il mio umorismo.

Col Japponese siamo usciti a fare una serata socievole. Ci ha portati in un ristorante poco lontano da qui, nel centro di Wako (Letto Vuacò, senza mettere l’accento sulla “i”).
La serata è stata bellissima e noi ci siamo sentiti un po’ più liberi dalle costrizioni sociali Japponesi dato che Y. ha studiato per un periodo in Italia ed eravamo sicuri che non si sarebbe offeso anche se avessimo fatto un po’ di cose strane per le persone  locali.
La cena è stata fantastica, Saké (che è il drink, da non confondersi con Shake che è il salmone), pinne di razza fritte, tempura, riso con maialino in salsa di soia (in inglese Pork, ma qui la “rk” è muta e devi dire “Po” sennò la gente non ti capisce) ed infine sashimi di pesce palla (!!).
Tutto buonissimo! E siamo ancora vivi! 

Un’importante nota è che durante questa settimana siamo riusciti a fare bere alla Tata un certo quantitativo di Saké ed altri cordiali (mai vista una cosa simile!); ma sta bene e non sembra averne risentito!
Mi ha già detto, in più di un occasione, di amare molto il Saké alla prugna… Prendo nota.

Con la dottoranda Korena (J.) abbiamo stabilito un ottimo rapporto anche perché, come dicevo, il Jappone non è molto amichevole con chi viene dall’estero e per un dottorato può essere un esperienza frustrante (anche per chi abita a casa ed è coccolato da familiari ed amici) e volevamo provare ad esserle più di conforto possibile.
Abbiamo, quindi, deciso di organizzare uno scambio culturale: noi le insegnamo le basi della cucina Italiana e lei ci insegna quelle della cucina Koreana!
La lezione di oggi era sulla Amatriciana… Quasi Amatriciana… Non sappiamo leggere il Japponese quindi abbiamo cercato la cosa più simile al guanciale o almeno alla pancetta… Beh qualunque cosa noi abbiamo comperato NON era pancetta. Ma la pasta è venuta molto buona comunque! Yeee!  (ci mancava un po’ la pasta. Viva la pasta! ).

In Laboratorio ci sono anche due ospiti che vengono dalla Cina, sembrano ragazzi svegli, ma siamo riusciti a convincerne solo uno a venire in gita con noi questo weekend.
Loro lavorano in Cina dove fanno il dottorato, ma vengono spesso qui dato che il loro è un progetto di doppia laurea.

Si diceva che il Giappone è un po’ diffidente con gli stranieri, infatti il nostro desiderio di passare una serata con una famiglia Japponese vera sembrava destinato ad non avverarsi mai.
Ma come tutti sappiamo la carta “essere italiani” ti aiuta a conoscere persone e vincere la diffidenza iniziale… perche lo sappiamo tutti: “ah! Italiani! Pasta, piazza, mandolino! sono stato anche io a Napoli 30 anni fa! (???) Siamo quasi fratelli! Vieni a cena da noi che ti raccontiamo dei bei tempi andati!” .
Quindi in treno abbiamo rimediato un invito a pranzo/cena da una signora Japponese molto simpatica che parlava addirittura inglese!
Mentiremmo se dicessimo che non ci ha fatto piacere, e stiamo aspettando con trepidanza il giorno in cui metteremo piede in una vera casa Nipponica!!! 🙂

Domani si torna al lavoro, con la speranza di poter parlare con la professoressa E. H. e con molto lavoro arretrato ancora da fare.
Un’ ultima menzione va alla mensa in cui una scodella di Udon o ramen si paga 1.50€, molto poco per un pasto caldo e che io apprezzo sempre moltissimo!! Alla Tata la mensa non piace moltissimo, ma io apprezzo molto un pasto leggero, salutare, caldo e non troppo costoso per le giornate lavorative. 

Sapete che potete commentare i post? Basta inserire il vostro commento nel form sotto 🙂

Se volete seguire le nostre avventure, aggiungetevi all’album di google foto tramite il seguente link:

Sara e Lorenzo in Giappone

6 12 2018

Shinjuku Goyen

Habemus router. Finalmente, al terzo ufficio postale sono riuscita a ritirare il pacco che stavamo aspettando, contente il nostro indispensabile pocket wifi. Nonostante il disagio di dover annullare la prima notte a Narita per aver perso la coincidenza a Parigi (ci eravamo fatti recapitare inizialmente il pacchetto all’hotel, quindi abbiamo dovuto chiedere di spedircelo all’ufficio postale più vicino a RIKEN – che in realtà non è uno ma sono tre, ma questo l’abbiamo scoperto solo dopo), questo contrattempo è stato molto istruttivo perché ci ha permesso di confrontarci sin da subito con un’esperienza del quotidiano come quella dello sportello postale. Nessuno parla inglese, ma tutti sanno cosa devono fare. Basta portare la cartolina di spedizione e un documento e loro sanno. Nel primo però mi mandano in un secondo ufficio, va bene, ci sta, non sapevo ce ne fossero altri. Mi becco dalla sportellista la prima X del viaggio (quella cosa che fanno i giapponesi con le braccia quando “per loro è no”). Nel secondo ufficio porto cartolina e documento, ma ancora una volta non è l’ufficio giusto, perché ne esiste un terzo. Non mi scoraggio e chiedo indicazioni visto che almeno so come si dice “sinistra”. Grazie alla signorina molto cortese che mi da le indicazioni in maniera chiara ed efficiente (dicendo che devo andare sempre a sinistra, fiu!) riesco a raggiungere il terzo ufficio: cartolina e documento e.. pacco ricevuto! Dopo questa mini-avventura postale si riparte alla scoperta della città, direzione Shinjuku.

Una passeggiata nell’affascinante Shinjuku Goyen è tutto quello che ci vuole per riprendersi dalla frustrazione di averlo raggiunto in metro, uscendo dalla stazione di Shinjuko. Sì, perché questa stazione sovraffollata ha più di 200 uscite. Potrebbero tranquillamente tenerci gare di orienteering, o magari già lo fanno. 

Quest’area verde ha tutto quello che si potrebbe desiderare da un parco giapponese: una casa del thé, viali alberati in pieno foliage (chissà se è altrettanto suggestivo in primavera), un giardinetto giapponese con carpe e Pavillion e un giardino botanico. Anche le vecchiette giapponesi che ti chiamano e ti offrono le caramelle (come rifiutare? In primis, era già una gran vittoria che qualche giapponese volesse parlare con me spontaneamente, inoltre le caramelle in questione erano le orzotte a forma di cuore.. ne ho vinte ben 7).

Basta uscire di qualche metro ed ecco che si abbandona l’armonia zen per tornare alla Tokyo frenetica e pacchiana: vale la pena fare una visita a Hanazono-jo e successivamente aggirarsi per Kabikucho, dove c’è il bizzarrissimo robot restaurant, e sempre più a nord fino a Korean town.  Quest’ultimo dev’essere un posto all’ultimo grido per le studentesse giapponesi, visto che per le strade si vedono solo ragazzine con la gonna a scacchi e i calzettoni, che vagano da una bancarella all’altra all’urlo “kawaiiiiiii!!!!!!!”. 

Lungo tutto il percorso, ci sono insegne luminose, cartelloni pubblicitari, neon intermittenti e lanterne giapponesi a non finire. Tokyo è immensa.

 

Se vuoi seguire le nostre avventure, aggiungiti all’album di google foto tramite il seguente link:

Sara e Lorenzo in Giappone

 

Per chi non lo sapesse, il “per me è no” giapponese è questo: