Giordania

Giorno 1 – da Gerusalemme a Wadi Musa

Partiamo per una nuova avventura, una delle ultime che stiamo per vivere in questo periodo in Israele. Come al solito viaggiamo fai-da-te, con la giusta preparazione ma con noi come guide di noi stessi. Partiamo dalla stazione dei bus di Gerusalemme il venerdì all’alba con l’autobus 444 in direzione Eilat. Il viaggio lo abbiamo già fatto molte vole, per lo meno fino a Ein Bokek all’estremità meridionale del mar Morto, mentre la strada fino al mar Rosso solo una volta, ormai quasi due anni fa. Percorrere questa strada in bus ha il vantaggio che entrambi possiamo goderci il panorama desertico anziché alternarci alla guida, un lusso per chi solitamente  viaggia in coppia.
Scendiamo alla fermata
Yitzhak Rabin Crossing e ci avviamo a piedi verso il confine, l’unico assieme a quello all’estremo nord che permette di richiedere e ottenere al momento il visto per entrare in Giordania. Sbrighiamo facilmente e velocemente le procedure burocratiche e in un lampo ci ritroviamo a dover scegliere che fare per raggiungere Petra. L’opzione più conveniente in termini di praticità e di tempo è quella del taxi, quindi optiamo per questa soluzione. Ci sarebbe anche la possibilità di prendere il taxi fino ad Aqaba e da lì prendere il Servìs = taxi collettivo per una manciata di spiccioli, ma avendo solo tre giorni a disposizione vogliamo sfruttare al massimo ogni istante, e il viaggio da Aquaba a Petra dura più di due ore. Inoltre, partiamo già con l’idea che non sarà un viaggio economico quindi saliamo in taxi e via.

 

Dopo un bel viaggetto fiancheggiando il Wadi Rum e poi fra le montagne desertiche raggiungiamo Wadi Musa, il villaggio alle cui pendici si trova il sito archeologico di Petra. Per chi volesse visitare Petra, sappiate che ci sono ben 20km di sentieri per visitare tutto, quindi munitevi di scarpe buone, cappellino e tanta acqua. Noi non abbiamo tempo da perdere e ci fiondiamo subito a fare il biglietto e decidiamo di dedicare la prima giornata (che in realtà e un pomeriggio, visto che abbiamo effettuato l’ingresso solo alle tre e mezza) al Monastero Al Deir. Il monastero infatti è il punto di interesse più distante di tutta l’area di Petra, quasi 8 km – di cui 800 gradini – e ci si mette se si è bravi un’ora e tre quarti, senza fermarsi per tappe intermedie. La temperatura di settembre non aiuta e arriviamo in cima affaticati e sforzandoci di non guardare troppo intorno per non cadere in tentazione di fare deviazioni dell’ultimo minuto. Tutto il percorso invoglia a fermarsi, cambiare strada, osservare più da vicino, ma quello è il programma di domani. E soprattutto, rifiutiamo qualsiasi passaggio in cammello, cavallo, asino, pecora o chicchessia. Vero, le persone locali vivono anche di questo ma – punto primo – è difficile dire se tutti questi animali vengano trattati bene per fare questo duro lavoro e noi non vogliamo contribuire ad eventuali maltrattamenti – punto secondo – siamo gente di montagna e seppure ci siano 40°C la salita va affrontata come a casa. Tutto lo sforzo viene ripagato raggiungendo la meta: un prodigio dell’umanità questo monastero scavato nella roccia ocra che contrasta fortemente il blu intenso del cielo della Giordania (vedi immagine di copertina).

Visto che ci piace continuare a godere di una giornata partita col piede giusto, dopo la visita e una bella doccia andiamo a mangiare la cena in un locale tipico che ci ha consigliato il tassista (lui dice che va sempre lì quando è in città) e possiamo ritenerci davvero soddisfatti della scelta, infatti abbiamo mangiato benissimo. I piatti tipici che abbiamo provato non li conoscevamo fino a quel momento e sono stati una gradevole sorpresa: un Kofta – carne tritata coperta di patate e salsa al sesamo – e straccetti di agnello arrosto con peperoni speziati e altre verdure indefinite. Per chiudere, un tipico té alla menta, la ciliegina sulla torta. 

Giorno 2 – ancora Petra poi da Wadi Musa ad Amman

Nonostante il caldo e i chilometri da percorrere, Petra è molto gettonata e ogni giorno si incontrano orde di turisti sia in gruppi organizzati che viaggiatori singoli, in generale comunque un mucchio di gente. Per goderci questa meraviglia del mondo senza doverci divincolare fra anziani in pellegrinaggio e cinesi con due macchine fotografiche a testa, decidiamo di alzarci a un’ora improponibile ed entrare a Petra all’alba. Ora di apertura 6.30, e noi siamo pronti. La temperatura è ottima e anche la luce offre un bello spettacolo in questa ora così insolita per noi. Ripercorriamo con calma e nel silenzio del primo mattino la strada del Suq e il canyon rosso che ci conduce fino al cosiddetto Tesoro, una facciata scolpita nella roccia che si intravede già dal sentiero e poi si staglia imponente una volta raggiunta la “piazza”. Continuando si raggiungono anche il Teatro e le impressionanti Tombe dei Re. E poi la strada colonnata, la porta di Traiano, la Chiesa con i suoi mosaici e chi più ne ha più ne metta. E’ inutile fare un elenco a vuoto, l’unico modo per vivere questa emozione è godersi lo spettacolo dal vivo.

Alle 10.30 comincia a fare troppo caldo e siamo in giro già da quattro ore. Abbiamo visto tutto, a parte i sentieri al di fuori del sito ma ci riteniamo soddisfatti e corriamo a prendere un taxi collettivo per Amman, visto che solitamente smettono di partire da mezzogiorno in poi (non essendoci orari, è tutto a discrezione del guidatore, che comunque non parte se non è a pieno carico). Siamo fortunatissimi: quando arriviamo ai Servìs ce n’è uno pronto per partire e in fretta e furia ci accaparriamo un posto. Il viaggio è lungo quasi quattro ore, e il panorama desertico ad un certo punto fa venire voglia di sonnecchiare.. quindi sono state quattro ore velocissime. Amman è una città di 4 milioni di persone, è davvero enorme e costruita su sette colli. Al contrario di Roma però, questi colli sono quasi più montagne e quindi, considerata la fatica già fatta al mattino e la temperatura piuttosto elevata, siamo tentati di prendere un taxi per raggiungere il nostro hotel. In Giordania quasi tutti usano il taxi, che non è poi così costoso per gli spostamenti in città ed è sicuramente il mezzo più efficiente. Il nostro hotel ci offre ristoro, riposo e una magnifica vista sul teatro romano, romantico alle luci del tramonto e affascinante illuminato alla sera. Raccogliamo un po’ di energie per visitare il centro città, in particolare il Souq  e la Rainbow Road, principali attrazioni e centro della vita moderna. Ci piace come tutto sia pulito e ordinato per essere Medio Oriente (non è quello a cui siamo abituati viaggiando in Palestina) e con che gusto e attenzione siano decorati alcuni scorci. Avremmo voluto visitare anche la nuova moschea di re Abdullah I e vedere da vicino la sua affascinante cupola blu, ma è davvero un’impresa raggiungerla a piedi e desistiamo cedendo invece ad un buon té alla menta prima di andare a dormire.

Giorno 3 – da Amman a Gerusalemme

Tre giorni sono proprio pochi, ma cerchiamo di sfruttarli al meglio. Dopo una ricca colazione tipica in hotel partiamo per vistare la Cittadella di Amman, il più importante sito archeologico e punto di interesse della città. Di resti romani ne abbiamo visti davvero tanti nella vita, ma anche se questo è l’ennesimo dobbiamo dire che vale una visita. E’ molto interessante soprattutto per capire l’evoluzione della città nel susseguirsi delle epoche, e anche che cosa ci facessero i romani da queste parti. Da quassù inoltre si ha una panoramica spettacolare su Amman a 360°, che da sola vale la salita, e si vede molto bene la bandiera giordana del Raghadan palace che sventola enorme nella parte nord della città e che, dicono, sia visibile da ben tre paesi – Israele, Arabia Saudita ed Egitto. 

La visita ci porta via in tutto un paio d’ore poi, soddisfatti, prendiamo un taxi per l’Allenby bridge, dove attraverseremo nuovamente il confine con Israele per tornare a casa. Fortunatamente, il tassista ha scelto la strada che passa sotto la grande moschea, così almeno in corsa abbiamo potuto ammirare l’imponente cupola blu (non quella nella foto qui sopra, quella è la moschea della cittadella, quella a cui mi riferisco è molto più blu!). La vista monocromatica della colline costruite di Amman ci affascina e ci lascia con un bellissimo ricordo di questo paese.
In meno di un’ora siamo al confine. Anche in questo caso ci mettiamo poco a fare tutti i passaggi, nonostante a questo border sia obbligatorio per chi non ha un mezzo proprio usare il pullman “di linea” – un altro modo per raccogliere qualcosa dai turisti, insomma – e quindi aspettare che si riempia per farlo partire. In un attimo attraversiamo il ponte e siamo in Palestina. Come ci aspettavamo c’è uno Sherut = taxi collettivo versione israeliana pronto a partire per Gerusalemme Est, paghiamo l’autista e ci infiliamo a prendere posto.
Anche questa strada ormai la conosciamo bene. Casetta, stiamo arrivando!

Più foto di Petra ed Amman si possono trovare qui.

Bulgaria

10 giorni alla scoperta di uno dei paesi più affascinanti d’Europa

Itinerario – Agosto 2012

Giorno 1 – da Belluno al monastero di Ravanica

Ormai conosciamo la strada verso Est, ma ancora dobbiamo scoprire molto di una parte d’Europa che fino a qualche anno prima conoscevamo solo sulla mappa. Quest’estate andiamo alla scoperta della Bulgaria, ancora una volta senza alcuna aspettativa ma con grande interesse ed entusiasmo per quello che scopriremo. Il viaggio è lungo e il primo giorno lo trascorriamo al volante attraversando Slovenia, Croazia e gran parte della Serbia, pernottando in un paesino vicino al monastero di Ravanica, che immancabilmente abbiamo visitato. Ci siamo aggregati ad una comitiva di Bergamaschi, unici turisti nella zona a parte noi – sono rimasti un po’ interdetti quando ci siamo avvicinati e li abbiamo salutati in italiano, ma un “ciao” fa subito casa.

Giorno 2 – dal monastero di Ravanica a Sofia

La parte dura del viaggio è passata e adesso non facciamo altro che goderci il panorama del tutto nuovo che ci si presenta davanti mentre raggiungiamo la capitale bulgara. Dalle gole fra le montagne della Serbia alle colline brulle da cui si intravede la periferia della città in poco meno di tre ore: arriviamo a Sofia in tarda mattinata e troviamo subito un hotel molto confortevole in pieno centro. Come da nostra ricerca, in Bulgaria i prezzi sono abbordabili anche per studenti come noi (N.B. probabilmente perché al tempo non c’era ancora l’Euro, ma i Lev): si prospetta una vacanza memorabile.  
Sofia è una città dinamica e al contempo tranquilla, piuttosto facile da girare. La prima visita è alla
cattedrale di San Alexander Nevski, riconoscibile per le sue cupole dorate e di rame ossidato, proseguendo poi per la chiesa russa di san Nikola. Lì incontriamo una ragazza Francese, M., in Bulgaria per uno stage di architettura che sarebbe cominciato di lì a pochi giorni, e decidiamo di proseguire la nostra avventura alla scoperta della capitale insieme. Passiamo per la moschea Banya-Bashi e per il palazzo dei bagni termali, e poi ancora a zonzo per parchi e vie della città alla ricerca di monumenti e punti di interesse. Ci fermiamo solo a tarda sera, esausti, per mangiare qualcosa assieme e salutarci prima di ripartire ognuno per il proprio itinerario.  

 

 

Giorno 3 – da Sofia a Devin

Il monastero di Rila (vedi immagine di copertina) è una tappa obbligata per chi visita Sofia e ha la possibilità di fare una gita fuori porta. Passiamo fra campi di girasoli e campi di frumento, e cominciamo a salire verso le colline verdeggianti lungo le file di arnie fino ad arrivare al monastero. 
Rimaniamo a bocca aperta: un complesso enorme e completamente decorato che ospita fino a 300 monaci in una comunità auto-sussistente in cui vengono allevati animali, coltivate piante, prodotti latte miele e derivati, il tutto il perfetta armonia. 

Le celle dei monaci sono disposte su tre piani lungo il muro di cinta e il monastero è nella parte centrale. Oltre ai motivi bianchi rossi e neri della facciata principale, sotto le arcate il monastero è completamente affrescato con immagini di santi e contiene numerose icone e una impressionante iconostasi intagliata nel legno.  

Proseguiamo la nostra giornata a Melnik, villaggio famoso per la produzione di vino – si dice infatti che ogni seminterrato di ogni casa ospita una cantina vinicola -, per le zucche decorative e per le piramidi di sabbia caratteristiche dell’ambiente circostante. Nei pressi di Melnik visitiamo il monastero di Rozhen, uno dei luoghi più pacifici e catartici in cui abbiamo mai messo piede.

Per dormire decidiamo di spostarci a sud, verso il confine con la Grecia, fra le montagne sacre agli dei. Quando arriviamo a Devin, scopriamo che c’è una manifestazione storica in corso e che tutti gli alloggi della zona sono al completo. Per di più il paese è l’ultimo della strada, per cui dobbiamo tornare necessariamente indietro, ed è quasi il tramonto. Per fortuna non ci facciamo scoraggiare, e ci fermiamo in un baracchino a chiedere informazioni con gesti e disegni su carta e riusciamo a farci capire. Il proprietario ci da indicazioni per un villaggio inerpicato fra le montagne in cui incontreremo suo cugino, che ha sempre una stanza vuota a casa. R., il cugino, e sua moglie M., ci danno il benvenuto e ci accolgono nella loro casa, offrendoci una cena di tutto rispetto. Abbiamo passato la sera a “chiacchierare” e a condividere informazioni sul nostro viaggio e sulla loro vita in questo paese dimenticato da Dio, Un fuori programma davvero ben riuscito. 

Giorno 4 – da Devin a Nova Zagora

Dopo aver salutato R. e M., siamo tornati a Devin, intenzionati a visitare la famosa grotta di Orfeo ed Euridice. Per assicurarci il posto nel tour guidato arriviamo all’alba a prendere i biglietti, e approfittiamo del tempo di attesa per provare l’ebbrezza di una discesa nel canyon del diavolo con fune e carrucola – giusto per prendere una boccata d’aria e svegliarci un po’.
Il tour è molto interessante grazie alla guida, che ci racconta del legame fra la mitologia greca e questo posto affascinante e di come gli abitanti della zona si siano sempre rapportati alla caverna. Per uscire, scaliamo un tratto di roccia a fianco di una cascata sotterranea molto imponente, che brivido!

Ci rimettiamo al volante in direzione Plovdiv, antica capitale della Tracia costruita su sette colli (vi dice niente?). Oltre a essere la seconda città della Bulgaria, Plovdiv è anche uno dei centri di maggior interesse storico ed artistico della nazione, dal momento che preserva integralmente tutti gli edifici del rinascimento bulgaro e innumerevoli reperti di epoca romana, fra cui anche un teatro.
Perdiamo tutto il pomeriggio a perderci nei vicoli e nei parchi affascinanti di questa città, anche se ne usciamo decisamente esausti per via della canicola di agosto.

Per avvantaggiarci sul giorno successivo, avanziamo ancora un po’ verso Est percorrendo l’ultimo tratto della valle delle rose (purtroppo in questa stagione non si vede nemmeno un fiore) e ci fermiamo a dormire a Nova Zagora.

 

Giorni 5 e 6 – Sozopol

Essendo estate, c’è tanta voglia di mare. Nova Zagora è a un passo dal Mar Nero e nel giro di poco raggiungiamo la splendida località di Sozopol e piantiamo la tenda. L’acqua è cristallina e l’atmosfera è così rilassante che decidiamo senza indugio di fermarci per due giorni e goderci la vita da spiaggia. La sera esploriamo la cittadina, godendoci la musica dal vivo e lo street food, gustando un kebab davvero delizioso. Il giorno seguente decidiamo di spostarci a Sinemorets, un villaggio verso il confine con la Turchia, sempre per una giornata di mare. Qui la natura è più selvaggia e c’è decisamente meno turismo che a Sozopol: cavalli liberi pascolano sulle colline a ridosso della lunga lingua di sabbia chiara che da un lato si affaccia sul mare e dall’altro su una riserva naturalistica. Ci sono i cartelli di pericolo coccodrilli dopo le 18.00, sarà vero? Vero o non vero, sono stati due giorni all’insegna del relax, impagabili.   

Giorno 7 – da Sozopol a cape Kaliakra

Proseguiamo la nostra visita lungo la costa occidentale del Mar Morto: visitiamo la città di Varna che, oltre a meta turistica per la bella spiaggia e la lunga serie di alberghi lungomare, è anche una cittadina interessante dal punto di vista storico e architettonico. Nei pressi di Varna c’è il monastero di Alhadza, famoso per essere stato scavato a mani nude nella montagna di tufo da un gruppo di monaci. Avvicinandosi alla parete rocciosa non sembra neanche di essere nei pressi di un monastero, si vedono solo delle aperture di tanto in tanto che potrebbero essere di origine naturale, invece nascondono una stradina percorribile a piedi per accedere al monastero nascosto all’interno della montagna. Nonostante il tufo sia un materiale altamente deteriorabile, nel monastero sono conservati degli affreschi originali, vale davvero una visita. 

Procediamo in direzione nord verso cape Kaliakra, fermandoci a fare un tuffo nella rinomata località balneare di Golden Sand, una specie di Ibiza del Mar Morto: alberghi a non finire, cocktail bar sulla spiaggia e musica a tutto volume. L’acqua però è la fine del mondo e ci divertiamo a cavalcare le onde.

Nel tardo pomeriggio raggiungiamo cape Kaliakra: passeggiando verso la punta del promontorio ci sono dei resti di architettura romana, con archi di pietra che danno a strapiombo sul mare. Le scogliere rosse in contrasto con il blu profondo offrono un panorama strepitoso e ci accompagnano faro e oltre, fino alla chiesetta greco-ortodossa che guarda l’intera baia all’orizzonte. Un luogo davvero romantico, soprattutto alle luci del tramonto.

Giorno 8 – da cape Kaliakra a Veliko Tarnovo

Sveglia presto e colazione, poi ci mettiamo subito in marcia verso ovest. Nel primo pomeriggio arriviamo a Veliko Tarnovo, un’affascinante cittadina di montagna costruita sulle sponde del fiume Jantra. Veliko Tarnovo è famosa per la fortezza di Tsarevets, che sovrasta la città vecchia dall’alto della collina e la protegge con le sue lunghe mura, e per il gelato turco al pistacchio (da gustare rigorosamente seduti in uno dei terrazzini che danno sul canyon del fiume). Le abitazioni del centro ricordano le case a graticcio, con un tocco ellenico dato dalle pergole rigogliose. Un altro punto di interesse nella zona è il monastero della trasfigurazione. Purtroppo noi siamo arrivati tardi e il cancello del giardino di accesso era ormai chiuso, ma da quello che abbiamo potuto osservare da distante merita una fermata. 

Giorno 9 – da Veliko Tarnovo a Belogradchik

Siamo già sulla via del ritorno, ma la Bulgaria ha ancora qualche asso nella manica per stupirci. Ripartiamo di buon’ora verso ovest, e ci fermiamo lungo la strada per visitare le grotte Devetashka. Non fatevi abbattere dalla strada dissestata e dalla difficoltà di trovare l’ingresso, quello che vi aspetta è un luogo fantastico che difficilmente avrete già avuto modo di vedere nella vita. Il percorso porta all’interno della grotta passando sotto archi di roccia con aperture naturali, da cui scendono rigogliose piante rampicanti. All’interno vi è anche un piccolo corso d’acqua il cui rumore viene amplificato dalle cavità nella roccia e accompagna i versi dei numerosi pipistrelli che vi abitano. Arrivati al fondo della grotta, si possono vedere i resti di un accampamento risalente a chissà che epoca. Questo posto è uno spettacolo della natura, letteralmente.

Ma non è ancora finita per oggi, quindi continuiamo verso Belogradchik. Belogradchik è un piccolo villaggio con una fortezza storica. Il punto forte però è il contesto in cui è immersa la fortezza, un vero e proprio parco di roccia con piramidi alte fino a 200 metri che si estendono qua e là nella foresta circostante a dismisura. Il panorama dalla cima delle piramidi a ridosso della fortezza è mozzafiato!

Giorno 10 – ritorno a casa

E’ giunto il momento di tornare a casa, dopo aver esplorato in lungo e in largo un paese che ha davvero saputo sorprenderci con tutte le sue peculiarità artistiche e naturali. Prima di rientrare davvero però ci fermiamo a visitare le grotte Magura, nei pressi di Belogradchik. La visita è guidata e ci porta in profondità fra stalattiti, stalagmiti e reperti archeologici. Il punto forte sarebbe dovuto essere le pitture rupestri, che dicono essersi conservate molto bene in queste grotte. Dicono, perché noi proprio non le abbiamo viste. Peccato, ma a distoglierci dalla delusione ci sono campi e campi di girasoli che ci accompagnano verso la via di casa.

Romania e Serbia

Castello di Corvinesti - Hunedoara

Itinerario Aprile 2012

Giorno 1 – da Trento a Subotica

Macchina carica dalla sera prima, sveglia all’alba e subito in partenza. Non c’è tempo da perdere perché vogliamo arrivare a destinazione prima che venga buio. Abbiamo organizzato questo viaggio per andare a trovare la nostra cara amica M., rientrata a casa dopo un lungo e felice periodo in Italia, e vogliamo approfittarne per visitare Serbia e Romania, visto che di entrambi i paesi non abbiamo alcuna conoscenza. Il papà di M., che ha percorso lo stesso itinerario più volte, ci consiglia di passare dall’Austria e di attraversare l’Ungheria. Per noi Europei significa meno frontiere e viaggiare in zona Euro fin quasi al nostro arrivo. Fra i consigli, anche quelli sui migliori autogrill dove fare sosta e i posti più interessanti per mangiare, troppo viziati! Maciniamo chilometri, il paesaggio cambia e anche le stazioni radio ci propongono musica sempre diversa approcciando il confine Serbo. Nel frattempo è buio, ma alla frontiera Ungheria-Serbia il traffico è scorrevole  e nel giro di mezz’ora raggiungiamo Subotica e la casa dei nostri ospiti, finalmente conosciamo la famiglia di M.! Accoglienza strepitosa: una famiglia calorosa e sorridente, una cameretta tutta per noi e il  soggiorno pieno di ogni prelibatezza: tortini agli spinaci, pane con panna acida e ajvar.. una cenetta con i fiocchi e poi subito a letto, che il giorno dopo si riparte. Speravamo che M. venisse con noi alla volta della Romania, ma gli impegni universitari sono troppo onerosi. Ci impegniamo a portare tante belle foto e racconti avvincenti.

 

Giorno 2 - da Subotica a Sibiu

A colazione, oltre ad abbuffarci di salame e panna acida, ci facciamo dare qualche buon consiglio per il nostro itinerario. Non sappiamo davvero cosa aspettarci dalla Romania e siamo molto curiosi di quello che troveremo una volta passato il confine. Durante il viaggio, lo sguardo è rivolto sempre fuori dal finestrino: le case cominciano a farsi diverse e anche il paesaggio.

La prima tappa che facciamo è a Hunedoara. A detta della nostra guida, la città di per sé non vale la pena, essendosi sviluppata principalmente intorno ad un enorme complesso siderurgico, ma dedicare qualche ora alla visita del castello dei Corvino (vedi foto di copertina) vi cambierà la giornata. Lo spettacolo che offre è impressionante: Il castello, imponente, svetta su una roccia circondata da un profondo fossato ed è collegato all’esterno tramite un lungo ponte di legno. I tetti rossi, in contrasto con il cielo grigio e minaccioso, e le decorazioni a spigoli ci fanno proprio sentire in Transilvania. All’interno, il castello è piuttosto spoglio in termini di arredi, ma le decorazioni esterne e la sala degli arazzi sono notevoli. Proseguiamo alla volta di Sibiu, una delle città più fiorenti della Romania, nonché una delle più importanti storicamente per lo sviluppo di questo paese. Arriviamo la sera e percorriamo le strade che dalla città bassa ci portano alla città alta, vero fulcro storico. Rimaniamo sorpresi da quanto si possa notare l’influenza tedesca nello stile architettonico, è tutto veramente molto bello e rimaniamo a bocca aperta vedendo l’armonia e la cura degli edifici che incorniciano le strade. Ci piacciono soprattutto gli “occhietti” delle case, che sbirciano curiosi i passanti (vedi foto sotto). Arriviamo nella piazza grande, il centro della vita di Sibiu e rimaniamo colpiti da quanta pulizia e ordine ci sono. In piazza ci sono giochi d’acqua e qualche suonatore di strada, nonostante sia inizio aprile e le temperature non siano ancora molto alte, ci sono molte persone in giro anche se come turisti ci siamo probabilmente solo noi. Ci fermiamo a mangiare in un locale tradizionale, chiamato Sibiul vechi, dove assistiamo anche ad uno spettacolo di musica dal vivo. La musica dal vivo c’era anche nell’albergo dove pernottavamo. La facevano i nostri vicini di sotto e, no, stavolta non era di nostro gradimento né abbiamo pagato per averla all night long. Per fortuna eravamo sufficientemente stravolti dal viaggio.

Sibiu by night

Giorno 3 - da Sibiu a Brasov

La giornata di oggi prevede un percorso piuttosto impegnativo. vogliamo arrivare a Brasov passando per la Valacchia, fermandoci a visitare la fortezza (che definirei più che altro "rudere") di Poienari, ossia il vero castello di Dracula. Il piano iniziale era quello di arrivarci percorrendo la Transfagarasan, una delle più avvincenti strade dei Carpazi, che però in questi giorni è chiusa per neve. La storia di questo castello e quella di Vlad III di Valacchia (detto Dracula o l'impalatore), sono molto avvincenti, e l'atmosfera di questi posti vi si addice proprio. Per accedere alla fortezza bisogna farsi coraggio e percorrere 1.480 gradini nel bosco, sperando di non incontrare qualche orso lungo la salita (sono molto diffusi in questa zona). 

La strada per raggiungere Brasov è molto panoramica: risalendo sulle montagne vediamo villaggi, chiesette lignee e qualche alcune città fortificate arroccate su colline. La cosa divertente è che sulle mura di quasi tutte queste cittadelle c’è una scritta con il nome della città, così non serve nemmeno la mappa per capire di cosa si tratta. Oltre a guardarsi intorno per ammirare il paesaggio (ricorda un po’ l’Italia degli anni ’50, campagne incolte e popolo contadino, anche se non eravamo ancora nati a quei tempi fra film-documentari e i racconti di casa ci siamo fatti quest’idea), bisogna tenere gli occhi bene aperti perché da queste parti i carretti tirati dai cavalli sono ancora un mezzo di locomozione piuttosto gettonato, anche sulle superstrade. 

Nel giro di qualche ora arriviamo a Brasov,  città delle roccaforti sassoni e della rinomata Chiesa Nera. Nella piazza principale si respira aria di festa: bancarelle di prodotti tipici a ridosso del municipio (un edificio molto singolare e tutto solo al centro della piazza) e addobbi colorati per le strade e in corrispondenza dei numerosi caffé fanno presagire che la Pasqua è imminente. 

Il primo pensiero è quello di trovare un alloggio per la notte. Per chi non lo sapesse, nei nostri viaggi on the road non prenotiamo mai niente in anticipo perché non sappiamo veramente se seguiremo l’itinerario originale. Ci lasciamo sempre il beneficio del dubbio, nel caso scovassimo qualche posto magico che non possiamo assolutamente permetterci di perdere. Come nel resto dell’Europa dell’est, l’impresa è facile e troviamo una camera pulita, confortevole e decisamente economica.

Nel pomeriggio, visitiamo tutto il centro di Brasov, anche se si fa troppo tardi per fare anche il percorso sulle mura della città, e andiamo a mangiare in una taverna storica: Sergiana.

Giorno 4 – da Brasov a Sighisoara

La mattina ci alziamo di buona lena perché ci aspetta la visita al castello di Bran, quello che viene spesso indicato  come castello di Dracula (anche se erroneamente, noi abbiamo percorso quei 1480 scalini per scoprire la verità!). Il castello di Bran si erge su una roccia aspra e ne ricopre praticamente tutta la superficie. Da lontano, sembra un quadro dipinto. Anche gli interni valgono la visita: l’itinerario è ben illustrato e gli arredi originali sono tutti ben conservati, inoltre il cortile interno è veramente particolare. Non ci stupisce che lo sponsorizzino a discapito di Poienari, considerati il fascino e l’importanza storica di questo posto.   

 

Il viaggio prosegue verso Sinaia, per la visita ad uno dei castelli più belli che abbiamo mai avuto occasione di vedere fino a questo momento. Il castello di Peles è un castello costruito nella seconda metà del 1800 come residenza reale da re Carlo di Romania, sull’antica strada che conduceva dalla Valacchia alla Transilvania. Per approfondimenti storici cliccate qui e guardate gli interni su google immagini, ne vale davvero la pena. Le sale interne, ricche d’arte e di decori, non hanno nulla da invidiare al castello di Neuschweinstein in Baviera, ve lo assicuro!

La visita guidata dura un’ora, giusto in tempo per l’ora di pranzo. Mangiamo qualcosa al volo (come sempre) e ci rimettiamo alla guida verso Sighisoara. Lungo la strada ci fermiamo a visitare due chiese fortificate, retaggio della presenza sassone in questi territori, nei villaggi di Prejmer e Bunesti. Purtroppo non sempre è possibile accedere e noi non siamo stati fortunati perché le abbiamo trovate entrambe chiuse, ma già da fuori facevano il loro effetto e sono valse la sosta.

 

A metà pomeriggio arriviamo a Sighisoara e cerchiamo una camera. E’ Pasqua e fuori comincia a nevicare! Decidiamo comunque di fare un giro per le vie della città e non rimaniamo affatto delusi. Nonostante il freddo, il centro storico di questa meravigliosa cittadina ci entusiasma e ci sorprende ad ogni angolo che giriamo. Le case, piccole e colorate, si addossano l’una all’altra con i loro tetti spioventi, sembrano tutte rivolte alla torre dell’orologio che si staglia fra i tetti spioventi, visibile da ogni punto della città. Potremmo aggirarci per ore in questi vicoli e passaggi coperti, ma il freddo e la stanchezza ci fanno rientrare in camera subito dopo cena, per riposarci dalla giornata appena trascorsa e per ricaricarci per al prossima.

Giorno 5 – da Sighisoara a Cluj

Ennesimo giorno impegnativo. Non desistiamo con la questione chiese fortificate e proviamo a visitare la chiesa fortificata di Biertan. Anche stavolta troviamo chiuso, ma il panorama per arrivare fin qui e il villaggio in sé sono davvero appaganti, soprattutto perché dopo giorni di neve e nubi finalmente è tornato il sereno. Facciamo tappa a Medias per pranzo e ci godiamo il tepore del sole passeggiando nel giardino della piazza principale, in cui ad ogni panchina corrisponde una postazione per giocare a scacchi. Anche questa cittadina è bella colorata e pulita: qualsiasi aspettativa potessimo avere della Romania prima di partire (anche se non avevamo grandi pregiudizi) è sicuramente stata superata a pieni voti. 

Mentre guidiamo verso Cluj, leggiamo la guida per capire se lungo il percorso c’è qualcosa di interessante visto che siamo in netto anticipo rispetto alla tabella di marcia. A Turda c’è una miniera di sale che si può visitare, why not, impostiamo il navigatore. Arrviamo, parcheggiamo, facciamo il biglietto alla cassa e scendiamo un tunnel seguendo i neon blu che ci portano sempre più giù. Fin’ora tutto normale, striature nella roccia modellata dal vento, una cappella sotterranea, qualche attrezzo del mestiere. Poi, vediamo un bambino uscire entusiasta da una botola che non avremmo mai notato altrimenti: decidiamo di addentrarci in questo cunicolo anche noi per scoprire cosa si nasconde dall’altra parte.

Una scala a chiocciola in legno, ci fa scendere ripercorrendo i metri scavati nel passato dai minatori finché non raggiungiamo la base e rimaniamo a bocca aperta. Davanti a noi, l’enorme miniera è stata trasformata in un parco divertimenti, con bowling, ruota panoramica sotterranea e attrazioni di ogni genere! Inutile dire che ci aggiriamo frenetici per scoprire tutto quello che proprio non ci aspettavamo di vedere (la nostra guida non ne parlava affatto). In una seconda miniera, più in basso della prima, c’era anche un lago salato con postazione di noleggio barche per remare romanticamente in un contesto decisamente diverso dal comune. Naturalmente, non potevamo farci mancare questa esperienza! 
Così, l’intero pomeriggio è passato in un baleno e siamo riusciti a raggiungere Cluj solo all’ora di cena, giusti giusti per trovare un alloggio e un posto dove mangiare.

Giorno 6 – da Cluj a Satu Mare

Per l’ultimo giorno in Romania, ci riserviamo una zona che ci intriga molto: il Maramures. Dopo aver visitato velocemente il centro di Cluj (che non ci ha entusiasmati granché) e il museo etnografico, siamo ripartiti in direzione nord alla scoperta delle chiese lignee del Maramures. Questa regione è infatti famosa per il lavoro del legno, che raggiunge le sue forme più artistiche nelle chiesette sparse per tutto il territorio. E’ molto difficile visitarle perché spesso sono chiuse ma questa volta abbiamo avuto più fortuna e chiamando il numero di telefono che abbiamo trovato appeso all’ingresso di una di queste, il parroco è corso ad aprirci e a farci da guida di questo piccolo gioiello. Se tutte le chiesette che abbiamo visto solo da fuori fossero state aperte e belle anche solo la metà di quella che abbiamo potuto osservare con i nostri occhi, ci saremo fermati sicuramente ancora qualche giorno. 

Nel tragitto poi, abbiamo conosciuto un autostoppista tedesco in vacanza da queste parti. E’ venuto con noi a visitare il Maramures, anche se il suo obiettivo primario era trovare il capotreno che aveva conosciuto una decina di estati prima, mentre era in vacanza in Maramures con la sua famiglia nei boschi di legname ai confini con l’Ucraina. In quell’occasione, ci ha spiegato Uwe (questo il nome “d’arte” del nostro autostoppista), il capotreno era stato così gentile da far provare ai suoi figli l’emozione della cabina di comando nella locomotiva che conduceva in questi boschi. Con fotografie al seguito, Uwe sperava di poter consegnare ad una persona rimasta nel cuore dei suoi figli un ricordo da conservare per sempre, chissà se è riuscito nel suo intento! 

Una volta salutato Uwe, abbiamo fatto la nostra ultima tappa rumena al cimitero allegro di Sapanta, in cui un falegname-poeta ha scolpito nel legno e dipinto le vicende di ogni defunto, dedicando a ciascuno qualche rima riguardante gli aspetti più curiosi e divertenti della sua esistenza. Davvero singolare e unico nel suo genere!

Cerchiamo una camera a Satu Mare, pronti per fare ritorno in Serbia il giorno seguente. 

Giorno 7 – da Satu Mare a Novi Sad

Di buon mattino ci alziamo e ci gustiamo la ricca colazione che ci ha preparato la signora del bed&breakfast. Siamo un po’ stufi di salsicce e lardo all’alba, ma è tutto molto invitante e non ci tiriamo indietro.La nostra camerà è fuori dal villaggio, e lungo la strada in cima ad ogni palo c’è un nido di cicogna, mai visti così tanti! Passiamo tutta la mattina e il primo pomeriggio in viaggio verso Novi Sad, dove abbiamo appuntamento con M. alla torre dell’orologio. Visto che siamo arrivati in anticipo, visitiamo il parco che ogni estate ospita uno dei più grandi raduni rock dei balcani. E’ molto bello e rigoglioso, inoltre la terrazza sul Danubio (dove si trova la torre dell’orologio) ci offre un tramonto spettacolare. Una volta incontrati, M. ci fa da guida nella città in cui studia, portandoci per le vie del centro e a visitare i luoghi più significativi. Novi Sad ci piace e decidiamo di fermarci per la notte per vedere qualcosa in più.

Giorno 8 – Golubac

Decidiamo di vedere qualcosa della Serbia al di fuori delle città. Nonostante ci facesse gola l’idea di immergerci nelle campagne collinari a sud, le distanze sono troppo lunghe per il poco tempo che abbiamo a disposizione quindi optiamo per seguire il corso del Danubio fino alla fortezza del Golubac, un avamposto romano diventato negli anni cittadella fortificata e contesa tra regno d’Ungheria e Impero Ottomano. Al ritorno percorriamo una strada diversa per le “delibato sands”. non abbiamo veramente capito di cosa si tratti, visto che panorama è tutto piatto e verde e chiedendo alla gente del posto nessuno sa cosa sia, ma la nostra guida lo indica come punto di interesse. Mah. Rientriamo per cena a Subotica, dove ci aspetta una cenetta con i fiocchi – uomini fuori al bbq e donne in cucina a preparare il resto – e un caloroso bentornati a casa.

 

Giorno 9 – Belgrado

Con M. e suo fratello, andiamo a visitare Belgrado. La città è bella ma il ricordo della guerra è vivo e toccante. Quello che colpisce di più sono i segni dei bombardamenti sulle case, lasciati anche dopo la ricostruzione per mantenere viva la memoria di quello che è stato. Impressionanti sono anche i reticolati rossi dipinti su incroci e piazze, indicatori dei luoghi distrutti dalle bombe. Sembra sempre che le guerre siano lontane da casa e successe in tempi remoti ma passeggiare per Belgrado ci da una consapevolezza diversa. Visitiamo anche il tempio di San Sava, la fortezza di Belgrado e il parco, dove ci rilassiamo anche con un po’ di giocoleria, e  infine visitiamo il museo di Nicola Tesla, per far contenti i fisici che, quasi come sempre, sono in maggioranza nel gruppo. 

Giorno 10 – Subotica e ritorno in Italia

Oggi è il giorno della Pasqua ortodossa. Appena svegli, come da tradizione, ci rimbocchiamo le maniche e cominciamo a decorare le uova sode che mangeremo a pranzo, sopo aver fatto la lotta delle uova: ognuno sceglie un uovo sodo colorato e prova a rompere quello dell’oppositore. Prima il fronte e poi il retro. L’uovo vincente è quello rimasto intero ed è auspicio di buona fortuna! In attesa che sia pronto il lauto pranzo, M. e suo fratello (che, come nei giorni scorsi, ci fa da guida) ci portano a visitare Subotica, la loro città, e il parco sul lago Palic. Subotica è una cittadina dallo stile secessionista, ci colpiscono i molti edifici con evidenti richiami all’art nouveau e il municipio, in cui abbiamo la fortuna di entrare. Assistiamo anche a un pezzo di celebrazione della messa di Pasqua in una delle chiese ortodosse più importanti della città e rimaniamo colpiti dal fatto che è ancora uso suddividersi fra uomini e donne occupando ciascuno uno specifico lato in chiesa. 

Al lago, percorriamo la passeggiata lungo la riva che ci da ammirare il lago da una parte e i bizzarri palazzi art nouveau dall’altra. Se ci fosse stato pieno sole, sarebbe stato un tripudio di colori. 
A casa ci aspettava una tavola imbandita con ogni prelibatezza pasquale e appena seduti abbiamo cominciato a banchettare. Solo qualche ora più tardi saremo dovuti partire per ritornare a casa. 

Repubbliche Baltiche

Una coppia on the road alla scoperta dell’Europa Orientale – due settimane dal cuore delle Dolomiti all’estremità settentrionale dell’Estonia

 

Itinerario – Agosto 2010

Giorno 1 – da Belluno a Bielsko-biala

Primo giorno, primo viaggio lungo, prima volta in Est Europa, 21 anni appena compiuti. Ci mettiamo in marcia all’alba, pronti per affrontare un viaggio che non sapremo nemmeno noi come andrà, ma siamo carichi e preparati. Navigatore impostato verso Katowice, con tutte le deviazioni da fare per non pagare pedaggi/accessi/qualsiasi-cosa-costi-perchè-siamo-studenti, sarebbe già una vittoria arrivare in zona entro sera: ci perdiamo a Conegliano, poi ci perdiamo di nuovo a Vienna (3 volte), ma alla fine ce la facciamo e ci fermiamo per la notte a Bielsko-biala, scoprendo cosa ci aspetterà per cena nei giorni a seguire: zuppa di cipolle, sempre e ovunque.

Giorno 2 – da Bielsko-biala a Trakai

Ormai l’avventura è cominciata, ripartiamo più rilassati attraversando la Polonia. Autostrade con semafori, attraversamenti pedonali e asfalto a “binari” sulle scie dei camion. Nonostante il panorama sia piatto c’è già abbastanza di cui stupirsi. Abbandoniamo qualsiasi idea di fermarci a Varsavia quando rimaniamo imbottigliati nella sua lontana periferia e consumiamo tutto il tempo a disposizione in coda per superare la capitale. Il panorama verso nord comincia a farsi dolce e collinare e in un batter d’occhio ci ritroviamo in Lituania, in un piccolo paesino chiamato Trakai. Ci fermiamo a una casetta di legno in riva a un lago, sembra abbiano posti letto per la notte: i proprietari ci accolgono calorosi anche se non troviamo una lingua in comune per comunicare e ci accontentiamo dei gesti. Nelle Repubbliche Baltiche non è ancora arrivato l’Euro e tutto è economicamente molto conveniente, possiamo aspettare a piantare la tenda. La  sera usciamo per cena e visitiamo il castello di Trakai, un castello di mattoni rossi su un’isoletta in mezzo all’omonimo lago, collegato alla terraferma da un lungo ponte di legno. L’estate noleggiano barchette agli innamorati, l’atmosfera molto romantica e suggestiva ci appaga immediatamente dei due lunghi giorni in viaggio che abbiamo alle spalle.

Giorno 3 – da Trakai a Siauliai

Nonostante sia la capitale della Lituania, Vilnius ha più l’aspetto di un paese di campagna: quando arriviamo ci indicano di parcheggiare al parlamento, “che tanto è a due passi dal centro ed è sabato, quindi non disturbiamo nessuno”. Non sappiamo bene che idea farci di questa cittadina pulita e ordinata. I primi volti che vediamo sono quelli delle tre muse del teatro d’arte drammatica (dalla loro espressione anche per loro è strano vedere qualche turista che si aggira in città, soprattutto così presto), e in seguito l’imponente security knight che fa da guardia alla bellissima cattedrale di Vilnius. In giro non c’è anima viva. Proseguiamo il nostro giro verso il centro cittadino, visitando la chiesa di San Giovanni Battista e la piazza principale, detta piazza del municipio. Qui ci rendiamo conto, sfoderando il nostro minuscolo pc portatile (eh si, lo smartphone era ancora lontano anni luce), che effettivamente nelle Repubbliche Baltiche è consuetudine avere wi-fi libero in tutte le zone pubbliche, troppo avenieristico! Dalla piazza si raggiunge facilmente il punto forte della città, la porta dell’aurora: l’ultima rimanente delle nove porte della capitale lituana, che al suo interno accoglie una cappella cattolica con un’effigie dorata di Maria, così lucente che si vede anche passando dalla strada che conduce alla porta. Altro monumento importante e degno di nota è la chiesa di Sant’Anna, sia per l’esterno che per gli interni. Effettivamente, gran parte dei punti di interesse che abbiamo visitato consistono in arte sacra. Per cambiare prospettiva e goderci i tetti rossi di Vilnius visitiamo il parco Kalnu raggiungendo la Torre di Gedeminas in cima ad una collina, da cui il panorama su tutta la città è a dir poco degno di nota.
Ma non c’è tempo da perdere! Torniamo alla macchina percorrendo alcune stradine secondarie, per completare l’idea della città, e ci muoviamo in direzione Siauliai. Oltre che per dormire, questo posto ha un’attrattiva del tutto particolare: la collina delle croci. Questo luogo “sacro” è una letteralmente una collina ricoperta da croci votive (si parla di un numero a 5 zeri), usata simbolicamente dai credenti lituani per contrastare il russo invasore. Perdersi in una collina di croci è un’esperienza più unica che rara, se siete nei paraggi fermatevi e provateci!

Giorno 4 – Da Siauliai a Palanga

Una distesa piatta e liscia come l’olio: ecco come si presenta a noi – che lo vediamo per la prima volta – il mar Baltico. Arrivati di buon mattino a Klaipeda, ci imbarchiamo col battello che in meno di cinque minuti ci porta sulla penisola del Nering (detta penisola dei curlandesi). Questa penisola è un sottilissimo lembo di terra divisa a metà fra la Lituania e l’exclave russa di Kaliningrad ed è chiamata “la perla del Baltico” per le sue spiagge bianche e infinite accompagnate da una natura selvaggia. Dopo un po’ di relax in spiaggia abbiamo fatto visita alla collina delle streghe, una collezione di mostruose sculture in legno nel parco di Joudkranté, da non perdere. Per la notte abbiamo pensato bene di fermarci nella località marittima per eccellenza delle Repubbliche Baltiche: Palanga. L’atmosfera qui è proprio quella di vacanza! Il lungomare offre un tramonto mozzafiato a tarda sera e la città si anima con bancarelle di ogni tipo e suoni/luci/e-colori. Condividiamo la casetta con una coppia di Estoni molto carini che ci danno un sacco di consigli su cosa vedere, cosa mangiare e (soprattutto) dove parcheggiare quando giungeremo nel loro paese. Ci regalano pure le mappe delle principali città estoni, che strappano delicatamente dalla loro guida turistica. Giusto, devo premettere che le due ore precedenti le hanno passate giocando a scala quaranta (che loro non conoscevano) con noi e idratandosi con la loro bottiglia di vodka (per intero, in fondo è caldo e la sete è tanta), magari le circostanze non erano usuali ma in ogni caso sono stati molto gentili.

Giorno 5 – Da Palanga a Cape Kolka 

Da questa giornata deriva il famoso detto “è una Cape Kolka” quando ci si riferisce ad un disastro. Forse vale solo per noi, perché siamo stati a Cape Kolca dopo aver passato una notte quasi insonne e aver fatto una colazione con una tazza di caffè solubile terribile. In più abbiamo percorso 80 dei 300 km per raggiungere la destinazione su strada sterrata piena di buche. In più l’unico campeggio in questa località è un prato (bellissimo) con bagno in stile medievale (cioè cabina di legno con buco) e mais che esce dal lavandino all’aria aperta. Infine, abbiamo raggiunto a piedi il “capo”, la lingua di terra che si  allunga fra due mari che si incontrano: il Golfo di Riga e il mar Baltico. Abbiamo raggiunto la meta dopo aver camminato per più di un’ora su una spiaggia maltenuta e piena di tronchi e rami che rendevano difficile il passaggio. Romanticissimo e scenografico a detta della guida, “non andateci” a detta nostra. 

L’unica nota positiva del passaggio in Lettonia di oggi è stata la tappa alla cascata Venta, la più ampia, e al contempo bassa, d’Europa. Qui i paesi hanno ancora le case il legno, sembra un po’ di essere nel Far West.

Giorno 6 – Da Cape Kolka a Riga

Ci siamo, sulla via dell’ambra, in direzio Riga. Riga è la vera capitale delle Repubbliche Baltiche, una città dall’anima spumeggiante, giovane e piena di vita. Questa città ci conquista con la sua bellezza, il senso di sicurezza e le splendide luci che l’estate nordica sa offrire. Le attrazioni sono molte, noi ci siamo “accontentati” di una giornata intensa partendo dal panorama della città vista dal ponte Vansu. L’elenco dei suggerimenti è lungo: il castello di Riga, la cattedrale, la torre delle polveri, la chiesa di San Pietro, il monumento alla libertà nel parco Bastejkalna, il mercato centrale e, meraviglia delle meraviglie, la casa delle Teste Nere e il famosissimo albero di Natale (vedi foto di copertina). Conserviamo la visita dei palazzi anseatici di Vecriga (la città vecchia) per la tappa che faremo al ritorno. Per una giornata abbiamo fatto più che a sufficienza , ci gratifichiamo con aperitivo nella splendida Doma Laukum (piazza del Duomo) in uno dei localini che vengono allestiti in mezzo alla piazza per le serate estive e servono ettolitri di Kvas accompagnati da crostini all’aglio, con copertina di pile su ogni sedia per far fronte alle frizzanti notti baltiche. Cin cin!

Giorno 7 – Da Riga a Tartu

L’Estonia sarà il primo paese fra quelli delle Repubbliche Baltiche a entrare nell’Euro: manca poco e si sente, si respira un’aria diversa rispetto alle sorelle Lettonia e Lituania e, anche se non sono poi stati così diversi, si vede che sono lontani anni luce. Arriviamo a Tartu, città universitaria e la seconda per numero di abitanti in tutta Estonia. La città è immersa nel verde e c’è un brulicare di studenti in ogni strada, parco e locale. Una delle tappe che non potevamo mancare era proprio l’università e il dipartimento di fisica. Oltre agli edifici di uso quotidiano per lezioni e ricerca, l’università ha anche un museo che vale assolutamente la pena di essere visitato, anche perché da accesso ai ruderi dell’antica cattedrale di mattoni rossi, andata semi-distrutta in un incendio. L’altro pezzo forte di Tartu è la piazza del municipio con la fontana dei Kissing students, unica nel suo genere! Leviamo presto le tende per trovare un campeggio dove piantare (stavolta non è figurato) la nostra tenda. Guidando in direzione Narva troviamo questa colonia che offre la possibilità di campeggiare nel giardino circostante. La posizione in mezzo al bosco ci piace e decidiamo di fermarci: non potevamo fare scelta migliore, a cinque minuti c’era un lago meraviglioso in cui i giovani del posto facevano tuffi e il bagno fino a tardi e da cui abbiamo potuto ammirare per l’ennesima volta tutti i colori del tramonto nei cieli del nord.

Giorno 8 – Da Tartu a Tallin

Eccoci al confine con la Russia: Narva è la città più a Nord – Ovest dell’Estonia e guarda, a un fiume di distanza, la cittadina di Ivangorod e a meno di 300km da San Pietroburgo. Sì, ci sarebbe piaciuto continuare in quella direzione ma è impossibile entrare in Russia senza essere già in possesso di un visto, soprattutto senza avere un itinerario già comunicato alle autorità e senza aver prenotato nemmeno un hotel. Vabbé. La frontiera è proprio a ridosso del castello di Hermann, più conosciuto come la fortezza di Narva, con i bastioni meglio conservati d’Europa. Oltre al castello, vale la pena visitare anche la cattedrale ortodossa della Resurrezione e la cattedrale di Alexander. E’ presto ora di rimettersi in viaggio per la capitale Estone: attraversiamo il nord del paese fra prati verdi e alberi di faggio che fanno sembrare il paesaggio tutto uguale. In meno di tre ore raggiungiamo Tallinn, piazziamo la tenda e andiamo a vedere il tramonto dal parco del memoriale Maarjamae. Il lungomare è il sogno di chiunque sappia pattinare a rotelle, ci rattristiamo per un istante pensando a quanto sarebbe stato bello pattinare alle 11 di sera in piena luce su una pista da biliardo in riva al mare, ma ci accontentiamo dell’ennesimo meraviglioso spettacolo.

Statua di Lenin a Narva
Fortezza di Narva

Giorno 9 – Tallinn

La città dai tetti rossi è la vera capitale delle Repubbliche Baltiche. C’è aria di entusiasmo per le strade, sembra veramente che l’entrata nella moneta unica rappresenti un vero passo in avanti per questo paese. Ci concentriamo sulla città vecchia, in cui c’è tanto da visitare. Come per Riga, le cose da vedere a Tallinn sono troppe per elencarle tutte, diciamo che le principali sono: le mura della città con le sue 46 torri (Kiek in de Kok), la piazza del municipio, la collina di Toompea con il castello, la chiesa di sant’Olaf (suona strano, vero?) e la cattedrale di Alexandr Nevskij, la chiesa del santo spirito, ecc.. Un ottimo modo per visitare la città è andare alla ricerca delle 100 porte colorate: sono tutte di colori e decorazioni diversi, una vera caccia al tesoro! Confesso, non ne avremo viste più di dieci, ma solo perché la tabella di marcia non lo permetteva (e anche per un po’ di pigrizia, dai). Mangiamo in un localino ,molto “in”, il primo e ultimo che ci permettiamo in questa vacanza. Al Peppersack assaggiamo il nostro primo pesce crudo – ottima esperienza e apripista per la moda del sushi che sarebbe piombata in Italia qualche anno più tardi – e ci godiamo l’ultima serata di andata: da domani si riprende la strada di casa.

Giorni 10 e 11 – da Tallinn a Malbork

Il viaggio di ritorno è lungo, tanto vale prenderla con filosofia. Partiamo da Tallinn con tutta calma, sapendo che per oggi la strada non sarà molta. Ci fermiamo per una breve tappa a Parnu, località balneare sulla costa occidentale dell’Estonia, e facciamo un ultimo bagno nel Mar Baltico. Bisogna addentrarsi per decine e decine di metri prima che il livello dell’acqua superi le ginocchia, ma la sensazione dell’acqua poco salata e della sabbietta fina fra i piedi vale lo sforzo. Nel giro di qualche ora, percorrendo a ritroso la via dell’Ambra, giungiamo a Riga e ci godiamo quello che resta da vedere della città. La sensazione che ci pervade all’idea di lasciarla al mattino seguente ci mette malinconia, ma ogni cosa ha il suo tempo. L’indomani mattina ci prepariamo di buon’ora, la destinazione finale è piuttosto ambiziosa: Malbork. Abbiamo deciso di prendere una strada diversa rispetto all’andata e approfittarne per vedere almeno un angolo di Polonia, meta originale di questo viaggio. Ebbene sì, tutto questo era nato perché volevamo andare a seguire il campionato mondiale di canoa a Poznan, poi ci siamo lasciati prendere la mano. Arriviamo a destinazione verso ora di cena: abbiamo attraversato la bellissima regione collinare dei laghi e scoperto che il parco naturale con i bufali (che volevamo vedere) si trovava tutto da un’altra parte. In ogni caso sarebbe stata dura riuscire a incastrare anche una visita naturalistica nel nostro già fitto itinerario, pertanto ci accontentiamo di visitare il castello di Malbork il giorno seguente.

Giorno 12 – Malbork e Danzica

Anche oggi svegli di buon’ora. L’unico posto aperto per fare colazione di domenica da queste parti è il McDonald e per questa volta ci accontentiamo, visto che si trova in piazza e a due minuti dal castello. Il castello di Malbork è un vero spettacolo: una distesa interminabile di mattoncini rossi, un vero colpo d’occhio anche in una giornata plumbea come questa. La visita dura quasi tutta la mattinata, il castello è molto grande e offre molto sia all’interno che all’esterno. A pranzo ripartiamo in direzione Danzica. Arriviamo in città in men che non si dica e siamo anche piuttosto fortunati con il parcheggio. Scopriamo che è in corso una grande fiera, il centro è cosparso di bancarelle e venditori di palloncini. C’è gente ovunque, tanta gente da non riuscire nemmeno a entrare nella piazza Dlugi Targ. La osserviamo dall’alto di una scalinata che da a ridosso della piazza: le case che la circondano, dai colori più disparati, la incorniciano con grazia e ne fanno il fulcro della città. Cerchiamo di visitare il più possibile, ma con questo caos non è facile e presto ci rassegnamo e torniamo alla macchina. E’ ora di ripartire, per davvero.

Giorni 13 e 14 – da Danzica a casa

 

La sera prima troviamo alloggio in un villaggio-motel lungo l’autostrada, a un’ora e mezza dal confine tedesco. Abbandoniamo ogni idea di fermarci a Berlino, ci saranno altre occasioni per vederla con più calma. Guidiamo per più di nove ore fino ai prati verdi della Baviera, cominciando a respirare nuovamente aria di casa circondati dal bel paesaggio alpino. Trascorriamo la notte vicino a Schwangau, vogliamo approfittare ancora per un po’ di questo viaggio per vedere il castello di Neuschwanstein prima di varcare il confine e reimmergersi a capofitto nei libri. Nonostante l’impegno per arrivare puntuali, perdiamo la visita guidata alla favolosa (letteralmente) residenza di re Ludwig. Non ci perdiamo d’animo e decidiamo comunque di guardare il castello da lontano, percorrendo la strada che fra i boschi porta al ponte sospeso: una visuale privilegiata per ammirare la capacità architettonica di realizzò questa bizzarra fantasia. Di lì a poche ore avremmo fatto ritorno a casa, stanchi ma soddisfatti. Con la bella immagine del Neuschwanstein, che ci ricorda i nostri amati film Disney, chiudiamo questa prima grande avventura, che ci ha fatto scoprire tanto di un mondo a noi sconosciuto e, soprattutto, di noi stessi.

Israele

King George Street - Jerusalem

Immersione in un Medio Oriente di sorprese e contraddizioni, alla ricerca di risposte che ci cambieranno la vita.

Aneddoti alla scoperta del paese da Nord a Sud

Sono tante le tappe di questa avventura in Israele, ma ne servirebbero ancora molte per capire veramente questa terra e le sue persone. 

Questo viaggio ci ha insegnato molto, ma col senno di poi sappiamo che abbiamo colto solo la più esterna sfaccettatura di un mondo estremamente complesso dalle tradizioni apparentemente assurde ma identità del popolo di Israele, etnicamente diverso ma unito nel profondo da un antico retaggio.

Galilea

Safed (Tsfat) è la città della cabala ebraica. Noi ci siamo capitati di shabbath e per le strade non c’era anima viva, solo bandierine svolazzanti dello stato di Israele in tinta con le imposte blu tipiche della città. Safed è anche detta città degli artisti, per le sue  gallerie d’arte moderna e le innumerevoli installazioni nelle piazze e nelle strade del centro.

Un simpatico signore che si godeva il fresco in un vicolo appena fuori da casa sua ci saluta e ci chiede perché siamo a Safed. Alla risposta “siamo curiosi e vogliamo scoprire qualcosa di più su questo posto e le sue tradizioni” ribatte con una domanda che ci lascia in un primo istante un po’ perplessi: “Volete scoprire qualcosa di davvero straordinario? Seguitemi”, valica la porta di casa e ci fa cenno di entrare. Decidiamo di fidarci (questa sarà un atteggiamento ricorrente in questo viaggio) e lo seguiamo scendendo una scala che scende verso delle cantine. 

Il percorso, stretto nella roccia e illuminato da piccole lucine, ci conduce ad una fonte sacra vicino a cui è stata costruita una sinagoga sotterranea. Un gruppo di studenti ebrei-americani stavano prendendo insegnamenti da un rabbino e noi, silenziosamente, assistiamo a questo spaccato di vita lontano anni luce dalla nostra tradizione ma che, al contempo, ci fa capire quanto profondo sia il rapporto con la religione di questo popolo.

Tiberiade è una delle quattro città sante della religione ebraica e meta di pellegrinaggi cristiani. Si affaccia sull’omonimo lago, da cui si ha una bellissima vista sulle alture del Golan in lontananza. Volevamo vedere se c’è ancora qualcuno cammina sulle acque del lago ma niente, solo i tipici barconi di legno che fanno rivivere tempi lontani 

Costa mediterranea settentrionale

Acri , o Akko, si inoltra con i suoi bastioni secolari nel mar Mediterraneo a nord di Haifa. La città è una delle più antiche del paese (il che è tutto dire!) ed è un misto di architetture tradizionali, dal classico stile arabo delle numerose moschee all’impronta crociata delle sale dei cavalieri. 

Una meta davvero imperdibile: oltre al panorama scenografico, al souk suggestivo sia da aperto che da chiuso, e agli edifici storici e religiosi da visitare, non si può fare a meno di dì fermarsi a colazione in una delle invitati pasticcerie della città antica che servono anche il tipico caffé (se cercate un espresso non siete nel posto giusto).     

Il lato inaspettato di Acri sono i caravanserragli, una volta luogo di deposito e scambio merci, ora trasformati in piazzette piene di bar e ristoranti dallo stile più variegato. La gente del posto vi si riunisce nelle sere estive per fumare narghilé e attende pazientemente che cominci la trasmissione sui maxi schermi che vengono allestiti verso le otto di sera. Ci siamo chiesti, da classici italiani, che partita stessero per trasmettere. Altro che calcio, la piazza era gremita di famiglie numerose, compagnie di amici, tavoli di uomini anziani, tutti rigorosamente fumanti e silenziosamente in attesa che cominciasse la telenovela di qualche emittente locale che, evidentemente e inspiegabilmente, aveva un grande successo. Paese che vai, usanza che trovi.

Tel Aviv – Giaffa

Tel Aviv è la città israeliana moderna e dinamica per eccellenza. Spesso è una meta sottovalutata, associata solo a movida e vita da spiaggia, mentre racchiude un patrimonio museale e architettonico (specialmente Bauhaus) degno di nota. 

Dall’antica Giaffa, in cui si può gustare un ottimo Shakshuka dal Dr Shakshuka e da cui c’è la più bella vista della città nuovapassando per quartieri storici e mercati coperti fino ad arrivare agli imponenti grattacieli moderni che spuntano come funghi, Tel Aviv è una metropoli tutta da scoprire, anche per noi.

Gerusalemme

Quante cose ci sarebbero da dire sulla città santa. L’abbiamo girata in lungo e in largo, eppure c’è sempre qualcosa di sconosciuto che non aspetta altro di essere scoperto. Abitare in pieno centro è una posizione strategica per raggiungere le varie zone della città, dalle più turistiche, ai quartieri più bizzarri e alle zone meno battute.

Vale la pena ricordare che Gerusalemme è una capitale religiosa per le tre grandi religioni monoteiste, e che è la capitale degli ebrei di tutto il mondo, che spesso lasciano la terra natia per approdare nella terra promessa. Per questo, non fatevi mancare il people watching, una delle attività più significative per capire a fondo questa città e questo popolo, anche per chi ha solo poco tempo da dedicarvi.

Di seguito, la nostra personale lista per visitare al meglio città (non in ordine di importanza, questo lo deciderete voi).

Città Vecchia – se decidete di visitare la città vecchia, assicuratevi di passare in tutti i quartieri (in ordine alfabetico, per non fare torto a nessuno, Arabo, Armeno, Cristiano ed Ebraico) e non solo passare da un punto di interesse ad un altro. Per quanto sia difficile rimanere in equilibrio sulla pietra levigata, cercate di tenere il naso per aria e di guardarvi intorno il più possibile: in ogni viuzza c’è qualcosa di storico, artistico o semplicemente interessante, che vale la pena notare. Da non perdere (i “classiconi”): Santo Sepolcro, Muro del Pianto, Spianata delle Moschee. Piccole perle: Chiesa di San Giovanni Battista (non facile da trovare, vi si accede da una porta di legno “per nani” fra una bancarella e l’altra del mercato che conduce al Santo Sepolcro), L’Ostello Austriaco (anche questo si mimetizza, ma la porta è decisamente più grande, di lamiera rossa. E’ sempre chiusa e bisogna suonare per farsi aprire. Fatevi una buona fetta di sacher o strudel prima di salire sulla terrazza panoramica), il palazzo di Lady Tunshuq (uno degli esempi di architettura araba meglio conservati della città). Consiglio spassionato: perdetevi nel quartiere Armeno, magari alle prime luci della sera. Se avete tempo, vale la pena visitare la cittadella (accesso entrando dalla posta di Giaffa, svoltando a destra) e fate almeno uno dei percorsi sulle mura, nord o sud.

Città di David – dalla porta di Zion seguire le indicazioni per il museo città di David, dove si possono visitare i resti dell’antico sito di Gerusalemme (5 minuti a piedi). Se niente vi spaventa e se la stagione lo permette, percorrete il tunnel sotterraneo che vi porterà dal sito alla piscina di Siloe, ma ricordate di portare calzature resistenti all’acqua e una torcia frontale: il percorso è lungo circa 400 metri, quasi completamente al buio e il livello dell’acqua varia dalle caviglie alle ginocchia. Non è adatto a chi soffre di claustrofobia.

Mishkenot Sha’anaim – questo quartiere è il primo insediamento ebraico al di fuori delle mura. Da vedere, assieme al parco che lo circonda e il mulino Montefiore.

First Station – se siete alla ricerca di una piacevole passeggiata fuori dal traffico cittadino la First Station fa per voi. La vecchia stazione ferroviaria è stata trasformata in un parco divertimenti con numerosi bar e ristoranti, il luogo ideale per le famiglie con bambini. Da qui parte un percorso pedonale e ciclabile che percorre la zona sud della città, passando anche per la colonia tedesca (Emek Refaim) che vale una visita.

Downtown Triangle – la città nuova ha tanto da offrire quasi quanto la città vecchia. Una serie di locali e negozi che continuano a cambiare vi porteranno dal più fashon centro della “moda” di Mamilla alla zona pedonale di Zion Square. Percorrete Jaffa Street guardando a destra e sinistra, ma facendo attenzione alla Light rail che sfreccia piuttosto di frequente (ma è un ottimo modo per spostarsi fra città vecchia e nuova). In questa zona, a parte la carne di maiale, c’è tutto. Ottimi locali dove ascoltare anche musica dal vivo ogni sera.

Mercato Mahne Yehuda – questo eccentrico ed effervescente mercato coperto è un immancabile appuntamento per chiunque di rechi in città: centro per gli affari durante il giorno, quando le bancarelle sono cariche di prodotti freschi (frutta verdura, pane, dolciumi, frutta secca, spezie, e chi più ne ha più ne metta) e movida notturna al calar del sole. I banchi carichi di merce vengono ritirati e convertiti a banconi da birra e cucine per ristoranti di ogni genere. Uno dei migliori posti per passare una serata giovane in città.

 

 

Nachalot  proprio accanto al mercato si erge questo quartiere dai tetti rossi. Perdetevi nelle stradine strette per osservare l’architettura originaria e scoprire cortili interni e piccole sinagoghe. La visuale migliore sull’intero quartiere si ha da Sacher park.

Mea Shearim – uno dei più antichi quartieri di Gerusalemme, è abitato dai cosiddetti Haredim. Ottimo luogo per osservare uno spaccato di vita da shtetl e fare people watching se siete interessati a usi e costumi degli ultraortodossi e se siete incuriositi dai cappelli neri. 

Mount Herzl – prendete la light rail fino al capolinea e non perdete una visita al Mount Herzl e all’impressionante museo Yad Vashem (ingresso gratuito) Ente nazionale per la memoria della Shoah, in cui si può ripercorrere la storia del popolo ebraico anche nelle vicende meno note.

Territori Palestinesi

Betlemme, la città del muro. Neanche 10 chilometri da Gerusalemme, da centro a centro, eppure così distante, per via di questa imponente barriera di cemento. Sebbene sia meta di pellegrinaggio cristiano per via del suo forte significato religioso, il primo impatto che si ha arrivando dalla Città Santa è quello di oppressione: 8 metri incorniciati da filo spinato separano inesorabilmente lo stato di Israele dalla Palestina. L’unico lato, se così si può definire, positivo, è la voce forte degli artisti che hanno usato questo muro come tela per le loro opere, creando dei veri e propri capolavori di arte contemporanea. Banksi e molti altri meno noti, hanno conferito al muro un secondo significato, delineando a colpi di bomboletta la loro visione del conflitto israelo-palestinese. 

Ma Betlemme è anche altro: una vera città-presepe, che concilia tradizione e turismo. Noi ci siamo capitati per la prima volta a Natale: la piazza principale davanti alla chiesa della natività era affollatissima di pellegrini che pregavano cantando intorno ad un presepe in scala reale. Venditori di mais caldo e zucchero filato ovunque, una  vera atmosfera di festa! Per non parlare poi dei migliori falafel mai mangiati, ma questo è un altro discorso.

Gerico, è la città a più bassa altitudine di tutto il mondo (-250m s.l.m.) nonché, secondo molti, la più antica. Raggiungerla con i mezzi pubblici da Gerusalemme non è banale: si parte dalla stazione dei bus della porta di Damasco con destinazione Betlemme o Ramallah e da qui prendere uno Sherut (o taxi collettivo) in direzione Gerico. Sembra facile, ed è facile dopo averlo fatto per almeno una volta, ma al primo tentativo si brancola un po’ nel buio visto che non ci sono indicazioni precise su dove sia la “stazione” di partenza degli Sherut, né su quale Sherut porti alla destinazione desiderata. Inoltre, lo Sherut non parte fintanto che tutti i posti non sono occupati. 

La strada che porta a Gerico è un serpente che striscia nel paesaggio roccioso scendendo curva dopo curva nelle profondità del deserto della Giudea. Per essere una piccola città, i punti di interesse sono molti, fra cui il monastero di san Giorgio sul monte delle tentazioni, Tel-al-Sultan, il palazzo di Erode (uno dei tanti), il Sicomoro o albero di Zaccheo, e il palazzo di Hisham.

Essendo sei amici in gita, abbiamo avuto la fortuna di riuscire a convincere l’autista dello Sherut a dedicarci la giornata e a farci scarrozzare di qua e di là visto che viaggiavamo quasi a pieno carico (7 posti in totale). A fine giornata avevamo ormai stretto amicizia anche con lui, tant’è che ha insistito per presentarci ad alcuni amici. Anche in questo caso, come successo precedentemente a Safed, decidiamo di fidarci e di farci coinvolgere dalla gente del posto, pensando all’ottima occasione per scambiare due parole con chi vive dall’altro lato della barricata e ascoltare la versione della gente palestinese. Ci fermiamo davanti a una serra e ci inoltriamo fra le piante incolte fino a raggiungere un baracchino con qualche divanetto e un tavolino di vetro fra le piante: gli amici del nostro autista ci hanno accolto calorosamente con un rigenerante tè alla salvia appena fatto e con tante domande in un inglese un po’ stentato, misto all’arabo. La curiosità verso questi giovani visitatori che hanno il coraggio di varcare il confine è tanto e vorrebbero sapere tutto di come siamo venuti a conoscenza della loro città e del perché abbiamo voluto visitare la Palestina. Superata la barriera di iniziale diffidenza una volta capito che siamo italiani, un po’ a gesti e un po’ a sentimento siamo riusciti a comunicare rispondendo alle loro  domande e facendoci raccontare qualcosa di loro e di com’è la vita in Palestina, e nello specifico a Gerico.  La carta “Italia” è spesso vincente in queste circostanze e ancora non capiamo come il nostro paese riscuota tanto successo all’estero, ma siamo contenti di poter godere di questa fortuna e di poterci portare a casa esperienze umane come questa, del tutto singolari.

Ramallah è la capitale della Palestina, cuore pulsante del West Bank e crocevia di chiunque voglia spostarsi nei Territori settentrionalli. 

Nel fulcro della città si erge fra le bandiere svolazzanti un’enorme chiave di metallo, la chiave tramandata di madre in figlio, simbolo della cacciata del popolo palestinese da parte di Israele e della promessa perpetuata di generazione in generazione di fare ritorno nelle proprie case. 

Noi Ramallah l’abbiamo vista solo in qualche ora di passaggio ma l’impressione è quella di una città giovane e in promettente e rapida evoluzione.

Nablus è la città del sapone all’olio d’oliva, ma sopratutto del Knafeh. Il knafeh è un dessert tipico del medio oriente fatto di formaggio fresco e spaghetti di semola imbevuti nello sciroppo di zucchero, il tutto cotto in enormi teglie da forno e guarnito con croccante granella di pistacchio: si dice che la ricetta tradizionale di questo dolce delizioso sia originaria proprio della città di Nablus. 

Nablus si trova a nord di Ramallah, immersa fra colline di ulivi. L’industria legata all’olio d’oliva è una delle più sviluppate in questa zona, dove sorgono numerosi laboratori artigianali di lavorazione dell’olio per la creazione di sapone, alcuni dei quali sono persino visitabili. 

La città vecchia è per metà un antico mercato coperto, il tipico mercato arabo con carabattole ovunque e piramidi di frutta e spezie colorate, e per metà borgo dalle viuzze di pietra con decori tipici dell’architettura araba in cui la gente mangia knafeh appena fatti, va ai bagni turchi pubblici, o va a pregare alla grande moschea al-Nasr.

Anche la città nuova è da vedere, con i suoi negozi “alla moda”, le gioiellerie dalle vetrine luccicanti d’oro e il fermento di tanti giovani che abitano questa città. Anche qui la gente ci chiede incuriosita da dove veniamo: al grido di “Italia!” collezioniamo parecchi “pollici in su”, quindi tutto bene. 

Il Mar Morto

Il Mar Morto è uno spettacolo della natura: un bacino di acqua salatissima a -400m s.l.m.. Si raggiunge in brevissimo tempo da Gerusalemme, percorrendo in parte la strada che porta anche a Gerico. Mano a mano che ci si avvicina, si vede inciso nelle rocce adiacenti la strada una serie di scritte: “-100”, “-200”, e così via, fino a scorgere la riva più settentrionale di questo specchio di acqua salata. In questa zona ci sono le grotte di Qumran, dove sono stati scoperti i famosi rotoli del Mar Morto (ora conservati nei musei d’Israele e Rockefeller a Gerusalemme), e distese di palme da dattero. Assaggiate questi frutti se ne avete l’occasione, non hanno nulla a che vedere con quelli che troviamo nei nostri supermercati!

Il parco nazionale di Masada si estende fra le rocce del deserto di Giudea all’altezza del confine fra i bacini settentrionale e meridionale del Mar Morto. Il sentiero del serpente risale i 400 metri di dislivello dal mare alla fortezza di Masada, famosa per l’antica vicenda dell’omonimo assedio nella prima guerra giudaica. Percorrere il sentiero alle prime luci del mattino e vedere sorgere l’alba sul Mar Morto è un’esperienza da fare, se siete nei paraggi! Tranquilli, potete comodamente e gratuitamente campeggiare alle pendici della rocca come abbiamo fatto noi, o soggiornare nell’ostello sottostante, per rendere più confortevole la levataccia. Per i più pigri, c’è anche una cabinovia attiva dalle 8 del mattino, ma si perde tutto il romanticismo.

La fortezza si mimetizza con la roccia: tutto ha lo stesso colore ocra, rendendolo un avamposto strategico di tutto rispetto. Visitando Masada si possono vedere i resti degli accampamenti romani e il sito archeologico della fortificazione, nonché lo spettacolare palazzo di Erode a più piani affacciati vista mare (uno dei tanti, come già dicevamo). Anche lato deserto si hanno delle splendide vedute sui wadi circostanti e le infinite distese desertiche. 

Ein Gedi è uno delle riserve naturali più rinomate dello stato di Israele. Si più percorrere seguendo i sentieri che si inerpicano lungo il wadi David. Una vera e propria oasi nel deserto, ricca di vegetazione, acqua, cascate e animali selvatici che si godono la pace di questo luogo incantevole.  

Ein Bokek è una località balneare sul bacino meridionale. Al contrario di altre spiagge, a Ein Bokek non ci sono i fanghi ma il colore dell’acqua e il panorama circostante lo rendono una delle destinazioni predilette per chi vuole rilassarsi e galleggiare nelle dense e salatissime acque del Mar Morto godendo dei suoi numerosi effetti benefici. Ricordate però che se siete appassionati di tuffi di testa, il Mar Morto è vivamente sconsigliato!   

Il deserto del Negev

Il Negev è una regione desertica che corrisponde a circa il 60% dello stato d’Israele e si estende dal Mar Morto al Mar Rosso. Quest’area molto vasta è scarsamente abitata, anche se la città di Be’er Sheva, capitale della regione, è negli ultimi anni meta di migrazione per giovani e start-up che ne stanno facendo la capitale cyber del paese.  

Noi l’abbiamo percorso dal Mar Morto a Eilat e siamo ritornati a Gerusalemme passando per Be’er Sheva. Un’enorme distesa di roccia dalle tinte più variegate ci accompagna per chilometri e chilometri, fra piccoli kibbutz o moshav ,e cartelli di “pericolo, attraversamento cammelli”.

 La prima tappa che facciamo in questa zona è il Timna Park, la miglior rappresentazione delle bellezze naturali tipiche dei deserti rocciosi. Si può esplorare sia in auto che in bicicletta (si può noleggiare), anche a piedi se si vuole ma la regione che copre è piuttosto estesa rendendo difficile una visita in giornata. Oltre alle formazioni rocciose, il parco è peculiare per il suo lago, le incisioni rupestri e per le antichissime miniere di rame.

 

Eilat è una meta marittima vivace e gettonata tutto l’anno dagli amanti del mare, locali e non. Situata sulla riva più settentrionale del Mar Rosso, offre una lunga promenade contornata da lussuosi hotel e con vista sulla città “gemella” Aqaba (Giordania). Il panorama è particolarmente bello quando si accendono tutte le luci della sera e tutta la costa brilla. Ad Eilat si può ammirare la barriera corallina, sia facendo snorkeling che camminando lungo la barriera nell’osservatorio sottomarino.

Da Eilat, percorrendo per un quarto d’ora la strada 12 in direzione nord, vale la pena inoltrarsi nel deserto alla ricerca del Red Canyon. Una versione ridotta, ma in proporzione analogamente affascinante, del Red Canyon americano. 

Procedendo in direzione Be’er Sheva, si passa un’enorme depressione dai colori ocra, rosso e nerochiamata Makhtesh Ramon, uno dei più grandi crateri al mondo. Noi l’abbiamo visto con il brutto tempo, ma l’effetto è comunque stupefacente, soprattutto osservandolo dal punto panoramico di Mitzpe Ramon.

Canada Occidentale

 

13 giorni on the road – dalle Rocky Mountains alla Vancouver Island, fra pancakes con sciroppo d’acero a colazione e campeggi ad alta quota

Itinerario – Agosto 2018

 

Giorno 1 – Vancouver
Arrivo all’aeroporto/alla stazione nel primo pomeriggio. Sì, ognuno è arrivato per la sua strada con la speranza di incontrare l’altro entro ora di cena in Hotel. Nel giro di qualche ora ci siamo trovati, felicemente, e siamo ripartiti subito ad accaparrarci il posto in spiaggia sulla English Bay per assistere alla celebration of lights. L’evento è uno dei più importanti della città e nonostante la stanchezza del viaggio ne vogliamo approfittare. Troviamo da mangiare dell’ottimo cibo di strada vietnamita in uno degli n-foodtrucks che riempiono il lungo oceano e ci godiamo lo show nel piccolo fazzoletto di sabbia che abbiamo conquistato in una spiaggia gremita di gente. Spettacolo mozzafiato, valeva le quasi 24 ore senza sonno (vedi video del gran finale!).

Case galleggianti al Waterfront

Giorno 2 – Vancouver
In tandem si fa prima e si fatica la metà: pedalando abbiamo fatto il giro di tutta la città cercando di convivere con la folla del gay pride e del comicon, naturalmente in contemporanea. Itinerario: Stanley Park – Granville Island – TELUS World of Science – Chinatown – Gastown (con immancabile tappa al Vancouver steam clock) – Waterfront e rientro.

Vancouver skyline da Stanley Park

Incrocio a Chinatown

Giorno 3 – da Vancouver a Canyon Hot Springs
Otto ore di guida fino al Glacier National Park, la porta occidentale alle Rocky Mountains. Primo campeggio canadese, rigorosamente in tenda. 

Giorno 4 – da Canyon Hot Springs a Mosquito Creek
Partenza per il Lake Louise. In Agosto il Canada è preso d’assalto dai turisti, per cui ci inventiamo un’alternativa meno battuta rispetto al gettonatissimo giro del lago. Scalata alla Lake Agnes Tea House, con bellissime vedute sul Lake Louise e sulle montagne circostanti, e un simpatico incontro con un chipmunk. Nientre orso stavolta, siamo solo all’inizio. Ci rimettiamo in marcia per la Icefield Parkway, direzione Mosquito Creek Campground. Nonostante il nome non prometta bene, l’altitudine di quasi 2000m scoraggia le zanzare e il panorama che ci si apre davanti è veramente strepitoso (vedi immagine di copertina dell’articolo – scattata all’alba). Siamo salvi, ma ci risvegliamo col naso congelato.     

Canoe sul Lake Louise

Jasper National Park

Giorno 5 – da Mosquito Creek a Jasper
Risalire la strada dei parchi nelle Rocky Mountains è un’esperienza da fare, anche per chi in montagna c’è nato. A tratti, i paesaggi possono ricordare le Alpi, ma è tutto più grande! Dopo svariate fermate on the road (troppi i punti di interesse per elencarli tutti, tanto ci si passa, ma notevole la lingua di ghiacciaio Athabasca) piantiamo la tenda all’Overflow Camping di Jasper e ci dirigiamo verso il Maligne Lake, suggeritoci la prima notte da un compagno campeggiatore. Il migliore consiglio di questo viaggio: il lago si trova nell’omonima valle ed è contornato da cime molto suggestive. Dal lago proseguiamo per un’escursione al piccolo laghetto delle alci, nella speranza di osservare qualche esemplare con binocolo. Noi con la fauna locale non siamo molto fortunati: ci ripaghiamo con un bagno rigenerante nelle acque cristalline del lago “maligno” e una buona cena a base di alce (in qualche modo dovevamo pur incontrarne uno). 

Ghiacciaio Athabasca

Maligne Lake

Wapiti all’imbrunire

Giorno 6 – da Jasper a Merritt
Fra il crepuscolo della sera prima e le prime luci del mattino siamo finalmente riusciti a fare seriamente wildlife spotting: wapiti ovunque! Le dimensioni di questi cervi americani sono veramente impressionanti, il cervo europeo a confronto potrebbe essere un wapiti bonsai. E’ l’ultimo giorno nelle Rockies canadesi: concludiamo in bellezza con una gita alla Athabasca Fall, la più imponente cascata del Parco Nazionale di Jasper. Ci rimettiamo poi al volante in direzione Merritt, per l’esattezza verso il Desert Inn Hotel di Merritt. L’hotel rispecchia le nostre aspettative: non c’è proprio nessuno. Sconsolati per l’alloggio, che comunque dopo giorni e giorni di campeggio aveva l’aspetto di una suite per il solo fatto di avere un bagno in camera, cerchiamo un posto dove cenare in questa città fantasma. Fortunatamente siamo capitati nell’unico pub della città proprio il chicken-wings-tuesday: 20 gusti di alette di pollo fra cui scegliere, a 1 dollaro l’una. Mangiata memorabile.

Athabasca Fall

Giorno 7 – da Merritt a Squamish
Poco da dire su questa gioranta trascorsa in auto, i paesaggi continuano ad assere affascinanti ma le distanze si fanno veramente sentire. Solo una considerazione: ci eravamo preparati ad affrontare il Canada, le sue altitudini e il clima del nord, con abiti adeguati alla stagione estiva di montagna, ma nessuno ci aveva avvertito che avremmo passato parecchi giorni con temperature diurne superiori ai 40°C (true story). Ma noi siamo in vacanza, ce ne importa relativamente, peccato però che il numero di incendi in tutta la British Columbia sia ogni giorno crescente, sentiamo addirittura che oggi è stata superata la quota 300.  Un vero disastro per per un paese sconfinato, fatto di boschi sconfinati.

Giorno 8 – Sea to Sky Gondola
Per raggiungere Squamish abbiamo percorso la Sea to Sky Highway, autostrada panoramica che collega Vancouver all’estremità settentrionale della baia di Howe.  Sqaumish, il cui nome deriva dall’omonimo popolo indigeno che abitava l’area intorno alla cittadina, è stata costruita come capolinea di una ferrovia e per la sua posizione strategica per il trasporto marittimo. Per queste sue origini non offre grandi attrattive dal punto di vista culturale. Uno dei punti di interesse della zona è la Sea to Sky Gondola, un punto panoramico mozzafiato sulla baia e le isole dell’Howe Sound. Per salirci c’è una comodissima cabinovia che in poco più di dieci minuti ti porta letteralmente dal mare al cielo, per un prezzo decisamente poco economico. Qui inizia la nostra avventura: “Questo biglietto è troppo costoso! Non c’è un modo per salire a piedi? Insomma, veniamo dalle Alpi, prendiamo il sentiero!”. Dopo 4 ore di salita taglia gambe, 7,5 km di strada per 1000m di dislivello, abbiamo capito perché quel biglietto, in fondo, non era poi così costoso. Una gran faticata, ma ne valeva la pena! Ripensandoci dal divano, abbiamo comunque fatto bene a salire a piedi: siamo stati ripagati da meravigliosi scorci sul mare, passaggi divertenti nel bosco fra rocce e radici, incontri con i runner che ci superavano senza fatica, e infine abbiamo conquistato la cima. Camminare su un ponte sospeso ammirando il “fiordo pacifico” e sorseggiare una bottiglia di freschissimo thé alla pesca hanno aggiunto soddisfazione alla già mirabolante impresa della giornata.

Sea to Sky Gondola

Howe Sound Panorama

Giorno 9 – da Squamish alla Vancouver Island
Partenza in direzione Horsehoe bay (terminal del traghetto per la Vancouver Island), oggi il meteo non è granché ma vogliamo comunque approfittare del tempo a disposizione per fare qualche visita prima di imbarcarci. La prima tappa è la cascata di Squamish, appena sopra il nostro campeggio, da cui abbiamo proseguito verso l’Alice Lake Provincial Park per una passeggiata nel bosco. Ancora niente orsi. La seconda tappa è il museo della miniera Britannia, con visita guidata in trenino alla miniera e successiva visita allo stabilimento e al museo (ottima alternativa, quando piove). Verso sera ci imbarchiamo per Nanaimo, il cielo è plumbeo ma ha comunque un certo fascino inoltrandoci tra le isole. Attracchiamo un paio d’ore dopo e guidiamo fino all’unica camera (sufficientemente economica) disponibile sull’isola, a Port Alberni.

Giorno 10 – Tofino e il kayak

Tofino, una delle mete più gettonate dagli amanti degli sport acquatici. Due obiettivi per la giornata:

1. Trovare un campeggio da favola (fatto) e comprare tutto il necessario per il primo fuoco (che fin’ora non abbiamo potuto fare a causa del fire-ban in vigore).

2. Gita in kayak, senza backflip. Per il kayak ci siamo affidati alla Black Bear Kayaking, uscita di quasi tre ore pagaiando fra le isole della laguna interna di Tofino con vista su uno dei pochi villaggi abitati esclusivamente da First Nations. Abbiamo visto stelle marine di ogni dimensione, una medusa testa di leone gigante, mamma aquila e aquilotto durante una lezione di volo e una foca che ci stava seguendo incuriosita. Niente orche, niente orsi, tanto per cambiare, però non ci siamo rovesciati (a parte il nostro compagno di avventura Rick. “Where are you, Rick?”). Esperienza davvero divertente anche se piuttosto faticosa. La sera ci siamo premiati con un bel fuoco e una cenetta al bbq. 

 

Giorno 11 – Vancouver Island
Prima giornata di relax. La mattina escursione lungo il Rainforest Trail, bellissima passerella che si addentra nella selvaggia foresta temperata del Parco Nazionale Pacific Rim. Finalmente vediamo i famosi aceri giganti canadesi! Pomeriggio di relax in spiaggia e a cena di nuovo bbq. Per concludere in bellezza serata in spiaggia, con fuochi qua e là in lontananza: che bello guardare le stelle sulla costa del Pacifico! 

Wya beach

Rainforest trail

Giorno 12 – Rientro a Vancouver
Giornata di transito. Partiamo dal nostro bel campeggio nei pressi di Ucluelet per imbarcarci nuovamente verso il continente. Sebbene la parola isola faccia solitamente pensare a un piccolo pezzo di terra, la Vancouver Island è piuttosto grande e per attraversarla in larghezza ci vogliono più di quattro ore di auto, quindi ci mettiamo comodi e ci godiamo il panorama. Il tempo è migliore rispetto all’andata e riusciamo persino a goderci un po’ di panorama stando all’aperto sul traghetto. Arriviamo nei pressi di Vancouver nell’ora di punta e impieghiamo praticamente tutta la giornata a raggiungere la camera per la notte, in una zona della città che ancora non avevamo visto. Ci accontentiamo di uscire per la cena e scegliamo un ristorante tipico giapponese: ognuno si cucina le sue cose nel brodo, bizzarro, ma alla fine abbiamo apprezzato.  

Giorno 13 – Vancouver
Ultimo giorno di vacanza dedicato allo shopping da souvenir e all’andare a zonzo per i quartieri più “in” della città. L’indomani mattina presto abbiamo il volo che ci riporta in Italia: ci godiamo le ultime vedute di Vancouver, pensando già a cosa ci aspetterà nella prossima partenza.